La sessualità tra filosofia e teologia

Il desiderio, che è alla base del bisogno esistenziale di felicità umana, ha una natura polivalente: non solo sessuale, ma anche psico-affettiva, intellettuale, morale, estetico-sensoriale, spirituale e religiosa, a meno che non si intenda ritenere plausibile la tesi per cui non si dia aspetto o momento della complessiva e pur complessa vita spirituale degli esseri umani che non abbia nel sesso le sue più profonde e originarie radici. Ora, che la vita spirituale umana sia indissociabile dalla vita corporea, psichica, emotiva, sentimentale, e quindi anche erotica e sessuale, è ciò che ormai, anche da un punto di vista cristiano, appare non solo accettabile ma doveroso, ma questo non comporta che, se prima si era ecceduto in una visione troppo intellettualista dello spirito, adesso sia più lecito eccedere in una visione troppo materialista della carne e della stessa sessualità, perché si tratta solo di rendere razionalmente più equilibrato questo rapporto tra carnalità e spiritualità. Niente disprezzo per la carne, ma niente più sospetti verso lo spirito che si manifesta come carne e corpo, facendo però di quest’ultimi il dignitoso e glorioso “tempio dello Spirito Santo” cui Cristo ha promesso la risurrezione1.

Non si tratta di ridurre drasticamente e univocamente la vita spirituale a eros e desiderio sessuale ma di cogliere l’originale significato dell’evoluzione spirituale anche al di là della dimensione sessuale che pure ne condiziona, in misura minore o maggiore, la processualità. Non si tratta, soprattutto, di interpretare l’evoluzione spirituale come una realtà inesorabilmente intrecciata, nel bene o nel male, con le dinamiche della fenomenologia sessuale, cioè nel suo tendere a stadi di maturo e gratificante appagamento o, viceversa, a stadi di angosciante disordine interiore, ad una sorta di autoemancipazione biologica della specie umana o ad un pansessualismo mistico o orgonico-vitalistico2. La sessualità è un fattore importante della spiritualità, ma, attraverso e oltre essa, quest’ultima è capace di costruirsi ambiti coscienziali autonomi di libertà teorico-pratica, tra i quali anche quello in cui sia possibile interrogarsi proprio sul senso della sessualità nel quadro della vita spirituale individuale e collettiva. E’ così che l’io viene ponendosi domande non solo drammatiche ma soprattutto significative: come si spiega che, anche ove sussista una vita sessualmente appagata e appagante, non di rado si avverta un persistente e doloroso senso di solitudine e il vivere venga percependosi più come angoscia che come gioia? Perché una buona educazione dei sentimenti, una sperimentata capacità di contenere o controllare le emozioni, un’esperienza affettiva e relazionale altrettanto equilibrata e soddisfacente, non riescono ad incidere, se non in modesta misura, sulla natura frenetica e inquietante di un’attività di pensiero e di coscienza sempre così carica di fastidiose ma incalzanti turbolenze etico-intellettuali? E, d’altra parte, in che modo si deve interpretare un fenomeno oggi così accentuato come il cosiddetto calo del desiderio, non solo tra soggetti anziani o maturi ma anche, e sorprendentemente, tra adolescenti e giovani in apparenza ancora pieni di vitalità e aperti a frequenti, se non necessariamente intense relazioni affettive e relazionali?3.

Se è vero che la sessualità sia così centrale, così pervasiva, nella vita degli individui, com’è possibile immaginare che quest’ultimi in generale, maschi e femmine, sia pure per motivi diversi e opposti,  e ad accezione di sempre più numerosi casi di violenza sessuale che non sono però dimostrativi di virilità o di ardore erotico quanto di inconscio e irrazionale desiderio di spegnere la fonte stessa di una sessualità sempre più spesso pensata e vissuta come fattore di destabilizzazione e tormento esistenziali, possano stancarsi di esercitarla in forme proprie o improprie e avviarsi, anche solo inconsapevolmente, ad una rinuncia al sesso? Sembra che, per quanto biologicamente potente o esplosivo, la sessualità, sotto l’incalzante condizionamento di fattori culturali e psicologici più che strettamente fisico-fisiologici, cominci a declinare, a decrescere, soprattutto all’esterno della coppia tradizionale, alla cui funzione non particolarmente elettrizzante ma in qualche modo “protettiva”, molti uomini e donne non intendono rinunciare. Il fatto è che il sesso è diventato, sul piano mediatico e culturale, oggetto di un consumismo così diffuso e sfrenato da instillare nell’immaginario sessuale collettivo paragoni o confronti, immagini e fantasie, troppo distanti da ordinarie situazioni sentimentali, amorose ed erotiche di vita e quindi, alla lunga, anche demotivanti, disincentivanti, al punto di non rendere più comprensibile il concetto per cui ogni rapporto d’amore è unico e non può essere identico all’altro. Anche in questo caso ricorrono i due termini maggiormente caratterizzanti la struttura antropologica degli individui, ovvero la loro uguaglianza ma anche la loro diversità e, per evitare approcci riduttivi, bisognerebbe tenerlo sempre presente4.  

È sempre più frequente assistere ad usi disinvoltamente strumentali dei propri partners: la fidanzata o la compagna viene esibita dall’uomo per sedurre conoscenti ed amici e per rassicurarli sulla sua virilità e alle stesse ragioni è dovuta l’esibizione del proprio maschio da parte della donna. Si è decisamente lontani dal tempo, o forse no, in cui Kant ammoniva a non voler considerare e trattare ogni essere umano come semplice mezzo ma sempre e soltanto come fine. Platone diceva che, a voler abusare della libertà, si finisce per trasformarla in dispotismo, mentre Popper sosteneva che il venir meno di determinati beni e diritti nella “società aperta” può anche derivare da “un’apertura eccessiva alla libertà”, da una idolatrizzazione abitudinaria, si potrebbe dire in termini biblici, della libertà. Non sono le garanzie costituzionali, né le convenzioni giuridiche sempre più unificanti del mondo, a poter rendere più liberi e sicuri gli individui circa il livello di libertà praticabile verso cui sia possibile spingersi, perché, superato un certo limite non già nell’ordine delle cose normativamente vietate ma in quello delle cose giuridicamente consentite e possibili, essi vengono presi da un senso di vertigine e non sanno più esattamente a cosa orientarsi e per che cosa realmente vivere, perché, per una libertà senza limiti interiori, tutto è sempre ugualmente possibile, e la vita diventa un abisso. Altro è, infatti, la libertà negativa, la libertà da costrizioni sociali palesemente ingiustificabili, altro la libertà positiva ovvero la libertà di scelta in rapporto ad un ventaglio molto ampio di possibili opzioni. La libertà di è fortemente condizionata, dice Zoja, dai costumi e dall’educazione ricevuta ben più che dalle leggi esistenti, anche se, a dire il vero, il valore etico della libertà positiva consiste proprio nella libertà di compiere scelte e atti anche in opposizione ai condizionamenti ricevuti e introiettati nella coscienza, per cui ci si può astenere dal compiere atti trasgressivi non necessariamente per motivi inibitori connessi ai condizionamenti medesimi e alle relative, acquisite abitudini di vita, ma, al di là di essi, per convinzione maturata in termini di razionalità e di coscienza morale5.

In relazione alla tematica sessuale, tutto ciò significa che, pur riconoscendo i forti e unificanti condizionamenti che vengono esercitandosi sulle forme fenomenologiche della vita sessuale planetaria, da un lato con le mode comportamentali come con le evoluzioni o le involuzioni dei costumi sessuali, dall’altro con le stesse esperienze educative e culturali originariamente acquisite dagli individui che potrebbero fungere in parte da contrappeso alle prime, alla fine a decretare il senso o il destino valoriale di questo o quel vissuto sessuale sono gli usi esistenziali che del sesso, con maggiore o minore coerenza etica e spirituale rispetto ad un principio di razionalità e di razionale eticità, saranno stati fatti, anche tra fallimenti frustrazioni e “perdite” di varia natura. Il principio appena evocato di razionalità e razionale eticità dovrebbe fungere da anticorpo atto ad assicurare, anche nel caso specifico della sessualità, il miglior accordo possibile tra efficacia intuitiva e/o logico-conoscitiva, avveduta o sensata libertà di scelta e azione, responsabile capacità di coordinare le ragioni o i diritti della sessualità con le molteplici e ancora inespresse possibilità della spiritualità. Tale accordo, pur sempre da correlare a specifiche situazioni di vita individuale, non sempre è il migliore possibile, e anzi sempre più spesso risulta abbastanza trascurato o addirittura ignorato, ed è appunto da qui che derivano poi gli effetti indesiderati, le degenerazioni, gli svantaggi più o meno dannosi per i singoli e per intere comunità sociali.

Non basta parlare criticamente della società globale come di una società sempre più “liquida” ed eticamente scettica ed inconsistente, per venire a capo del problema della crisi della sessualità, anche se è indubbiamente vero che, ove valori e princìpi morali siano ormai in via di dissoluzione, non restino altro che soluzioni precarie, effimere ed improvvisate, in virtù delle quali è sempre più difficile governare il sottosuolo ribollente delle sensazioni, delle emozioni, delle pulsioni sessuali più esplosive, e anche se è molto acuto il giudizio di chi sostiene che «l’uomo del primo Novecento, l’Uomo Senza Qualità narrato da Musil, vittima della società di massa, diventa oggi piuttosto un Uomo Senza Legami, singolo individuo separato, privo di zavorre relazionali, privo di impedimenti, di catene, di responsabilità. È proprio qui che esplode la contraddizione tra l’essere animali sociali, che è un elemento costitutivo della condizione umana, e l’essere individui separati, condizione fondante dell’attuale modello di vita dominante, il modello dell’uomo consumatore. La relazione d’amore, dunque è la prima vittima nel trionfo della società dei consumi. Perché il consumatore deve essere slegato da ogni vincolo, perché così può disporsi alla infinita variabilità dei desideri e inseguire senza sosta il richiamo delle merci»6. Però, occorre non rassegnarsi a questo dato di fatto come ad un dato ineluttabile e immodificabile, cominciando a pensare individualmente anche in modo alternativo alle stesse tendenze, per così dire, centripete del proprio inconscio personale e ingaggiando una lotta dura anche se non masochistica non tanto contro inevitabili e fisiologici momenti di debolezza quanto principalmente contro la tentazione di legittimare come perfettamente naturale il ricco ed effervescente mondo delle umane perversioni, giacché, se tutto è sempre e comunque naturale, nulla potrà essere considerato innaturale, abnorme o anomalo. Il che, peraltro, sarebbe falso, per il semplice fatto che il regno della natura, ancor più di quello della storia, è pieno di realtà innaturali, di forme abnormi di vita, di anomalie genetiche o evolutive7.

Qui non si tratta di voler ignorare il tentativo nietzscheano di riconnettere «il pensiero alla natura, ai corpi, ai sensi, abbandonando gli “ideali ascetici” dei filosofi a lui precedenti» e di voler depotenziare quella abbondante carica di avversione per la vita, di disprezzo per l’umano e il corporeo, di ripugnanza per i sensi e il piacere, di cui non è certo priva la storia stessa della filosofia e che così spesso hanno tolto attendibilità, plausibilità alla ragione e ad una ragione irrealisticamente sottratta ai suoi desideri, alle sue passioni, alle sue esperienze vitali anche se talvolta ingannevoli e perturbatrici; si tratta piuttosto di coniugare correttamente, in modo bilanciato e non unilaterale, istinto e razionalità, sentimento e giudizio, libertà sessuale e senso di responsabilità, per evitare che il proprio vissuto si trasformi in un cimitero di fallimenti relazionali ed esistenziali e la propria spiritualità in radicale rimozione della propria naturalità e umanità, anziché in centro propulsivo della loro       promozione e valorizzazione. Ma, innanzitutto, si tratta di capire analiticamente le ragioni interne del processo di dissoluzione della sessualità come fonte generativa di nuova vita, come condizione di conservazione della specie, come psicofisiologica opportunità di godimento e di piacere8.

Perché la sessualità e direi anche la sensualità in misura non trascurabile, pur soggetta a ricorrenti crisi storico-strutturali, appare attualmente investita da una crisi epocale? E’ vero che il desiderio tenda costitutivamente all’infinito: esso è, per natura, iperbolico, un asintoto, ovvero una funzione pulsionale sempre in cerca di appagamento ma mai in grado di procurare un appagamento completo e definitivo. In realtà, esso, in quanto desiderio di esseri finiti e cangianti, si finitizza nell’atto sessuale, viene appagato tendenzialmente in modo più o meno soddisfacente, più o meno durevole. Se il desiderio sessuale viene staccato da un più complessivo desiderio di natura esistenziale, viene cioè a farsene esperienza concentrando ed esercitando su di esso tutte le proprie energie e le proprie aspettative di felicità, poco per volta finisce per perdere vigore, immaginazione creativa, forza aggregativa, finisce per anestetizzarsi e per sottrarsi gradualmente alla funzionalità unitaria dell’organismo vivente, di sesso maschile o femminile che esso sia: una specie di ramo tagliato e separato dal tronco d’albero in cui risiede la vitalità di tutte le sue parti. In tal senso, poi, vengono emergendo come particolarmente rilevanti gli apporti della psicoanalisi freudiana e del materialismo storico marxiano9. Infatti, da una parte, la donna che non venga realizzandosi nella globalità delle sue funzioni vitali, sarà sempre più esposta al rischio di percepirsi come uomo mancato, non realizzato secondo i prototipi di donna derivanti dalle Sacre Scritture, dal pensiero filosofico e dalla plurimillenaria elaborazione culturale, donde quel complesso di inferiorità, connesso freudianamente in modo emblematico all’invidia poenis, per cui la donna stessa, non l’uomo, tende ad autoconsiderarsi per quello che non ha (il pene e tutto quel che esso evoca in termini di forza, di potere, di supremazia) e che non è, non per quel che ha ed è.

Tale complesso, con il passar del tempo e l’evolversi della cultura e della società, viene sempre più accentuatamente manifestandosi non solo sul piano sessuale ma anche su quello sociale. In che modo? Non con un atteggiamento femminile di sottomissione, ma di rivolta, di ribellione vieppiù aperta all’ideologia sessuale ed esistenziale sostenuta e veicolata, con mille furbizie, dal genere maschile. Di conseguenza, la donna, da un punto di vista maschile, non necessariamente maschilista, avrebbe cominciato ad essere percepita come ostacolo alla virtù in generale e alla stessa evoluzione spirituale dell’uomo, perché costretto a rintuzzarne in modo sempre più strenuo le recriminazioni e le rivendicazioni via via più esasperate. Si è giunti al punto che, oggi, dal punto di vista femminile, non basta più lottare per i diritti economici, sociali, politici, ma è necessario lottare per la propria specifica identità, che, pur non potendo essere quella dell’uomo, finisce tuttavia per essere antagonisticamente  emulativa di quella maschile. D’altra parte, benché da un punto di vista marxista, la donna venga sfruttata due volte sul piano economico-sociale, una volta come lavoratrice e una volta per il suo lavoro domestico non retribuito, essa recrimina anche contro Marx e seguaci, incapaci, a suo giudizio, di coglierne la specifica condizione di sfruttamento in quanto donna, in quanto soggetto appartenente al genere femminile e quindi discriminata sul piano sessuale e per preconcetti motivi sessuali.

Ecco perché il femminismo contemporaneo avrebbe rimproverato ai padri del socialismo di aver elaborato, nel quadro della concezione materialistica della storia, non un femminismo radicale e integrale ma parziale e unilaterale, appunto nel senso che non fosse sufficiente elevare lo status delle donne solo nella sfera domestica e nella più ampia sfera sociale, e fosse invece assolutamente necessaria una loro emancipazione proprio sul piano specificamente sessuale, sul piano dei rapporti tra i sessi, al fine di liberare i rapporti tra esseri umani, indipendentemente dal loro sesso, da modelli o criteri sociali di tipo gerarchico e discriminatorio10. La teoria femminista del XX secolo, pertanto, pur riconoscendo di essere stata influenzata da Marx, non lo considera tuttavia un femminista nel senso moderno del termine. Il che è vero anche ipotizzando che Marx avrà avuto le sue buone ragioni per non esserlo. Di fatto, però, né il tentativo scientifico-interpretativo di Freud di riportare la sessualità al centro del discorso culturale, né la scienza storico-materialistica con la sua carica eversiva di egualitarismo sociale, avrebbero potuto contribuire ad una sostanziale emancipazione dell’eros al di là della sua immagine commerciale e delle interpretazioni che, dopo un secolo di femminismi, se ne continuano a dare secondo stereotipi maschilisti e rozzi.

Il sesso è diventato oggetto di consumo indiscriminato, di consumo quantitativo (pubblicità ammiccante e provocatoria, linguaggio e scrittura scurrili, comportamenti osceni ed esibizionistici, moda audace e costumi discinti non solo in particolari luoghi di vacanza), più che qualitativo (approccio non meramente psico-fisiologico, strumentale, edonistico, ma olistico, aperto ad una concezione spirituale dell’esistenza, e più intimistico ed inclusivo con una complicità sentimentale ed intellettuale non ridotta alla condivisione di specifiche pratiche ed esperienze di tipo erotico-sessuale). Peraltro, il fatto di propendere verso una sessualità più leggera e disinvolta, più epidermica e disimpegnata, più occasionale e avventurosa, non solo da parte dei maschi ma anche da parte delle femmine emulative (come detto) dei primi, piuttosto che verso una sessualità più disciplinata e profonda, meno emotiva e più riflessiva, non comporta affatto che, nel primo caso, la sessualità risulti meno abitudinaria e quindi più appassionata, eccitante o elettrizzante, e, nel secondo caso, più rutinaria, noiosa, ludicamente e trasgressivamente meno appagante, né d’altra parte si può escludere che anche chi opta per una sessualità più meditata e riservata non si trovi ad essere coinvolto in esperienze d’amore particolarmente turbolente o burrascose e che, viceversa, chi invece mostri maggiore propensione per il sesso “mordi e fuggi” o comunque casuale non si trovi coinvolto a vivere una intensa, struggente e significativa storia d’amore. Tuttavia, è importante avere le idee chiare, coltivare delle precise opzioni di vita, fissare una scala di valori, per non correre il rischio, qualunque cosa accada, di trovarsi impreparati e fragili nei momenti più critici e inattesi dell’esistenza.

D’altra parte, non è per niente realistico pensare che un rapporto sessuale, che abbia ad essere verosimilmente anche un rapporto d’amore più o meno durevole, possa fondarsi sulla reiterazione dell’emozione della “prima volta” e del gusto della novità, nonché su uno stato di eccitazione permanente, e possa per contro privarsi del caldo abbraccio della quotidianità, della complicità, della fedeltà11. Sono tuttavia molti coloro che pensano che l’amore sessuale e l’amore tendenzialmente olistico o spirituale possano procedere anche separatamente senza che, per forza, debbano verificarsi gravi ripercussioni per l’uno o per l’altro, ma resta pur sempre da capire e da spiegare per quali ragioni ormai il consumo di sesso sia diventato ad un tempo straripante e insignificante, straripante come merce di scambio ma insignificante come valore, come cemento spirituale nella vita di due persone, come scopo di una vita da trascorrere non solo e non tanto nel piacere dei sensi quanto nell’esercizio di un reciproco e gratuito donarsi, di un amore tanto più vero e profondo quanto più disinteressato anche al di là delle pur sacre mura domestiche. E’ un dato di fatto che la sessualità, nel suo originario significato oblativo, inclusivo, unitivo, cooperativo, tenda vistosamente a dissolversi e a regredire sia sul piano della qualità dei rapporti erotico-sessuali, sia anche su quello di una pur sempre auspicabile intesa esistenziale. Mentre in proposito il dibattito divampa soprattutto a livello mediatico, accademico e politico, pochi hanno il coraggio di osservare che l’amore non è in nessun caso una merce e che le sue modalità di svolgimento e di attuazione non corrono parallele alle umane aspettative: che forse, volendo coglierne il senso originario e originale, dovremmo guardare oltre le sue forme storico-sociali, dovremmo muovere da altro e da un Altro12.

Se si vuole, si può anche concedere che l’amore umano, anche o proprio sul piano sessuale, nasce come uno scambio legittimo e doveroso, senza però dimenticare di aggiungere che poi cresce solo nei limiti in cui ognuno impara a donarsi all’altro e per l’altro senza chiedere nulla. Molti dicono che non sia possibile. Alcuni, come lo scrivente, rispondono che è necessario, sebbene nella cultura soggettivistica e nichilista che oggi celebra il trionfo di un io sempre più destrutturato, l’amore è sempre più sul punto di diventare una chimera. Uno che vuol fare quel che vuole, assecondando i propri umori e le proprie voglie improvvise o estemporanee, non può amare; uno che non risponde alle domande sensate del partner o che ad esso si rivolge con parole sprezzanti quanto spesso immotivate, non può amare; ma anche chi, per pura superbia, non vuole essere corretto dal partner, o chi è disposto a perdonare il partner solo per viltà o per morbosa dipendenza da lui, non può amare, non è capace di amare, anche se ugualmente bisognoso di amore. Come dimenticare le celebri, sapienti e istruttive parole di un grande peccatore e di un grande santo come Agostino di Tagaste: «ama e fa’ ciò che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell’amore, poiché da queste radici non può procedere se non il bene»13.

 Ma quali sono, dunque, le origini, le cause di questa vistosa regressione della sessualità, di questo inesorabile spegnersi della libido o del desiderio, di quella stessa esplosività erotica dei sensi che aveva investito, con la rivoluzione sessuale degli anni sessanta, la società mondiale, lasciando presagire che essa si sarebbe liberata da tabù e costrizioni di ogni genere? Perché oggi che ci sono molti meno divieti, molte meno norme repressive di un tempo, persino all’interno della Chiesa, e molti più incentivi all’esercizio di una libera, gioiosa e diffusa sessualità, accade inopinatamente che la sessualità venga bruciandosi in tristi e frequenti esperienze di sesso solitario o autoerotismo, benché abbondantemente presenti nelle pratiche sessuali di tutte le epoche, oppure in occasionali, spesso estreme, e tuttavia non sporadiche, esperienze sessuali interindividuali o di gruppo? Perché, probabilmente, si registra un vertiginoso aumento delle disfunzioni sessuali maschili a fronte di processi molto rapidi di emancipazione sessuale sul versante femminile e quasi al limite della completa disinibizione e della pubblica immoralità, perché la sessualità è forse prossima a diventare sinonimo di violenza sessuale, di stupro, di depravazione, di criminalità, e perché ci si trastulla, già da adolescenti, nel futile chiedersi se sia più conveniente esercitarla per quel che biologicamente si è per nascita o per quel che invece si potrebbe essere per scelta “culturale”?  

La civiltà, diceva Freud, è portata a creare degli ostacoli, dei divieti, delle norme repressive, per evitare che gli istinti, l’energia libidica, le pulsioni sessuali, si trasformino in forze socialmente e umanamente distruttive, e che la fondamentale pulsione di vita (Eros)  che agisce negli esseri umani si trasformi in una devastante pulsione di morte (Thanatos), anch’essa presente nella vita di uomini e donne, anche se in modi relativamente diversi. Se si assume l’interpretazione freudiana come possibile ipotesi di ricerca, se ne può dedurre che quanto più, soprattutto in relazione alle sfere più intime della personalità umana, si vengono togliendo condizionamenti o contrappesi etici e religiosi alla libertà dei singoli e delle masse, tanto maggiore è la possibilità che la libertà stessa venga rarefacendosi in una serie di atti che, non incontrando limiti, tendono a mete, ad obiettivi, sempre più dispendiosi ma anche così irrealistici da assoggettare quegli stessi atti ad uno stato di frustrazione, di persistente inquietudine e inappagamento, e non di rado di esasperata e rabbiosa violenza contro i propri simili, anch’essi ormai privi di punti di riferimento morali e quindi rei di essere percepiti come complici, sia pure passivi, di una condizione generale di disordine, di smarrimento, di totale non senso. Anche quella stessa libertà sessuale per interi decenni invocata e rivendicata dalle femministe di tutto il mondo, da una parte è venuta producendo sia una moltiplicazione delle forme di sessualità (etero, omo, trans, e via dicendo)14,  sia anche il diritto della donna ad esercitare liberamente la propria sessualità, dall’altra, nel produrre un sostanziale indebolimento del tradizionale rapporto eterosessuale e nell’ottenere che il diritto alla libertà sessuale fosse interpretato in senso sempre più espansivo, ha finito per generare i margini delle patologie o perversioni sessuali, ma anche per rendere più insicuro e, sempre più spesso, anche violento il sesso maschile. Peraltro, benchè oggi sempre più esasperato, il rapporto tra femmine e maschi, non è mai stato solo di cooperazione e confronto, ma anche di rivalità, gelosia, conflitto e vera e propria guerra15.

Il consumismo ideologico tende ovviamente ad incoraggiare queste dinamiche inducendo a pensare che, nel volere sempre di più, si possa essere sempre più felici: per riproporre l’esempio di Zoja, si può esser felici nel mangiare una tavoletta di cioccolato, ma non è affatto detto che, mangiandone due o tre o più tavolette, sarà possibile raggiungere una felicità sempre maggiore: anzi è quasi certo che, a voler forzare il nostro istintivo desiderio di alimenti o cose gustose, si finisca solo per stare male16. Non c’è da temere che, di questo passo, la leggendaria, duplice lotta di liberazione sessuale e di liberazione della donna venga mutando il suo originario significato di liberazione della sessualità e della stessa sessualità femminile in liberazione dalla sessualità e dalla donna tout court? Non è possibile che questo continuo battere sulla estrema flessibilità di forme e significati della realtà sessuale, sulla indistinta fluidità della sessualità maschile e femminile, venga inducendo, in gruppi sempre più ampi e numerosi di individui, il dubbio che il sesso non sia più quel che avevamo sempre creduto sin dall’adolescenza, quel momento esistenziale di godimento, di appagamento e di distensione, di spensieratezza creativa, quel momento altresì funzionale a tenere lontani i fantasmi di solitudine e di angoscia sempre incombenti sulla vita personale di ognuno di noi?

Non è possibile che questo timore o questa scoperta comincino a produrre un fastidio, un’ansia, un crescente rifiuto della pratica sessuale in quanto tale, e che, contemporaneamente, il desiderio sessuale da fonte di piacere si converta in fonte di turbamento, di inquietudine, di disturbo psico-nevrotico? Non è possibile che, prima o poi, gran parte del genere umano possa risultare affetto da una sorta di anoressia sessuale e che la pace dei sensi risulti poco per volta preferibile all’uso di una sessualità ormai antropologicamente intrisa di ambiguità, di inganni, di implicite, inattese e devastanti aspettative? Ha affermato significativamente Susanna Tamaro: «L’amore, per la mia generazione, era slancio, ebbrezza dionisiaca. Sono stata adolescente dopo il ’68 ed era una rivoluzione sconvolgente, un viavai di vivacità. Era tutto libero, l’amore era libero, la droga era libera. Oggi, invece, vedo grande carenza d’amore, come se una spinta ormonale si fosse affievolita. Quando ero giovane io, il cuore era la forza dell’eros. Da appassionata di animali, ne dò una lettura da zoologa: gli ormoni spingono quando c’è l’innamoramento. Ora, siamo all’anoressia erotica … Cos’è l’anoressia erotica? Eccitazione puramente genitale. Viviamo nel mondo della prestazione. Fare sesso è una schiavitù e, se a qualcuno non interessa, si sente in colpa e viene preso per depresso. Siamo alla morte dell’eros ed è il segno che la civiltà è finita, perché la fine dell’eros è affievolirsi di passione per la vita»17. E Lucetta Scaraffia, nell’evidenziare le luci e le ombre della rivoluzione sessuale, non può fare a meno di osservare che alla lunga, soprattutto per le donne, gli effetti da essa prodotti sono risultati negativi: «Il corpo non è un jukebox. Separare il sesso dalla procreazione non ha aiutato il desiderio, che si nutre d’immaginazione, di proibizione. E di pudore, che è un modo per addomesticare il desiderio, fare sì che non sia brutale. Avere rapporti sessuali dentro questa ricchezza simbolica e culturale è diverso dall’averli trattando il corpo come un jukebox. Adesso che tutto è permesso, di desiderio ne è rimasto ben poco … Già avere il coraggio di ammettere che la rivoluzione sessuale non è stata solo un guadagno enorme, ma anche una perdita, ci aiuta a riflettere. Gli antichi dicevano che il pudore, che oggi sembra completamente perduto, è ciò che differenzia gli umani dagli animali ed è un pensiero che mi affascina molto: cosa facciamo quando cancelliamo il pudore dai nostri rapporti? Forse cancelliamo una parte di umanità, quella che ci ha permesso di civilizzare gli istinti»18

Il pudore che, scriveva Galimberti più di un vent’anni or sono, difende la nostra intimità, difende anche la nostra libertà: e «la difende in quel nucleo dove la nostra identità personale decide che relazione instaurare con l’altro. Il pudore allora non è una faccenda di vesti, sottovesti o intimo abbigliamento, ma una sorta di vigilanza per mantenere la propria soggettività, in modo da essere segretamente se stessi in presenza degli altri. Ma contro tutto ciò soffia il vento del nostro tempo che vuole la “pubblicizzazione del privato”, perché in una società consumista, dove le merci per essere prese in considerazione devono essere pubblicizzate, si propaga un costume che contagia anche il comportamento degli uomini, i quali hanno la sensazione di esistere solo se si mettono in mostra, per cui, tra uomini e merci, il mondo è diventato una “mostra”, un’esposizione pubblicitaria che è impossibile non vistare perché comunque ci siamo dentro. Siamo diventati tutti “esposti”, la nostra identità è ormai fuori di noi, è laggiù, in ciò che si dice di noi».  Di fatto, la mancanza di pudore individuale e sociale fa sì che di intimo, di profondo, di originale, resti ben poco, e anzi, come precisa il filosofo brianzolo, sia  «rimasto solo il dolore, la malattia, la povertà che ciascuno di noi cerca di nascondere per non essere trascurato dagli altri, da loro tralasciato. E così proprio ciò che avrebbe massimamente bisogno di comunicazione (il dolore, la malattia, la povertà) resta chiuso nel segreto della solitudine dove nessuna voce giunge a diluire quel che la solitudine rende insopportabile. E poi ci si meraviglia del numero sempre più impressionante di suicidi, quando una voce inespressa decide di tacere per sempre. Qui inquietante non è il suicidio, ma la nostra meraviglia. Abbiamo capovolto il senso del pudore a cui abbiamo dato da custodire non più la nostra “intimità”, in cui si radica la nostra identità personale e la nostra libertà, ma il fondo opaco e buio del nostro “dolore”, reso addirittura inespressivo per l’impossibilità di comunicarlo. In questo caso non c’è né conformismo né omologazione, ma la difesa ostinata di un silenzio per non privarsi almeno di quelle conversazioni insincere, che del dolore, della malattia, della povertà non vogliono saper nulla, ma proprio nulla»19.

Il sesso libero, anzi anarchico, non fa altro che aggravare questa condizione epocale di solitudine esistenziale, suscettibile di tradursi altresì in atti di disperata e rabbiosa violenza contro se stessi o contro chi non si ritrova affettivamente ancor più che sessualmente vicino a sé, perché l’estremizzazione della libertà sessuale viene producendo processi di radicale disinibizione e pubblicizzazione di opzioni e pratiche sessuali, in tempi normali destinati a rimanere privati, riservati, intimi per l’appunto, sconvolgendo per ciò stesso gli equilibri più delicati della psichicità personale e destabilizzando tanto gli assetti interiori, spesso faticosamente raggiunti, dell’io, quanto lo spirito cooperativo necessariamente inerente la struttura sociale. Bisognerebbe capire, oltretutto, che non si possono confondere i desideri con i diritti, i variabili stili di consumo anche sessuale con i criteri direttivi del dibattito e della prassi politica, la propensione a cancellare la storia e qualsivoglia forma di identità con una inedita forma di creatività culturale. Una cultura che non riconosca il limite è una cultura senza radici e una cultura senza radici non può che generare spaesamento, frammentazione, dispersione e alla fine infelicità, perché anche come individui non si può tendere alla felicità senza stabilire dei limiti entro cui si possa coltivare il terreno di una possibile, realistica felicità20.

Una libertà senza limiti, una libertà assoluta, può essere solo quella di Dio, con la conseguenza che la pretesa di esercitare umanamente una libertà illimitata, non solo è contraddittoria rispetto alla oggettiva condizione di finitezza dell’essere umano, e quindi inevitabilmente destinata a scontrarsi e ad essere ostacolata e repressa o negativamente condizionata dalle altrui, irrazionali pretese di libertà, ma è anche e soprattutto esposta al severo giudizio divino e all’esemplare condanna che ne consegue per tutti coloro che, dimentichi di aver ricevuto la libertà in dono, ambiscano a farne un uso arbitrario e irresponsabile. La stessa libertà sessuale, pertanto, non può che avere dei limiti e conformarsi a norme non indefinitamente elastiche di comportamento, oltre le quali ha luogo la violazione della volontà divina e della stessa umana razionalità che ne è pur sempre un riflesso ontologico21. Anche perché una libertà sessuale che non preveda delle rinunce, volontarie e quindi libere, che non preveda una capacità di autoprivazione funzionale ad una maggior condivisione di vita affettiva e sessuale col partner, nasce già cieca e improduttiva, cioè incapace di disegnare una prospettiva di duratura vita in comune, al di là o al di qua della quale esiste solo l’amore seduttivo, estemporaneo, narcisistico, spesso impotente e strumentale del don Giovanni di Kierkegaard22.

I protagonisti di un rapporto d’amore sessuale inglobato in un più ampio, complesso e significativo rapporto d’amore spirituale, sono certo più vulnerabili rispetto ad amanti occasionali e non desiderosi di lasciarsi coinvolgere in esperienze affettive troppo impegnative o addirittura in contesti relazionali particolarmente carichi di motivazioni o pregiudiziali etiche o religiose. Tanto più vulnerabili sul piano esistenziale quanto più moralmente vigili ed esposti al giudizio della loro coscienza morale e quanto più determinati a prestare fedeltà al loro credo etico o religioso, per il semplice motivo che dove l’impegno etico e spirituale di fedeltà è massimo, massimo anche sarà lo sforzo richiesto per alimentarlo e per non precipitare nella voragine fallimentare della incoerenza e dell’ipocrisia, là dove tuttavia basta davvero poco, una delusione, un momento di crisi, un periodo di incomprensione nella coppia, per determinarne lo sfaldamento o la disgregazione spirituale e sessuale ad un tempo, mentre le coppie, per così dire, più disimpegnate, più pragmatiche e non condizionate da problematiche morali troppo vincolanti, sono meno vulnerabili nel senso che sono più forti della leggerezza esistenziale con cui hanno deciso di convivere, o almeno di frequentarsi e amarsi anche nell’ottica di un’eventuale, improvvisa e brusca separazione. Maggiore vulnerabilità ma anche un’intenzionalità amorosa e spirituale più seria e solida di quella di chi, meno vulnerabile perché educato ad una visione edonistico-utilitaristica del rapporto d’amore, è ben più preparato all’eventualità che esso possa cessare in qualunque momento. Va da sé che le forme di vulnerabilità laica credente, diversamente da quelle di vulnerabilità laica non credente pur ugualmente forti dell’autorevolezza del loro foro interiore, possono trovare nella fede il loro più efficace sostegno soprattutto nei momenti di crisi.

Jean-Luc Nancy riteneva, sulla falsariga di Freud che parlava di coazione a ripetere che il sesso e il piacere sessuale fossero legati al desiderio che deve essere rinnovato continuamente, nel senso che quanto più il piacere è soddisfacente, tanto più ci si sente non abbastanza appagati, donde una reiterazione di ricerca del piacere stesso, per cui il rapporto sessuale verrebbe a configurarsi come ripetitivo e illimitato23. Quindi, per il filosofo francese, non si farebbe sesso solo per essere soddisfatti, anche perché, come detto, non lo si è mai abbastanza, ma anche perché non cesserebbe mai lo stimolo a fare sempre qualcosa di nuovo pur facendo sempre la stessa cosa. Il fare l’amore rende effettivo l’amore, il sentimento o il rapporto d’amore intercorrente tra due corpi e due anime. Se l’amore detto non viene fatto, vuol dire che, benché detto, esso non è, non è realmente amore. Non so quali e quante esperienze erotico-sessuali, dirette o indirette, possa vantare in senso conoscitivo Nancy, ma ho la vaga impressione che la sua interpretazione della logica sessuale sia abbastanza semplificata e riduttiva. Di certo, si tratta di un’interpretazione anticristiana o quanto meno piuttosto critica del cristianesimo.

Nancy si chiede infatti per quale motivo la religione cristiana dell’amore prescriva il divieto del sesso disordinato e compulsivo, e risponde che tale motivo è nel fatto che essa consigli di consumare il rapporto sessuale non senza sublimare l’amore che lo ispira e in esso continua ad agire: che non è una spiegazione troppo distante dalle motivazioni contenute nella stessa dottrina cristiana e cattolica. Perché l’amore va sublimato e non involgarito e deturpato da un’eccedenza di umana concupiscenza? Perché se l’amore sommo è quello di Dio verso il creato, ne consegue che qualunque forma di amore non divino, come per esempio l’amore erotico e sessuale, non possa che essere relegata nell’ordine delle cose secondarie o inferiori. Anche qui occorre correggere e precisare che l’amore umano più coinvolgente e appassionato non può essere quello che si esercita verso una creatura, indipendentemente dal fatto che sia amore filiaco, caritativo o erotico, ma quello che si esercita verso Dio, bene supremo. Ecco perché il credente in Cristo, pur potendo e dovendo vivere in pienezza la sua sessualità e condividendo con la partner momenti di intenso ed estatico godimento, non deve mai correre il rischio di anteporre il piacere dei sensi all’ardente, disinteressato e smisurato amore verso Dio24. Peraltro, in questo tempo di intelligenza all’ammasso, non è agevole spiegare che, indipendentemente dal fatto che si abbia o meno una fede religiosa, il diritto costituzionale alla libertà sessuale non comporta affatto un diritto alla scelta sessuale, perché altro è la facoltà esistenziale di esercitare la sessualità al di fuori di modelli o schemi sessuali precostituiti e di predeterminati criteri etici, altro è la pretesa che tale libertà privata di scelta sia riconosciuta come diritto e come diritto sia fatta valere, intanto perché una tale opzione privata potrebbe impattare negativamente sull’altrui e pubblica moralità che, fino a prova contraria e nonostante l’infiltrazione sempre più erosiva di costumi arbitrari e perversi nel tessuto sociale, continua ad assolvere una funzione socialmente aggregativa e protettiva, e poi perché l’autorità politica non avrebbe alcun obbligo di avallare ed accogliere una tale richiesta anche in considerazione del fatto che la sua conversione in formale riconoscimento giuridico, in legge, potrebbe essere valutata come perniciosa e controproducente ai fini della stessa tenuta dello Stato25.

Da un punto di vista teologico, che non so fino a che punto la ragione giuridica potrebbe ignorare, non ci sono dubbi: si è liberi di esercitare la propria libertà sessuale nei limiti del proprio esistere come essere creati, come creature, come soggetti quindi derivanti e costituiti da altro e da un Altro in un determinato modo e con determinate caratteristiche anche sessuali, e non come soggetti costruiti e costruibili da se stessi o dalla cultura, donde l’autodeterminazione sessuale è altresì legittima solo nella misura in cui resti rispettosamente compatibili con i dati biologici originari, con i dati intrascendibili di natura: «Proprio perché vita ricevuta, anche la differenza sessuale dato originario dell’esistenza non cancella la responsabilità dei riceventi, ma invita non alla negazione e alla cancellazione del dato corporeo ricevuto con la pretesa illusoria della costruzione ex nihilo ma alla sua simbolizzazione e al suo significato squisitamente umano e sociale. Se tutto è costruzione culturale, non si vede perché indignarsi dinanzi alle diverse ideologie della storia, anche le più universalmente condannate»26. Questo non impedisce affatto che la cosiddetta “normalità”, che, checché ne dicano i teorici delle forme più efflorescenti di pluralismo sessuale, resta pur sempre un valido punto di riferimento sotto il profilo psicofisico, viva e si alimenti non solo di tratti accomunanti ma anche di profonde e originali differenze. Non è affatto contraddittorio sostenere che si possa essere sessualmente “normali” anche nei modi più diversi e stravaganti.

Ma, soprattutto, «può esserci “desiderio” sessuale senza “attrazione” sessuale per qualcuno e che si può provare “piacere” nel sesso senza averlo desiderato. Ma soprattutto siamo informati circa l’esistenza di un certo numero di persone (l’un per cento della popolazione) definibile come “asessuali”, o non sessuali, le quali tuttavia non sono da considerare affette da una patologia, né da giudicare come esseri moralmente superiori per la loro “purezza”»27. Gli asessuali, per quanto costituiscano una piccola percentuale della popolazione mondiale, sono coloro che, pur non essendo privi di desiderio sessuale e di stimolo eccitatorio, non si sentono sessualmente attratti da niente e da nessuno, a differenza degli allosessuali, che provano attrazione sessuale per qualcuno benché non siano soggetti né al desiderio né all’eccitazione sessuali, secondo l’analisi e la documentazione fornite da due filosofi britannici come Luke Brunning, Natasha McKeever28. La sessualità, quindi, è una realtà molto meno monolitica di quel che si potrebbe essere portati a pensare e molto più varia ed eterogenea di quanto gli stessi teorici del sesso alternativo potrebbero immaginare. Il punto non è questo. Ognuno ha la sua sessualità che, per quanto difforme da forme più comuni di sessualità, non necessariamente deve essere qualificata come abnorme o degenere, né deve essere caratterizzata in modo spregiativo.

Il punto è semplicemente quello per cui, fatta salva la libertà di ognuno di vivere nel modo più sereno e meno traumatico possibile la propria sessualità, e di renderne conto alla propria coscienza e/o a Dio, non può ritenersi legittima la pretesa di chicchessia, neppure degli eterosessuali, di sentirsi autorizzato dalla società e dallo Stato a ritenerla moralmente e giuridicamente legittima. Di legittimo c’è solo la possibilità di esplicare liberamente, senza danni per altri, le proprie personali attitudini o tendenze sessuali, anche là dove non si ritenga di correggerle e rieducarle, o quanto meno di controllarle e frenarle, se generative di effetti palesemente deleteri o distruttivi. Nient’altro. L’individuo non deve essere vittima della società e dei suoi costumi prevalenti ma anche la società non può essere vittima delle opzioni o delle voglie più bizzarre e incontrollate dell’individuo. La baraonda del sesso è sempre stata una costante della storia umana29. Ma se parlare di sesso è del tutto comprensibile e normale, il parlarne troppo e in modo ossessivo denota la presenza di una patologia della psiche e della mente, di una patologia probabilmente connessa anche ad una incapacità individuale e collettiva di fruire del sesso nei modi più giusti e più funzionali ad un soddisfacente itinerario esistenziale. Le odierne, parossistiche amplificazioni esistenziali della sessualità, testimoniano da un lato della frustrazione di una inconscia volontà di potenza, ovvero di una volontà di vivere e di poter vivere, anche nell’ambito politico-istituzionale, contro tutto e tutti oppure nonostante tutto e tutti, non solo contro o nonostante il tutto e i tutti di cui si abbia realmente esperienza ma, più in generale, contro o nonostante il tutto e i tutti possibili o di cui non si abbia ancora esperienza, mentre dall’altro  della rassegnata e acritica propensione esistenziale a vivere senza fede in un Dio di verità, di giustizia e di misericordia.

E’ vero, tuttavia, che il desiderio, nella sua più nobile accezione filosofica e teologica, sia molla insostituibile del pensare e dell’agire, sacro fuoco di vita altra, di inedita e più ricca umanità, origine di infrenabile bisogno di comunicare con l’Altro, di trasmettere la propria interiorità, di essere riconosciuti per quel che realmente si è in un mondo di uguali che reciprocamente si amino proprio in ragione della loro innocente e non corrotta diversità.  Il sesso è intriso di desiderio concupiscente, ma anche la natura umana in generale è intrisa di accentuata sensibilità desiderante, come del resto anche il sapere filosofico e la cultura in generale30  e, infine, la stessa fede religiosa31, non potendosi negare che nel sesso, come nella corporeità, e ancora nella filosofia e nel sapere, e infine nella fede, il desiderio, corrispondente ad un bisogno di colmare la propria povertà affettiva, emozionale, conoscitiva, spirituale ovvero creaturale, ricorre incessantemente. 

Francesco di Maria 

NOTE

1 Cfr. X. Lacroix, Il corpo e lo spirito. Sessualità e vita cristiana, Comunità di Bose, Edizioni Qiqajon, 1996.

Mi riferisco ad un’interpretazione riduttiva come quella contenuta in: D. Brahinsky, Reich e Gurdjieff. La sessualità come strumento di evoluzione della coscienza, Roma, Spazio Interiore, Lanterne Edizioni, 2015. Non completamente convincente, benché improntato ad una certa adesione a princìpi teologici cattolici ritenuti ortodossi, il libro di P. Lissoni, La via per una sessualità spirituale. Principi teologici per una rivoluzione sessuale nella Chiesa Cattolica, Baiso (RE), Verdechiaro, Baiso (RE), 2013. Realtà misteriosa e irriducibile a biologia, sessualità, istintualità, è invece la stessa corporeità per: (A cura di A. Autiero e S. Knauss), L’enigma corporeità: sessualità e religione, Bologna, EDB, 2010. Un libro molto ben documentato sia in sede storica che teologica, oltre che “non politicamente corretto”, è quello di M. Pelaja-L. Scaraffia, Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia, Roma-Bari, Laterza, 2014.

L. Zoja, Il declino del desiderio. Perché il mondo sta rinunciando al sesso, Torino, Einaudi, 2022.

4 Istruttivo, al riguardo, un approccio scientifico come quello di Tim Spector, Uguali ma diversi. Quello che i nostri geni non controllano, Torino, Boringhieri, 2016. Ma interessante è anche F. Dogana, Uguali e diversi. Teorie e strumenti per conoscere se stessi e gli altri, Firenze, Giunti, 2002.

5 Cfr. T. Sharot, C. R. Sunstein, Guardate meglio. Perché l’abitudine ci rende ciechi, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2024. Nella stessa direzione, anche se con una più accentuata impostazione teoretica, andava il libro curato da M. Signore-G. L. Brena, Libertà e responsabilità del vivere, Padova, EMP, 2010, e su una attenta puntualizzazione storico-teorica della distinzione di Isaiah Berlin tra libertà negativa e libertà positiva e dei successivi sviluppi, si può vedere G. Seddone, Libertà negativa e libertà positiva: la distinzione di Isaiah Berlin e successivi sviluppi del pensiero liberale, in Rivista on line www.filosofia.it, gennaio 2017.

6 S. Zampieri, L’amore nella società liquida, 3° Seminario Nazionale sulle Pratiche Filosofiche in Italia “Tra l’amor sacro e l’amor profano”, Bologna, 13 Aprile 2019. Esemplificativi della realtà sessuale e spirituale contemporanea sono F. Fratus-P. Cioni, L’ideologia del godimento. Pornografia e potere nella società delle immagini, Rimini, Il Cerchio, 2022; Z. Bauman, Meglio essere felici, Roma, Castelvecchi, 2017 e soprattutto Z. Bauman-Th. Leoncini, Nati liquidi. Trasformazioni nel terzo millennio, Ferrara, PickWick, 2019. Per una legittima interpretazione endogena e non solo esogena della turbolenta e irrazionale conflittualità inerente la sessualità umana, si può vedere l’utile lavoro collettaneo svolto in (A cura di P. Cotrufo e R. Tuccillo), La sessualità umana: perversa, polimorfa, pervasiva, fascicolo n. 8 dei “Quaderni” del Centro napoletano di psicanalisi, Milano, Franco Angeli, 2023.

7 Si vedano A. Barrau, Anomalie cosmiche. La scienza di fronte alla stranezza, Torino, Espress Edizioni, 2024; P. Murdin, L’universo. Una nuova biografia, Torino, Einaudi, 2023; R. Volterri, Miracoli…? Anomalie, stranezze, eccezioni alle «normali» leggi della natura, insomma «miracoli» (e come riprodurne alcuni), Milano, Acacia Edizioni, 2008; P. Bianucci, Le anomalie sono il bello dell’universo, in “La Stampa” del 3 marzo 2024.

8 Per lo psicologo Massimo Recalcati, Esiste il rapporto sessuale? Desiderio, amore e godimento, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2021, che predilige e usa in modo eccessivo il dubbio iperbolico, la relazione sessuale tra umani, nel suo significato più proprio e completo, è contrassegnata più dal godimento che dall’istinto e dal piacere, anche se, egli precisa, ove l’esperienza del godimento diventi eccessiva e quasi ossessiva, essa verrà configurandosi come esperienza patologica e perversa, distruttiva e tale da convertire la tenerezza della relazione amorosa in una forma di possesso dell’altro, donde quindi non più il ritrovarsi uniti di due corpi e due anime in una sola carne, ma il perdersi insieme in una unità psico-fisica sempre più lacerata e suscettibile di trasformarsi in odiosa e ostile, reciproca estraneità

9 Per un loro ripensamento critico attraverso la lettura e l’interpretazione di E. Fromm, si può vedere: E. Fromm, Marx e Freud, Milano, Garzanti, 1974.

10 Per il rapporto critico-problematico tra marxismo e femminismo, rinvio anche al mio Aleksandra Kollontaj tra marxismo “irregolare” e femminismo militante, in F. di Maria, Il pensiero tra terra e cielo, Padova, Primiceri, 2024, pp. 139-171. Tra le tante critiche rivolte a Marx da parte di una femminista storica come Silvia Federici, c’è anche la seguente: «Io credo che lui [Marx] non abbia visto che il capitalismo non solo è compatibile con forme di sfruttamento e organizzazione diversa del lavoro, lavoro non salariato, in condizioni di peonaggio eccetera, ma le deve produrre», Intervista di Paola Rudan a S. Federici, Silvia Federici, quello che Marx non ha visto, in “Il Manifesto” del 30 gennaio 2020. Altrettanto critico e volto ad evidenziare talune insufficienze marxiane sulla questione femminile è l’articolo di Tania Toffanin, Karl Marx e la questione di genere, in M. Gatto, Marx e la critica del presente, Torino, Rosenberg & Sellier, 2020, pp. 67-75. L’articolo si conclude con una secca, ma non indiscutibile, affermazione: «Credo che la cecità in relazione al ruolo e al valore del lavoro riproduttivo in Marx e all’interno del marxismo contemporaneo sia uno dei punti di caduta cruciali della riflessione marxista e del movimento operaio. E su questo tema penso che la riflessione sia davvero ancora tutta in salita».

11 I rapporti tra amore e sesso sono più complessi di quanto generalmente si venga sostenendo. Il sesso non è necessariamente amore, né l’amore è necessariamente sesso come taluni semplicisticamente asseriscono: per fare solo qualche esempio, R. Morelli, Il sesso è amore. Vivere l’eros senza sensi di colpa, Milano, Edizioni Riza, 2019, oppure E. Strack, Sesso. Senza tabù. Senza complessi, Firenze, Edizioni Clichy, 2024. Non di rado, invece, può oggettivamente sussistere, quindi non solo nel giudizio soggettivo di determinati individui, un rapporto conflittuale tra amore e sesso, come almeno in parte emerge da F. Alberoni, Sesso e amore, Milano, Rizzoli, 2005. C’è chi lascia poi trasparire l’idea che il sesso in sé non sia sinonimo né di amore, né di disamore, e che comunque, per quanto esistenzialmente rilevante, non sia mai decisivo ai fini di un rapporto d’amore: A. Fumagalli, L’amore sessuale. Fondamenti e criteri teologico-morale, Brescia, Queriniana, 2017

12 Resta, in tal senso, molto rigoroso e sorprendentemente inattuale un libro del 1992: F. Lopez-A. Fuertes, Le dimensioni della sessualità, Roma, Borla, 1992.

13 Agostino, Commento alla lettera di san Giovanni, VII, 8.

14 Com’è noto, e si veda in proposito l’illuminato e rigoroso saggio di Maurizio P. Faggioni, L’ideologia del gender. Sfida all’antropologia e all’etica cristiana, in Rivista “Antonianum”, XC (2015), pp. 385-401, che fa giustizia della palese e virulenta mistificazione genderiana,  «i ruoli sessuali e i rapporti tra i sessi, il legame fra sessualità e matrimonio, la stessa naturalità dei sessi», sono stati messi sempre più fortemente in discussione sulla base di presunti criteri scientifici mai unanimemente condivisi e accolti sia da parte della stessa comunità scientifica, sia anche da parte della più vasta comunità umana. In particolare, la «negazione della rilevanza antropologica delle differenze sessuali biologicamente definite, rispetto alle determinazioni culturali della sessualità» viene troppo spesso considerata fraudolentemente come la grande conquista della sessuologia e della cultura del XX e XXI secolo, pur trattandosi di una clamorosa e perversa menzogna nata e sviluppatasi in alcuni gruppi internazionali di influenza e di potere che puntano ad un malefico ribaltamento delle più elementari caratteristiche antropologiche degli esseri umani senza neppure preoccuparsi di riflettere sul fatto che le “determinazioni culturali della sessualità” in tanto possono essere ritenute attendibili in quanto non vengano elaborate in contrasto con differenze biologico-sessuali oggettive ma muovendo da esse e alla luce di esse. La cultura non ha il potere etico-conoscitivo di inventare forme alternative di vita in virtù di approcci manipolatori alle oggettive strutture biologiche della vita stessa. Il tema del rapporto tra natura e cultura è uno di quei temi destinati certo ad evolversi nel prossimo futuro ma non sino al punto di poter abbattere una barriera di distinzione-separazione tra natura e cultura: mi limito ad indicare, a scopo esemplificativo, il libro di S. Pollo, Philippe Descola. Oltre natura e cultura, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2005. Che tra biologia e società sussista un rapporto di interazione, è fuor di dubbio, ma questo non implica necessariamente che si possa giungere a rendere “reversibile”, per via socio-culturale e socio-tecnocologico-scientifica, il dato genetico o il patrimonio ereditario. C’è un solo modo per ottenere la reversibilità del dato di natura: intervenire su esso in modo appunto arbitrario e manipolatorio. Per questo non appaiono condivisibili le tesi di fondo del libro di C. Sini e C. A. Redi, Lo specchio di Dioniso. Quando un corpo può dirsi umano?, Milano, Jaca Book, 2018.

15 Cfr. Paul Seabright, La guerra dei sessi, Roma, Edizioni dell’Altana, 2015; A. Amadori e C. Corvaglia, La guerra dei sessi. Piccolo saggio sulla cattiveria di genere, Romagnano al Monte (Salerno), BookSprint, 2020.

16 L. Zoja, Il declino del desiderio. Perché il mondo sta rinunciando al sesso, cit.

17 Intervista di C. Morvillo a S. Tamara, La rivoluzione sessuale? Ha danneggiato le donne, nel sito on line “Io donna”, 10 dicembre 2018. Molto significativo è anche il libro di N. Ghezzani, La paura di amare. Capire l’anoressia sentimentale per riaprirsi alla vita, Milano, Franco Angeli, 2012; non privo di aspetti veritieri è anche il libro di Patrick Süskind, Sull’amore sulla morte, Milano, Longanesi, 2007.

18 L. Scaraffia, Storia della liberazione sessuale. Il corpo delle donne tra eros e pudore, Venezia, Marsilio, 2019, e Intervista di D. Monti a L. Scaraffia, Liberazione sessuale, Scaraffia: «Abbiamo sbagliato quasi tutto», in “Il Corriere della Sera” del 20 settembre 2019. E’ fuor di dubbio che un apporto rilevante, anche se non determinante, alla disintegrazione, alla decadenza, alla banalizzazione della sessualità e della stessa pedagogia della sessualità, sia venuto dalla rivoluzione digitale: C. Cipolla-E. Canestrini, La dissoluzione della sessualità umana nell’era digitale, Milano, Franco Angeli, 2018.

19 U. Galimberti, Il mercato dell’intimità, nel sito di “feltrinellieditore.it”, 27 agosto 2002.

20 Ci si è ispirati qui ad alcuni passaggi del libro di C. Calenda, La libertà che non libera. Riscoprire il valore del limite, Milano, La Nave di Teseo, 2022, libro non incentrato, naturalmente, sul tema della sessualità ma utilizzabile indirettamente anche in funzione di questo tema.

21 Sul punto teorico-storico di intermediazione tra razionalità umana e logos divino, tra verità filosofica e verità teologica, tra logica e ontologia, si rinvia a G. Amendola, Antropo-logos. La ragione al crocevia di intelligenza artificiale, razionalità scientifica, pensiero filosofico e teologia cristiana, Roma, Studium, 2021; e anche a I. Genovese, La natura razionale dell’immagine divina e il compito della libertà. Contributi per una rilettura del rapporto mente/cervello in chiave patristica, relazione tenuta a Roma, in data 25-26 settembre 2020, al Convegno dell’Università Pontificia Salesiana sul tema: “Intelligenza artificiale: per una governance umana. Prospettive educative e sociali”, ma preziose riflessioni sono altresì contenute nel libro di J. G. Bennet, Il divino sessuale, Torre di Mosto (VE), Alemar, 2022

22 Si veda A. Fimiani, Sentieri del desiderio. Femminile e alterità in Søren Kierkegaard, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010.

23 Jean-Luc Nancy, Del sesso, Napoli, Cronopio, 2016; al cristianesimo, sia pure non più da credente, Nancy ha dedicato due opere come: La dischiusura. Decostruzione del cristianesimo, Napoli, Cronopio, 2007 e L’Adorazione, Napoli, Cronopio, 2012.

24 A Nancy è stato dedicato un lungo ed esaustivo articolo, benché forse troppo indulgente e benevolo, da Andreas Gonçalves Lind, Jean-Luc Nancy (1940-2021): una sfida per il cristiano del terzo millennio, in “La Civiltà Cattolica” dell’1 gennaio 2022, quad. 4117, pp. 62-71.

25 D’altra parte, fino a che punto il diritto, certo non strettamente dipendente dall’etica pubblica, possa tuttavia non tenerla per niente in conto, è una questione aperta ma anche ineludibile e non facilmente avviabile a soluzione: a titolo orientativo si può vedere M. Millefiorini, L’autodeterminazione della libertà sessuale nell’ordinamento italiano. Prospettive sul consenso, in Rivista giuridica “Nomos. Le attualità del diritto”, 2024, fasc. 1, pp. 1-24, dove si evidenzia la natura estremamente complessa, e per aspetti non inessenziali, anche scivolosa della tematica in relazione alla specifica possibilità della sua elaborazione sul piano giuridico-normativo.

26 I. Schinella, Identità sessuata, identità sessuale, orientamento sessuale? Dall’esilio del corpo al corpo ritrovato. Riflessioni antropo/teologiche, in (A cura di L. Ferraro-F. Dicè-A. Postigliola-P. Valerio), Pluralità identitarie tra bioetica e biodiritto, Sesto San Giovanni (Milano), Mimesis, 2016, pp. 243-245.

27 A. Barardinelli, Educazione sentimentale per filosofi inglesi: il sesso allo stato puro non esiste, in “Il Foglio”, 24 dicembre 2019.

28 Sono autori dell’articolo Il piacere oltre il sesso, nella rivista “Internazionale” del 13 dicembre 2019, n. 1337.

29 K. Lister, Sesso. Una storia imprevedibile. Dall’antichità ai giorni nostri, Milano, Il Saggiatore, 2022; M. Foucault, Storia della sessualità, 4 volumi, Milano, Feltrinelli, 2013, 2015, 2014, 2022.

30 A. Dufourmantelle, Sesso e filosofia. Appuntamento al buio, Roma, Donzelli, 2004.

31 B. Borsato, Il sapore della fede. Accendere il desiderio, Bologna, EDB, 2011.

 

 

 

 

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