Migrazioni. Non nominare il nome di Dio invano.

Il secondo comandamento vieta di nominare il nome di Dio invano, e quindi per motivi futili o blasfemi, per motivi di odio o di risentimento verso il prossimo o Dio stesso, per tornaconto o calcolo personale di qualunque natura oppure anche per motivi strumentali o meramente ideologici e demagogici, in sostanza per scopi tanto ingiusti e disonesti quanto inconfessabili. A volte, capita di nominare inutilmente il nome di Dio anche per semplice ignoranza che però, nel caso di coloro che sono preposti a custodire la Parola di Dio e a trasmetterne il senso più veritiero e autentico, costituisce motivo di grave colpa. Ora, uno dei temi più attuali su cui spesso incombe, all’interno stesso della Chiesa, il rischio di un uso strumentale o comunque non corretto e tendenzioso della Parola di Dio, delle Scritture, del Vangelo, è quello che si riferisce alla problematica migratoria che nell’Italia, una volta considerata il giardino d’Europa, trova uno dei suoi principali fulcri planetari.

C’è chi, tra noi, non vorrebbe neppure sentir parlare di migranti specie se provenienti dall’area africana e asiatica, e c’è chi invece, almeno a parole, sarebbe felicissimo se interi continenti si svuotassero delle loro popolazioni e queste potessero essere travasate sul territorio nazionale. Sono due estremi di un dibattito oggettivamente articolato e complesso, con posizioni anche intermedie, ma naturalmente, nell’uno come nell’altro caso, si tratta di tesi unilaterali e completamente sbagliate, in quanto anche coloro che, per giustificare e rendere più plausibile la loro aprioristica apertura ad una immigrazione illimitata, non esitano a ricorrere alla sacra Bibbia e a fare professione di fede nelle presunte verità in essa contenute, in realtà spesso non sono consapevoli di quanto abusive, inopportune e poco pertinenti siano le interpretazioni che vengono proponendo della Parola di Dio in rapporto al contemporaneo fenomeno migratorio.  

Non è infatti vero che l’accoglienza biblico-evangelica dello straniero o del forestiero sia così indiscriminata come talune e frequenti prese di posizione delle stesse gerarchie ecclesiastiche cattoliche sembrerebbero indurre a pensare. Nella Bibbia ebraica, infatti, si trovano tre termini per connotare tre diverse possibili condizioni dello straniero o, se si vuole, del migrante: il primo è zar, che sarebbe lo straniero che viene da lontano e di cui nulla si conosce, per cui risulta virtualmente pericoloso ma, al tempo stesso, occasione di impegno o missione religiosa per i residenti indigeni ai fini di una sua possibile conversione religiosa; il secondo è nokri, ovvero lo straniero di passaggio e non residente, irregolare o clandestino, che però non si mostri irrispettoso o ostile verso le leggi della terra ospitante, per cui viene trattato come un ospite non indesiderato; il terzo è gher  o toshav, ovvero lo straniero che, essendo riuscito ad integrarsi nella comunità in cui era stato accolto, può ora godere anche di una vera e propria protezione giuridica e religiosa, per cui, a questo punto, egli è una persona che può e deve essere a pieno titolo rispettata e amata.

Ora, nel Nuovo Testamento, queste cautele, questa prudenza, questi accorgimenti vengono conservati e, al tempo stesso, superati o meglio perfezionati sotto il profilo spirituale, nel senso che Gesù, pur non esortando certo ad accogliere ciecamente chiunque non si conosca e di cui non si sappia nulla, viene tuttavia sollecitando i suoi seguaci ad aprire preventivamente il cuore, cioè senza pregiudizi e senza paure irrazionali, a chiunque possa aver bisogno di accoglienza e di aiuto, ivi compreso lo straniero o l’immigrato.

Ma quel che, nella sua predicazione evangelica, Gesù sottintende, è naturalmente che l’accoglienza sia concessa generosamente e nei limiti delle proprie possibilità a forestieri che, senza voler mancare di rispetto o nuocere ai loro soccorritori e senza voler violare usi, costumi e leggi del luogo di accoglienza, siano realmente nella condizione di dover essere assistiti. Bisogna altresì precisare che il precetto biblico-evangelico dell’accoglienza e dell’aiuto disinteressato e caritatevole non è riferito ad una massa incalcolabile di stranieri, forestieri o migranti, che venga a catapultarsi in un relativamente breve periodo di tempo su una data porzione di territorio altrui, ma è riferito ad una figura non particolarmente frequente e familiare di persona sconosciuta, e sconosciuta perché proveniente da luoghi sconosciuti del mondo circostante e quindi estranea ad una determinata comunità presso cui venga occasionalmente o fortuitamente ad accedere. Accogliere il forestiero o l’immigrato, pertanto, significa biblicamente non già accogliere a qualunque costo, e persino a prezzo di compromettere la sicurezza e la sopravvivenza dei popoli indigeni, folle sterminate di migranti o consentire  flussi migratori permanenti, incontrollati e incontrollabili, ma accogliere un ragionevole numero di migranti che siano disposti a vivere secondo le regole della comunità ospitante.

Certe estremizzazioni non appartengono alla sapiente, saggia, prudente, amorevole e benigna ma, proprio per questo, anche giusta, equilibrata e realistica Parola di Dio. Peraltro, si manca spesso di considerare che straniero non è solo il migrante della Libia, della Somalia o della Nigeria, del Pakistan o dell’Afghanistan, perché esiste una moltitudine di stranieri economici e sociali, si può anche dire esistenziali, anche all’interno delle stesse società occidentali, e di questo certi fautori dell’etica mondialista, che non prevede né confini né limiti di nessun genere, come anche certi presunti apostoli del salvifico Logos evangelico dovrebbero, io credo, cominciare a tener conto, come pure del fatto che il vangelo riconosce piena autonomia a Cesare, allo Stato, nell’ordine dei provvedimenti necessari a soddisfare le necessità di sicurezza e di giusto sostentamento economico dei suoi sudditi di ieri e dei suoi cittadini di oggi. Ma chi vuole intendere non avrà difficoltà ad intendere! Anche l’Unione Europea, anche Mattarella, anche Bergoglio, possono intendere: se vogliono!

Francesco di Maria

 

 

 

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