La politica nazionale e la guerra

Sarò giudicato presuntuoso naturalmente, ma, come studioso cattolico, penso di aver dedicato al pensiero marxiano e a parte consistente del marxismo italiano della prima metà del ‘900, e in parte anche della seconda metà di questo secolo, grande attenzione critica e morale e una serie di studi efficacemente volti ad enucleare alcuni dei nuclei tematici fondanti della riflessione teorica ed etico-politica della sinistra italiana novecentesca. Pertanto, se oggi affermo che, almeno in questo momento storico, una sinistra minimamente degna di quella tradizione e di quella storia di fede ideale e lotta politica, non solo non esiste ma sembra sussistere nominalmente solo quale deturpazione programmatica di un intero patrimonio storico-teorico di idee e valori centrali nel quadro del processo di ricostruzione postfascista dello Stato nazionale, si può sperare che tale posizione non solo sia ritenuta legittima ma anche e soprattutto attendibile. Una sinistra che ha finito per affidarsi a certa Elly Schlein, cui fa difetto persino un linguaggio appropriato e sufficientemente comunicativo, e che si è ridotta a fare la ruota di scorta di formazioni politiche parassitarie e prive di reale e stabile rappresentanza popolare sul piano etico-politico, non può che costituire un intralcio e un danno molto seri allo svolgimento della vita democratica del nostro paese.

Non è certo un caso che la destra di Giorgia Meloni sia venuta non solo affermandosi trionfalmente dal punto di vista elettorale ma anche mostrandosi ben capace di governare l’Italia, almeno nei segmenti più strategici del suo assetto economico e sociale, e di favorirne una centralità e visibilità internazionali che non aveva più avuto dall’inizio degli anni novanta. Su una questione, tuttavia, la pur valida e ammirevole leadership della giovane e intraprendente politica romana non è sembrata né chiara, né condivisibile, né convincente, sia pure al netto di quel realismo politico da cui i reggitori di Stati non possono, né devono mai prescindere. Tale questione è quella relativa al popolo palestinese e al sempre attuale e drammatico conflitto israelo-palestinese. A dire il vero, già sul conflitto russo-ucraino, per quanto Meloni sia parsa decisamente e meritoriamente prodiga di aiuti militari e assistenziali di varia natura, anche proiettati nel futuro di una possibile ricostruzione sociale postbellica, verso l’eroico popolo ucraino, non sempre il suo atteggiamento politico è sembrato coerente o consequenziale, dal momento che, se si decide di resistere direttamente o indirettamente ad un dittatore sanguinario, non appare poi molto saggio né comprensibile porre dei limiti all’opera stessa di resistenza, quali che siano i sacrifici che essa possa eventualmente comportare.

Ma, per quanto riguarda invece l’ennesima cruenta contrapposizione militare tra lo Stato di Israele e il popolo di Palestina, all’indomani dell’eccidio del 7 ottobre in terra israeliana, si deve riconoscere apertamente che la successiva azione genocidaria delle autorità politiche e militari sioniste contro masse povere, inermi, indifese, di civili palestinesi, tra cui un numero incredibilmente elevato di vecchi, donne, malati e bambini, non costituisce affatto un inconsueto episodio di malvagia e crudele rappresaglia dello Stato di Israele contro i loro storici nemici, ma solo l’ennesima conferma dell’anima terribilmente vendicativa di tale Stato e un’ulteriore e ripugnante manifestazione di terrorismo sionista in terra santa. Proprio così, giacché chi conosce non mediaticamente ma storicamente, in modo analitico e obiettivamente documentato, la storia della formazione dello Stato israeliano, dal 1948 in avanti, sa bene che questo Stato è venuto costruendosi sino ad oggi a colpi di terrore totalmente incomprensibili e ingiustificati nei confronti di un popolo colpevole solo di voler resistere, certo anche con disperate azioni armate alla volontà egemonica ed espropriatrice di Israele, ma soprattutto appellandosi al diritto internazionale oltre che ad elementari princìpi etici di convivenza, e il non voler riconoscere oggi apertamente uno Stato palestinese solo perché ancora non ne sussisterebbero le condizioni, come si ostina a fare Giorgia Meloni e compari, è semplicemente indice di malafede e disonestà intellettuale e morale. Il problema, in particolare, è quello per cui bisognerebbe sapere che con un soggetto come Netanyahu non si possono fare accordi strategico-militari di alcun genere. Una giurista come Francesca Albanese, forse umanamente antipatica, al riguardo ha ragione da vendere.

Nel mondo odierno la politica internazionale è fortemente condizionata dall’esistenza di leaderships decisamente malate e pericolose per le sorti dell’umanità come quelle di criminali sanguinari quali Putin e Netanyahu, come quella di un delinquente nato quale Trump o di un soggetto cinico e spietato quale Xi Jinping, che sono certo seguiti a ruota per indole da tanti altri piccoli despoti disseminati nel globo terrestre ma che per pericolosità sono ineguagliabili. L’umanità che pensa e che sente non può tuttavia rassegnarsi ad un destino di terrore e di morte ma opporre tutta la sua forza intellettuale, morale e religiosa e, se necessario, anche militare (non incompatibile con una sincera fede religiosa e cristiana), ad artefici ben riconoscibili di sopraffazione sistematica e di sofisticati piani di sterminio collettivo.  

Francesco di Maria

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