di Roberto Santarosa
Le recenti reiterate provocazioni indirizzate da Erdogan a diversi Paesi europei, tra cui Francia, Olanda, Svezia e soprattutto Germania, cui si può aggiungere anche l’Italia offesa qualche tempo fa dal premier turco nella persona del suo capo religioso ovvero papa Francesco, non sono occasionali, episodiche o dovute ad un inconsapevole seppur increscioso incidente di percorso. Rientrano invece in una precisa volontà politica di destabilizzazione europea al fine di accentuare l’importanza della presenza turca nel mondo e di rendere più centrale nel quadro dei rapporti internazionali il ruolo politico, economico e militare della Turchia musulmana più che di quella laica, ancora minoritaria rispetto alla prima.
Dopo essersi assicurata l’alleanza con la Russia di Putin, non senza sacrificare l’orgoglio nazionale turco nella guerra in Siria e Iraq, e ben conoscendo le forti riserve mentali verso l’Europa del nuovo presidente Donald Trump, Erdogan ha pensato di trasformare la sua attendistica posizione di politica europea in un più determinato e aggressivo atteggiamento non solo nei confronti della UE, in quanto massima istituzione della politica generale degli Stati europei, ma proprio nei confronti della cultura e della civiltà europee notoriamente intrise, nonostante molteplici e corrosive fasi di laicizzazione, di religiosità e fede cristiane.
Non bisogna infatti dimenticare, come troppo spesso accade a diversi osservatori e commentatori politici, che i due Paesi islamici più forti ed ostili alla civiltà cristiana sono l’Arabia Saudita con i suoi ben noti legami, anche se ufficialmente quasi ignorati nelle maggiori sedi politiche internazionali, con l’Isis, e per l’appunto la Turchia, storicamente sempre mossa da uno spirito di conquista verso l’Europa cristiana.
Purtroppo, quando si mette da parte la storia soprattutto in ossequio al “politicamente corretto”, si finisce per trovarsi impreparati dinanzi a certe situazioni, qual è quella in cui si trova l’Europa ancora incerta e balbettante su diverse questioni di vitale importanza anche dinanzi all’arroganza turca dell’islamico sunnita Erdogan, che è molto meno ostile di quanto vorrebbe far credere ai terroristi dell’Isis. Ma, in realtà, il dittatore turco non sta facendo altro che riesumare e riproporre una strategia antieuropea di conquista o supremazia rimasta per lungo tempo silente nella storia della Turchia moderna dopo le provvidenziali vittorie degli eserciti europei (a parte quello dello stolto Luigi XIV) sulle armate ottomane a Lepanto, nel 1571, e a Vienna nel 1683. La politica erdoganiana, infatti, è quella del perfetto e ortodosso seguace maomettano, segnato da una fede religiosa fanatica in Allah che viene implicando direttamente la soppressione o la sottomissione con qualunque mezzo degli infedeli, tra cui assume un posto di particolare rilievo l’infedele cristiano e occidentale.
E’ una costante storica che continua ad essere troppo sottovalutata da analisti, uomini politici e persino da religiosi occidentali, e che invece dovrà tornare presto ad essere tenuta in grandissima considerazione se non si vuol correre il rischio più che fondato di esporre concretamente il nostro continente e le nostre popolazioni di fede o di matrice cristiana all’ennesimo assedio turco-ottomano che oggi e per il prossimo futuro potrebbe manifestarsi non già, almeno per l’immediato, nella tradizionale forma dell’aggressione militare, ma in diverse altre forme (incoraggiando per esempio la natalità turca dei residenti turchi in Europa, fomentando nascostamente il terrorismo nelle principali capitali europee, favorendo un’immigrazione selvaggia nei Paesi europei, rendendo molto più difficili le condizioni di vita dei cittadini laici e cristiani europei residenti in Turchia): provvedimenti, ritorsioni, minacce di varia natura, insomma, che alla lunga potrebbero fiaccare la capacità di resistenza dei popoli europei, indebolendone altresì la tenuta economica e la compattezza politico-istituzionale, nonché la fedeltà alle proprie tradizioni culturali e religiose.
Occhio dunque a questo nuovo sultano del terzo millennio e al concreto pericolo che le sue politiche islamiche, in Turchia e fuori di essa, rappresentano. Un’Europa divisa, politicamente e militarmente ma innanzitutto culturalmente e religiosamente, non sarà in grado di scongiurare in prospettiva il suo declino e il suo imbarbarimento sotto una crescente egemonia politico-culturale e religiosa che potrebbe sfociare prima o poi in occupazione o controllo militare.
C’è chi sostiene che, se si volesse mettere una pietra tombale sopra lo jihadismo tracotante dell’Isis e di tutte le altre formazioni terroristiche di matrice islamica, bisognerebbe determinarsi in Occidente a destabilizzare i padrini sunniti più potenti, ovvero Arabia Saudita e appunto Turchia, veri santuari della barbarie e del terrore, prima che questi due Paesi destabilizzino l’Occidente o almeno l’Occidente con più radicata fede cristiana e cattolica, anche se non è detto che in quel caso la Russia ortodossa sarebbe ancora disposta a fare da palo.
E’ certo un’ipotesi realistica ma, da un punto di vista cristiano, risulta molto difficile avallare l’idea che, per ridimensionare drasticamente la possibilità di una islamizzazione dell’Europa, sia necessario incoraggiare una violenza omicida contro popolazioni inermi e una violenza fratricida all’interno di determinati popoli solo perché islamici. Di certo, però, se vuole sopravvivere, l’Europa dovrà contrapporre all’islam di Erdogan la sua più antica e indelebile identità religiosa, che è quella che si trova radicata nell’opera salvifica di nostro Signore Gesù Cristo.
Beato frate Marco d’Aviano, grande ispiratore della vittoriosa opposizione militare cristiana ai turchi
Il re di Polonia Giovanni III Sobiesky, il vero e grande vincitore della battaglia di Vienna, fece accompagnare le bandiere turche catturate alla fine di quel memorabile evento e inviate a papa Innocenzo XI in segno di omaggio religioso con queste parole: “Veni, vidi, Deus vicit”. Se ne ricordi l’Europa tendenzialmente laicista di questi giorni e cerchi di riflettere sul fatto che ancora oggi, proprio per volontà di papa Innocenzo XI, il 12 settembre (giorno in cui appunto i cristiani fermarono a Vienna l’avanzata turca) è dedicato al Santissimo Nome di Maria, in ricordo e in ringraziamento di quella storica e gloriosa vittoria.
Roberto Santarosa