A differenza di Giorgia Meloni che, con le sue sole forze, è riuscita a creare dal nulla un partito politico e a farne, in pochi anni, il principale partito politico italiano e di governo, lo storico Luciano Canfora, autore di brillanti e non sempre indiscutibili saggi di storia antica e contemporanea, nell’unica occasione in cui ha tentato di essere eletto nel parlamento europeo per i comunisti italiani (PdCI), cioè nelle elezioni europee del 1999, è andato incontro ad un clamoroso insuccesso. Nella sua vita di storico e di semplice cittadino si è costantemente distinto per aver tentato di ridimensionare fortemente le responsabilità di Stalin, la cui dittatura definiva nel 1994 altamente positiva per l’URSS, nei crimini da questi commessi in tale paese e nell’ambito della stessa storia europea del ‘900.
E’ peraltro significativo che egli abbia ritenuto storicamente preferibile la dittatura stalinista al metodo democratico di Gorbacev. Le sue simpatie per forme totalitarie di comunismo sono arcinote, così come ossessiva e persistente è la sua fobia antifascista che lo induce a vedere fascismo dovunque non ci sia più traccia di forme sia pure tiepide di comunismo organizzato e alternativo ai sistemi politici occidentali. Ultimamente, ha pubblicato un libro dal titolo che conferma pienamente questa sua perversa inclinazione mentale: Il fascismo non è mai morto, Bari, Dedalo, 2024, la cui tesi di fondo è che, mutatis mutandis, il fascismo di ieri sopravvive ancora nella politica governativa di oggi e, come tale, va combattuto in tutti i modi possibili e immaginabili. Forse, proprio per questo, non ha esitato a definire Giorgia Meloni «una neonazista nell’animo», sperando di indebolirne la tempra di giovane e intelligente combattente, almeno in linea di principio, per una democrazia finalmente aperta al riconoscimento di meriti reali e non meramente ideologici o burocratici e alla valorizzazione di efficaci competenze amministrative, economiche e finanziarie, piuttosto che di astratte e fumose programmazioni politico-sociali funzionali a soddisfare le voglie perennemente ma non sempre legittimamente rivendicative di aree socioeconomiche che, pur non sempre depresse, risultano spesso improduttive e parassitarie, prestandosi strumentalmente a fare da bacino elettorale di una sinistra cadaverica altrimenti condannata a non superare il 10-12% di consenso elettorale.
Il Presidente del Consiglio non ha potuto fare altro che sporgere querela contro l’ignobile e farsesco accademico barese, ben sapendo che il suo calunniatore confidi, con ogni probabilità, nella compiacenza assolutoria di giudici amici o ben disposti verso un intellettuale pugliese ancora rumorosamente comunista e antifascista che tuttavia, come ieri per Stalin, anche oggi continua a riservare lodi sperticate al sanguinario condottiero comunista Vladimir Putin e a ripeterne le accuse di neonazismo rivolte al popolo ucraino. Cosa debba farsene una causa genuinamente comunista, fondata su una solida base etica, di un retore comunista, di un comunista da strapazzo e di un mediocre intellettuale come Canfora, capace di scrivere continuamente sul fascismo e sui crimini della destra italiana ma anche serenamente distaccato dalla realtà mafiosa che, da lunghissimi decenni, attanaglia la sua regione, e incapace di commentare gli evidenti anche se taciti rapporti di collusione che intercorrono tra molteplici ambienti mafiosi pugliesi e politici istituzionali della sua stessa area ideologica, come Michele Emiliano e Antonio Decaro, non è facile capirlo, né ci aiutano a capirlo gli imbarazzati silenzi al riguardo della stragrande maggioranza della intellighenzia di sinistra. Una delle poche eccezioni è costituita dalle dichiarazioni di Marco Minniti, che non a caso è stato da molto tempo emarginato da posizioni di responsabilità nel Partito Democratico.
In Puglia, c’è una sinistra, con connessi organismi istituzionali che presiede, che convive con la mafia, che vive di mafia, che esiste grazie alla mafia. Io sono stato a San Giovanni Rotondo, dove i mafiosi del luogo si contendono i parcheggi, e non solo, della famosa basilica di Padre Pio: lo sanno bene i carabinieri che vi prestano servizio e che, tutte le volte che possono, lasciano cadere nel vuoto, anch’essi complici di un collaudato sistema mafioso, le denunce verbali di visitatori disturbati da quei signori evidentemente autorizzati dai pubblici poteri; sono stato a Gallipoli, dove, per aver detto ad un ristoratore che le pietanze che mi aveva servito lasciavano molto a desiderare, subito dopo mi sono sentito lanciare contro un grido minaccioso da parte di un “subordinato” che si trovava a poca distanza dal locale; sono stato a Porto Cesareo, dove il dipendente di un servizio balneare pretendeva di darmi del tu come se fossi un suo sottoposto, costringendomi a dargli le spalle e a cambiare luogo.
La verità è che, in generale, gli intellettuali marxisti pugliesi, sono molto impegnati sul piano teorico e ideologico, solo in relazione a fascismi storici e a presunti fascismi di ritorno, oltre che nella ricostruzione storica, non di rado parziale o unilaterale, di pagine e vicende internazionali e nazionali del marxismo-comunismo, come nel caso dello stesso Canfora, cui non di rado proprio il suo modo strumentale e ideologico di accostarsi a determinati oggetti di studio gli è stato rimproverato quale insanabile difetto professionale (Ciò emerge chiaramente dalla disanima di uno stimato studioso socialista e antifascista friulano come Gian Luigi Bettoli, Miserie della filologia. Luciano Canfora, o della metodologia piegata al pregiudizio ideologico, in “La storia, le storie”, blog degli storici del Friuli occidentale, 25 luglio 2014). Nella bibliografia di Canfora, non trovo né libri, né interventi sul fenomeno mafioso pugliese, ormai passivamente accettato da gran parte del popolo pugliese come un dato di fatto inestirpabile dalle sue pratiche quotidiane di vita. E questo, congiuntamente alla sua storiografia non solo e non tanto militante quanto settaria e odiosamente preconcetta, non potrà che consegnarlo all’oblìo dei grandi e veri intellettuali di domani. Penso che tutti coloro che, a seguito della querela subìta da Giorgia Meloni, solidarizzano con lo storico pugliese, siano degli emeriti idioti ma soprattutto individui addestrati ad essere, in qualunque circostanza, fedeli servi dei loro padroni.
Tuttavia, anch’io ritengo che il fascismo non sia mai morto e che mai morrà nella storia a venire di uomini e donne, per il semplice fatto che esso non è una malattia politica ma una malattia spirituale e, come tale, suscettibile di continue rinascite: anche, si intende, nelle più sofisticate ed illuminate elaborazioni di certa intelligenza teorico-rivoluzionaria di sinistra.
Francesco di Maria