Pensiero della settimana

Le mie pecore ascoltano la mia voce, dice Gesù. Non la lingua che parla perché le pecore non possono capire ciò che il Signore dice, ma la voce, il timbro della voce, il tono della voce. Per essere di Dio, è necessario l’ascolto, non necessariamente una capacità di esaustiva comprensione intellettiva, di approfondimento critico, ma la capacità istintiva o intuitiva di riconoscerlo, senza confonderlo con altri che pure, in apparenza, potrebbero sembrar pronunciare le sue stesse parole o fare i suoi stessi discorsi. E’ come per i neonati che riconoscono la madre non da quello che dice ma da come lo dice, dal modo in cui si relaziona con essi, dal modo in cui si sentono amati e curati, talvolta persino teneramente sollecitati a smettere di piangere o a non rifiutare il latte o il cibo anche in assenza di apparenti cause fisiche che potrebbero esserne alla base. Le pecore si fidano, e noi tutti dovremmo fidarci, di Cristo non solo per le cose che dice ma innanzitutto per il modo in cui le dice, per la percezione del fatto che di quella voce, di quelle sollecitazioni, di quei comandi ci si possa fidare. Peraltro, come recita il salmo 23, il buon pastore, per guidare il gregge, si avvale di un bastone e di un vincastro: di un bastone (la fede) che, da una parte, rende più stabile e sicuro il cammino del pastore davanti al gregge e a favore del gregge, e dall’altra egli usa e brandisce, se necessario, contro animali o uomini malvagi che potrebbero voler arrecare danno al gregge stesso; e di un vincastro che è un vimine, solitamente di salice, tenero e flessuoso, con cui egli stimola dolcemente pecore e agnellini sfiorandoli sui fianchi per farli camminare, per tenerli insieme e per evitare che alcuni o molti di essi possano allontanarsi dalla via maestra.     

Il cristiano è, innanzitutto, colui che si affida a Cristo non aprioristicamente in virtù dei suoi ragionamenti, della sua dottrina, delle sue parole, ma in virtù del suo modo di essere, di comportarsi, di relazionarsi alle sue pecore o alle sue creature, del modo da esse a lungo sperimentato, di curarle singolarmente, di seguirle, di guidarle, di sollecitarle e correggerne il cammino per il loro stesso bene, unicamente per il loro bene. Gesù conosce le sue pecore, una per una, ed esse avvertono, percepiscono distintamente la sua vicinanza, la spontaneità e la sincerità del suo affetto, la stessa incoraggiante, amorevole, anche se talvolta ferma e decisa autorevolezza, dei suoi comandi. Quelle pecore che a lui si affidano, dice Gesù, potranno anche sperimentare difficoltà, momenti di smarrimento, di paura, ma non potranno mai perdersi per l’eternità perché da niente e nessuno potranno essere separate da lui. Queste pecore, in vero, non si sono affidate autonomamente a lui ma gliele ha affidato il Padre celeste, che è “il più grande di tutti”, più grande anche del Figlio unigenito sebbene non per la natura (divina tanto nel Padre quanto nel Figlio) ma per la funzione, e che è il loro vero e unico padrone, che tiene talmente alle sue creature da incaricare il Cristo di provvedere, anche al prezzo della vita, alla loro custodia, alla loro integrità e alla loro salvezza. Niente e nessuno potrà staccare le creature dalle mani del Cristo, che è tutt’uno con il Padre: né forze demoniache, né creature deviate e inique, né ladri e predatori, né traumi e sventure di qualunque genere, e neppure la morte. Per l’apostolo Giovanni il buon pastore, il Cristo, è un vero guerriero che, come il piccolo Davide, difende con la fionda il gregge del padre da belve feroci.

Naturalmente, le creature umane, dotate di intelligenza, capacità di discernimento e libero arbitrio, e diversamente da quelle puramente animali, non si fideranno soltanto in modo istintivo e abitudinario della voce del buon pastore e del suo modo di prendersene cura e di guidarle, ma dovranno saper ascoltare anche le sue parole, approfondendone continuamente il senso, restando sempre fedeli al loro intrinseco spirito di verità e operando di conseguenza. Dovranno saper ascoltare le sue parole in quanto espressione della Parola salvifica di Dio. Dev’essere chiaro per tutti, anche per quelli che hanno il compito di pronunciare le loro omelie feriali e domenicali: Cristo, il buon pastore, si mette alla testa di coloro che lo seguono, in quanto pecore docili ai suoi comandi, non in quanto lupi travestiti da pecore.   

Francesco di Maria

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