Per i cristiani, la vita umana, qualunque tipo di vita umana, dalla più rigogliosa e fortunata alla più spenta e sfortunata, dalla più virtuosa e lungimirante alla più perversa e ottusa, dalla più geniale e creativa alla più stolta e distruttiva, dalla più integra e santa alla più corrotta ed empia, è sempre da rispettare anche se non sempre da assecondare ed emulare. Per forme di vita fisicamente o psichicamente imperfette o precarie, per i malati, i disabili, i folli, i moribondi, i fragili, i deboli, essi hanno o dovrebbero avere, poi, una particolare predilezione psicologica e spirituale, senza peraltro mancare di spirito di carità verso chiunque versi in condizioni di disagio, di malattia o di pericolo. Ma, al di là dei giusti e doverosi sentimenti di spiccata vicinanza umana e morale che non solo cristiani e soggetti credenti ma anche non credenti o atei potrebbero e dovrebbero essere in grado di coltivare ed esercitare rispetto ai simili più svantaggiati e bisognosi, non c’è dubbio che la caratteristica essenziale di una vita normale, di una vita dotata di tutte quelle facoltà psichico-intellettive che la rendano tale anche al di là di possibili o eventuali menomazioni, sia quella per cui la vita trovi la sua più specifica o distintiva peculiarità nel suo sussistere come vita razionale, come vita secondo ragione, anche in funzione della possibilità/necessità di porre rimedio nel miglior modo possibile ad errori ordinari di giudizio e comportamento o ad atti deliberatamente illeciti o immorali1. Continua a leggere
Per una teoresi fenomenologica della morte
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Cosa c’era prima di nascere? Niente, o almeno niente di minimamente percepibile da parte di un embrionale essere umano. E cosa c’è dopo la morte di un essere umano che sia nato, abbia vissuto potendo fare uso di ragione, e sia morto? A questa domanda non è logico rispondere nello stesso modo, cioè niente, ponendo sullo stesso piano lo stato di prenascita, in cui peraltro il nascituro è incosciente, e lo stato di post mortem, semplicemente perché se, da una parte, non è mai accaduto che alcun individuo riferisse alcunché su un’esperienza antecedente la nascita, la stessa cosa non può sostenersi per il dopo-morte, sia perché i morti non possono parlare né comunicare in alcun modo con i vivi, sia perché non è possibile immaginare cosa direbbero se ne avessero la possibilità. Se accada o non accada qualcosa, se si dia o non si dia una qualche esperienza di qualcosa dopo la morte, in sede logica non è possibile dirlo: può darsi che il morto giaccia per l’eternità nella sua condizione di inerziale e putrescente immobilità oppure che egli torni misteriosamente a vivere o riacquisti una qualche inimmaginabile forma di vita. Da un punto di vista strettamente logico-teoretico, non ancora informato e consapevole dell’evento cristiano, si danno solo queste due possibilità, senonché a correre in soccorso dell’ipotesi di immortalità è, lo si voglia o meno, appunto quella che è stata registrata e recepita storicamente come la più straordinaria esperienza della civiltà umana, ovvero la predicazione e l’opera, e soprattutto la risurrezione di Cristo non documentata nel suo compiersi ma, aposteriori, legittimamente deducibile dalle documentate e reali apparizioni di Gesù all’indomani della sua morte1. Continua a leggere
La morte e i massoni
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L’iniziato massonico accetta la morte come “rito di passaggio”, di passaggio dalla vita profana, cioè non vissuta massonicamente1, ad una vita spirituale inondata da una luce puramente intellettuale e spirituale che è principio e tramite di “rinascita”, di “vera e nuova vita” e di “salvezza”. Tuttavia, solo coloro che, durante la vita terrena, si saranno spesi, in stretta comunione di sentimenti e di intenti con i fratelli delle varie logge, naturalmente sottratte all’influenza delle Chiese e in particolare della Chiesa cattolica, a favore della libertà, della tolleranza, della solidarietà e dell’amore verso i propri simili, potranno accedere per l’eternità a quell’Oriente Eterno, a un qualche al di là non meglio precisato, che, per la filosofia libero-muratoria, non coincide necessariamente con uno stato esistenziale di natura fisica o materiale: di quale “involucro”, se corporeo o non corporeo, si cingerà il fratello defunto nell’altro mondo, non è dato sapere, ma quel che è certo è che egli continuerà a sopravvivere alla sua morte. E’ significativo quanto si viene elusivamente argomentando in Logge di più antica e sicura tradizione: «Con la morte termina il corpo fisico. Che fine fa tutto il bagaglio di animico e spirituale che ci accompagna? C’è una parte di noi che può dirsi puro spirito, ma anche una parte composta da sensazioni, sentimenti: questa seconda componente muore oppure no? Non importa rispondere, importa invece rivolgersi al nostro interno e lavorare per cambiarci». Di sicuro vi è solo la certezza razionale che nella dimensione dell’eterno non vi saranno né premi, né castighi, che alcune religioni hanno inventato per tenere sottomessi i loro fedeli2. Continua a leggere
Tra la vita come morte e la morte come vita
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Si danno nella vita degli individui e nella storia dei popoli esperienze di vita cosí terribili, traumatiche, laceranti, disumane, da indurre molti degli individui e dei popoli che le subiscono o ne sono vittima a desiderare e a preferire una morte immediata o molto ravvicinata alla loro possibile o eventuale sopravvivenza. Quando il singolo essere umano o una determinata comunità etnica, popolare, nazionale o religiosa, sperimentano, in forme reiteratamente umilianti e dolorose, la violenza del tutto ingiustificata di propri simili o di altri popoli o comunità, senza mai avere la possibilità di reagire adeguatamente e difendere almeno in parte la propria dignità e i propri diritti a veder riconosciuta o rispettata la propria identità e la propria libertà di scelta, è certo comprensibile che essi, percependo la vita corrente come una realtà avvilente e insopportabile, siano portati a desiderare la morte non solo istintivamente ma anche esistenzialmente, ritenendola un male definitivo ma di sicuro inferiore a quello consistente in una vita priva di senso e di speranza1. A volte, ma più raramente, tale desiderio di morte trova la sua esecuzione in pratiche suicidarie personali, di gruppo o di massa, altre volte, nella maggior parte dei casi, si accompagna alla vita di chi lo coltiva mestamente fino all’ultimo dei suoi giorni oppure si converte, sublimandosi, in offerta sacrificale di vita al Dio biblico-evangelico della giustizia e della misericordia. Continua a leggere
Sì, quei giudici sono fascisti. Stralci dell’odierna arringa difensiva tenuta oggi a Palermo dall’avv. Giulia Bongiorno a favore dell’onorevole Matteo Salvini
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«I confini, e lo dico convintamente, lungi dall’essere strumenti di discriminazione sono lo scudo della pace. Se chiunque potesse entrare in Italia senza regole e senza controlli, nel nostro Paese regnerebbe il caos e la violenza. Chiedo per Matteo Salvini l’assoluzione perché il fatto non sussiste … Open Arms ha avuto innumerevoli possibilità di fare sbarcare i migranti ma ha opposto innumerevoli, innumerevoli, innumerevoli rifiuti. Ha scelto di bighellonare anziché andare nel suo Stato di bandiera. Dobbiamo uscire dalla logica che è tutto un diritto. Una cosa è un diritto, un’altra è la pretesa. Esiste un diritto allo sbarco, non esiste il diritto di scegliere dove e come farli sbarcare e chi fare sbarcare. Mi sono chiesta perché se c’erano tutte queste opzioni hanno scelto di non andare in Spagna … Nell’agosto del 2019 il ministro Matteo Salvini sì stava combattendo una battaglia, ma certamente non contro i migranti. Gli atti di questo processo documentano che i migranti sono stati aiutati, assistiti, tutelati. La Guardia costiera si mise in ginocchio. Salvini stava combattendo una battaglia contro chi confonde le pretese e i diritti. Ma usare a sproposito il termine diritto è molto pericoloso, innanzitutto per i diritti. Non esiste il diritto di bighellonare per due settimane con i migranti a bordo pur di non ottemperare un divieto. Non esiste il diritto di rifiutare le indicazioni degli Stati delle zone di ricerche e soccorso. Non esiste il diritto di scegliere dove, quando e come fare sbarcare i migranti e quanti migranti. Non esiste il diritto di ignorare le offerte di aiuto, né quello di rifiutare ogni soluzione … Ho ricordato in questo processo delle pagine nere: soprattutto quella in cui l’Italia in ginocchio chiede alla Spagna come può offrire aiuto e la Spagna risponde ‘Buona notte’, una buona notte sarcastica. Infine una terza pagina che reputo nera è il video in cui Oscar Camps dice: ‘Sono felice non perché sbarcano i migranti, ma perché è caduto il ministro Salvini. Salvini è caduto’». Continua a leggere
Riflessioni per una concezione non riduttiva della morte
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Non è sufficiente rimuovere la morte dalla nostra quotidianità per espellerla dalla nostra esistenza: la morte può essere tenuta a distanza dalla nostra psiche solo entro certi limiti dal momento che gli eventi della vita sono così contraddittori, incalzanti e spesso drammatici da consentire ad essa di tornare ad insinuarsi continuamente nella propria interiorità e di generarvi frequenti momenti di turbamento e smarrimento che l’io tenta di placare con forme di falso o illusorio benessere. In realtà, per quanto ci si sforzi di neutralizzarne la presenza, la morte risulta umanamente ineludibile rendendo necessarie alcune strategie di difesa, non di pari valore spirituale ed efficacia pratica, dalla sua minacciosa incombenza1. Alcune di tali strategie muovono da domande quasi spontanee e sensate: perché l’essere umano, pur sapendo che la morte coincide con la graduale e poi definitiva decomposizione del corpo, fin dalla preistoria è portato a credere in una vita dopo la morte? E perché esso, pur temendo costantemente la morte e di restarne vittima da un momento all’altro, è tuttavia non di rado capace di affrontare la morte per il bene dei propri cari, per la fedeltà alla patria o al proprio Dio? Perché, pur cosciente di essere mortale per natura, l’individuo non riesce generalmente ad adattarsi, sul piano etico-culturale, sul piano di quella che Pascal chiamava la «seconda natura», alla verità mortale della sua specie? Perché è esistenzialmente cosí faticoso rinunciare alla propria individualità e alla volontà di sopravvivenza quanto più possibile prolungata nel tempo, benché essa talvolta venga violata da stati oltremodo ossessivi di angoscia e da atti suicidi? Continua a leggere
La morte tra filosofia e fede
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Per Platone, la filosofia è un esercizio di morte o di preparazione alla morte, al momento in cui l’anima potrà finalmente distaccarsi dal corpo e lo spirituale liberarsi dai pesanti e grevi condizionamenti della materialità dei sensi: la morte, dunque, come fine di una lunga prigionia a causa della quale la spiritualità umana è come privata della libertà di realizzarsi pienamente e la stessa esistenza umana è solo espressione di vita apparente ma non di vera vita. Già, ma cosa accadrà con la morte, quando essa sarà sopraggiunta? In che modo concretamente la vita spirituale dell’uomo potrà pienamente esplicarsi, potendo finalmente estrinsecarsi al di là di ogni possibile condizionamento fisico, ambientale, storico-sociale? Si potrà dare un’intelligenza pura, incontaminata, trasparente, delle cose al di fuori della corporeità, dell’esperienza sensibile, dell’emozionalità, delle passioni, o non si rischierà di perdere del tutto persino quella limitata, difettosa, approssimativa e tuttavia utile e confortevole conoscenza del reale resa possibile dalla vita terrena? Continua a leggere
Commento al comunicato dell’ANM di Palermo
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Riprendo la parola sul caso giudiziario “Open Arms”, relativo all’operato di Matteo Salvini in qualità di ex ministro dell’Interno, non perché sia leghista o simpatizzante del politico lombardo, che anzi disapprovo profondamente per il suo antigovernativo e ambiguo sentimento filoputiniano, ma semplicemente perché, uomo, cittadino e intellettuale, trovo deplorevole il sospetto di quanti, magistrati palemmitani compresi, ritengano che egli avrebbe, per usare le parole di un cronista giudiziario del quotidiano “La Repubblica”, «mostrato i muscoli contro deboli e indifesi migranti inermi che fuggivano da Paesi in guerra e dalla disperazione, deboli e indifesi, solo per raccogliere voti» e non unicamente per ottemperare fedelmente all’art. 52 della Costituzione, secondo cui «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino», e alle leggi repubblicane varate a difesa dei confini nazionali rispetto ad illecite e illegali pretese di violarli sulla base di generiche e non documentate motivazioni umanitarie e di atteggiamenti manifestamente arbitrari ed equivoci della ONG che avrebbe inteso unilateralmente sbarcare i migranti sulle coste italiane. Continua a leggere
Stupidità e intelligenza tra ordinaria quotidianità e sinistri figuri di una sinistra degenere
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La stupidità umana è una forza illimitata, irrazionale, contagiosa e spesso inguaribile della natura. Einstein pensava che essa fosse, con ogni probabilità, ancora più incommensurabile dell’universo. Si può dire che la stupidità nasca con Adamo ed Eva, che furono così stupidi da perdere il paradiso e l’immortalità per una semplice mela. Ma, poiché entrambi erano per volere divino creature intelligenti, la loro stupida trasgressione significa che intelligenza e stupidità non sono necessariamente incompatibili sotto l’aspetto umano e creaturale, anche se, indubbiamente, l’essere più intelligenti che stupidi è preferibile all’essere più stupidi che intelligenti. E, in tal senso, chi è più intelligente che stupido può ancora sperare di appartenere ad un’umanità fallibile ma non ancora anomala e abnorme. Però, questo ragionamento vale se per intelligenza non si intenda semplicemente cultura settoriale o specialistica, cultura tecnico-cognitiva applicata ad un determinato campo professionale di studi o di attività, né cultura etica o religiosa in senso normativamente teorico-conoscitivo, ma principalmente l’insieme delle modalità in cui e le ragioni intenzionali per cui le varie forme di sapere vengano esercitate in un determinato modo e per un determinato scopo. Causare o tentare di causare un danno, di qualunque genere, a qualcuno o a gruppi di individui senza conseguire benefici per se stessi o subendone solo svantaggi: questo sarebbe il profilo, per il sociologo Carlo Cipolla1, del perfetto imbecille. Ma io non sono d’accordo: non perché non condivida le leggi della stupidità elencate dal sociologo citato, tra cui quella per cui lo stupido può essere persino più pericoloso del bandito, ma semplicemente perché, se tutti coloro che agiscono culturalmente e civilmente, seppur aspramente, contro qualcuno senza essere sicuri di trarne solo dei benefici e nessun danno per se stessi, andassero annoverati tra gli stupidi del mondo, ciò equivarrebbe a voler riempire quest’ultimo di codardi o di intelligenti in quanto virtualmente codardi. Continua a leggere
Geri Ferrara, un’interpretazione fascista e pseudoumanitaria del diritto?
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A mio avviso il sostituto procuratore Geri Ferrara di Palermo, che ha appena terminato la sua requisitoria contro Matteo Salvini al processo “Open Arms”, non è un buon giudice, ma un giudice, se non politicizzato, quanto meno incompetente e fazioso sul piano giuridico-processuale, dal momento che è assolutamente contestabile l’assunto da cui muove tutta la sua requisitoria non solo e non tanto contro l’individuo e il ministro Matteo Salvini quanto contro il principio fondante del sistema costituzionale repubblicano e dello Stato italiano di diritto su esso costruito, ovvero il principio della sovranità popolare, di cui è espressione il parlamento e il governo che ne ratifica e ne decreta le leggi. Sovranità popolare e Stato di diritto sono indissolubilmente connessi come si riconosce anche nel “Preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”. Continua a leggere