L’assunto di fondo di un discorso sui problematici e complessi rapporti intercorrenti tra teoria politica e fede religiosa, potrebbe essere ragionevolmente individuato nel fatto che, con tutto il rispetto per gli autorevoli accademici che vi si siano dedicati, tutti gli studi di teologia politica dell’ultimo ventennio circa siano fondamentalmente ripetitivi, tautologici, incomprensibilmente autoreferenziali sia sul piano linguistico-lessicale che su quello logico-teorico, ed essenzialmente incentrati, con una notevole e inessenziale eccedenza argomentativa, sui modi in cui la prassi storico-politica venga recependo in forma laica alcuni contenuti e prospettive metastorici e trascendenti del pensiero e della vita religiosi, autocostringendosi di conseguenza ad oscillare costitutivamente tra l’immanenza delle soluzioni politiche che necessitano al governo delle realtà empirico-fattuali e la trascendenza delle opzioni migliorative ancora possibili, anche se ignote, che impongono a Stati e soggetti politici istituzionali e non di non peccare né di riduttivismo immanentistico, né di cieco o dogmatico affidamento a valutazioni di tipo metafisico e a ragionamenti sconfinanti nel sovrannaturale (Cfr. AA.VV., La teologia politica tra sfide e ricorsi, Roma, Urbaniana University Press, 2021).
L’assunto di questo scritto, invece, è molto semplicemente quello per cui la globalizzazione non possa che fallire, sul piano umano, socio-politico e probaboòmente economico, se la fede religiosa cristiana venga consegnandosi all’oblìo della storia. Che la globalizzazione, per essere eticamente ben governata, sia necessariamente incompatibile con la persistenza o la recrudescenza di rivendicazioni nazionalistiche, sovraniste e populiste, in quanto la governance tecnocratica su cui l’attuale forma storica di globalizzazione è fondata verrebbe necessariamente implicando una limitazione della tradizionale sovranità statale, è una tesi sostanzialmente gratuita e non rappresentativa dell’ineluttabile, progressivo e imprevedibile manifestarsi della razionalità nella storia, giacché solo chi possedesse la visione di un èschaton perfettamente compiuto avrebbe facoltà di esprimere un giudizio univocamente veritiero. Ma un soggetto siffatto può essere identificato solo con Dio, per cui gli uomini, gli stessi teologi della politica, si trovano dinanzi a un bivio: o abbozzare giudizi via via approfonditi, la cui valenza esclusiva sia quella della provvisorietà, oppure basare con intelligenza critica e passione morale i propri ragionamenti sulla razionalità rivelata da Dio, della quale anche la razionalità non rivelata è o resta parzialmente parte integrante.
Chi pensa, come lo scrivente, che la razionalità rivelata costituisca un paradigma plausibile e imprescindibile di razionalità, non foss’altro che per aver ispirato la grandiosa e articolata architettura della civiltà occidentale, avrà la possibilità spirituale di distinguere tra lecito e illecito, tra giusto e ingiusto, ben al di là delle apparenze della vita e della storia, e di riconoscere la presenza di orme idolatriche e peccaminose persino negli itinerari più condivisi e celebrati della civiltà umana. Egli non potrà mai ritenere che lo sviluppo di determinate forme storiche di cultura e di civiltà coincida necessariamente o interamente con il progresso morale, civile e spirituale del genere umano, ma utilizzerà tutta la sua capacità critico-religiosa di discernimento per separare non materialmente ma spiritualmente, all’interno del corso oggettivo delle cose e di ogni particolare creazione o costruzione storica, i valori dai disvalori, il nascosto chicco di grano che è simbolo di continua rinascita dalla zizzania che è una pianta apparentemente inoffensiva e benigna ma, in realtà, alquanto infestante, intossicante e maligna. Certo, il grano e la zizzania, come il bene e il male, la virtù e il vizio, la pace e la guerra, tenderanno sempre a confondersi e a confondere lo sguardo degli spiriti distratti o superficiali, ma proprio per questo il vangelo fa obbligo ai seguaci del Cristo di vegliare, di conformarsi ad una fede non tiepida e pavida ma militante e coraggiosamente partecipe degli avvenimenti contraddittori e conflittuali del mondo.
Che cosa sia doveroso pensare e fare, e in quali modalità, per collaborare alla costruzione del Regno di Dio sulla terra, che in ogni caso si manifesterà nella sua pienezza alla fine dei tempi, e quindi per approssimare l’umanità al fine della fine, pur sapendo che tale prospettiva sia non solo favorita da innocenti operatori e forze del bene mobilitati dalla grazia di Dio ma anche disturbata, contrastata dall’implacabile incedere del demoniaco, della perversa razionalità dell’AntiCristo nello svolgimento complessivo della storia, costituisce l’interrogativo più impegnativo che si ponga alla coscienza cristiana e anche alla riflessione teologica di questo tempo. Per questo, ogni volta che l’Anticristo interferisce più o meno pesantemente nella marcia del popolo, piccolo o grande, di Dio verso la conquista dell’agognata, eterna Terra promessa, bisogna che a contrattaccare, ad ostacolarne e a ritardarne, se non a debellarne completamente, l’azione sabotatrice e profanamente sovvertitrice dei disegni divini, si ergano sistemi ampiamente organizzati di potere, sul piano politico e spirituale, ma anche vere e proprie barriere umane disseminate nel mondo e costruite con la preghiera e l’attiva testimonianza di fede, al fine appunto di arginare il più possibile l’azione devastatrice del male e della morte, di costruire dighe di contenimento preposte ad evitare lo straripamento distruttivo degli effetti che potrebbero derivarne.
Questo katéchon, cioè questo ostacolo, questo impedimento, questa azione frenante, che tende quanto meno a rallentare o a depotenziare la conquista del mondo nel segno dell’Anticristo e del suo potere infernale, trova la sua personificazione in entità che in san Paolo, autore del termine, non sono chiaramente precisate, pur trattandosi comunque di entità storiche chiamate o preposte ad assolvere una funzione oppositiva e, in qualche modo, riparatrice nei confronti dello scatenarsi periodico di un inafferabile e misterioso spirito di male nel mondo. Tuttavia, come scrive Paolo nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi 2, 7-12, l’apocalisse giovannea, con il ritorno e la gloriosa vittoria di Cristo sul maligno e sul suo impero di mortifera iniquità, avrà luogo solo quando questi soggetti, istituzionali o extraistituzionali che siano, antagonisticamente funzionali ad una reiterata neutralizzazione dell’Anticristo, saranno abbattuti, là dove non è forse inutile precisare che «nella lettera paolina il termine greco katéchon indica sia la forza (τò κατ_χων 2, 6) che trattiene il manifestarsi del misterioso personaggio chiamato l’Antikeimenos, l’Avversario di ciò che è stabilito, sia chi (ο κατ_χων 2, 7) adesso trattiene l’espandersi del mistero dell’anomia» (M. Stella Barberi, Lo spazio katechontico da San Paolo a Carl Schmitt, in AA.VV., Religione e violenza. Identità religiosa e conflitto nel mondo contemporaneo, a cura di G. Parotto, Trieste, EUT, 2007, pp. 25-30. Molto istruttivo sulle possibili forme escatologiche dell’Anticristo, che è un uomo e non un demone, nella storia, e sulle possibili letture teologico-politiche del katéchon, è il fascicolo collettaneo Il Katéchon (2Ts 2,6-7) e l’Anticristo. Teologia e politica di fronte al mistero dell’anomia, in Rivista “Politica e religione” 2008/2009, Brescia, Morcelliana, 2009, pp. 5-258).
L’Impero, lo Stato, la Chiesa, che gli studiosi hanno tentato di identificare, in modo mai risolutivo, appunto con il katéchon paolino, dovranno essere prima abbattuti, radicalmente depotenziati, emarginati, in senso letterale la parola greca κατ χων significa “tenere giù”, “tenere sotto”, in altri termini ininfluenti, irrilevanti, ridotti all’impotenza, non necessariamente in senso materiale ma quanto meno nella loro funzione direttamente oppositiva, di contrasto energico, in relazione alla volontà egemonica del maligno, e indirettamente dilatatrice in relazione all’avvento finale del Regno di Dio, prima che tutti i seguaci dell’empietà satanica siano resi noti alla luce del sole e definitivamente distrutti dalla giustizia divina. Paolo è chiarissimo: «Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo colui che finora lo trattiene. Allora l’empio sarà rivelato e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà con lo splendore della sua venuta. La venuta dell’empio avverrà nella potenza di Satana, con ogni specie di miracoli e segni e prodigi menzogneri e con tutte le seduzioni dell’iniquità, a danno di quelli che vanno in rovina perché non accolsero l’amore della verità per essere salvati. Dio perciò manda loro una forza di seduzione, perché essi credano alla menzogna e siano condannati tutti quelli che, invece di credere alla verità, si sono compiaciuti nell’iniquità» (Seconda Lettera ai Tessalonicesi, 2, 7-12).
Paolo è chiarissimo, anche se naturalmente nella semplice indicazione generale delle logiche e delle dinamiche malefiche di lungo periodo che nella storia vengono affrontandosi, non certo nella individuazione analitica di queste specifiche logiche e dinamiche, che, al momento opportuno, un’illuminata coscienza cristiana della vita e del mondo non potrà mancare di cogliere o almeno di percepire. Il senso incontrovertibile della visione escatologica paolina consiste nel profetizzare che, quando non ci sarà più niente e nessuno, non a volersi ma a potersi opporre all’Anticristo, a causa della piega che verranno prendendo gli eventi storico-umani, quando persino i paladini più devoti e appassionati della volontà divina, non potranno più oggettivamente impedire alle potenze del male di invadere e occupare la terra, verrà mobilitandosi il Cristo in persona con le sue legioni angeliche per ridurre una volta per sempre al silenzio e all’inazione il suo maligno avversario e assoggettare per l’eternità il regno degli uomini al Regno di Dio.
Ora, quello di voler dissezionare, smembrare, pezzo per pezzo, l’intero scenario storico per tentare di determinare con assoluta precisione esegetica quale o quali possano essere realmente le forze istituzionali o non istituzionali in esso operanti e capaci di fungere da barriera ritardante il possibile e incontrollabile straripamento del male, è l’esercizio critico-teoricistico preferito da Cacciari che tende a rendere la forza frenante di conio paolino molto più astratta e complicata di quel che fosse nell’annuncio di Paolo stesso, sulla base di un’analisi che è molto simile alla spasmodica ricerca ideativa di un regista che si preoccupa di rendere quanto più possibile avvincente e carica di suspense, di trepidante attesa, la trama di un film: il katéchon sarà l’Impero o lo Stato o la Chiesa o tutte queste cose insieme nelle diverse fasi della storia umana? E l’Anticristo chi sarà mai? Saranno tutte le apostasie della fede cristiana? Tutte le eresie di salvezza, come per esempio il protestantesimo e il comunismo, l’odierna idolatria democratica oppure la globalizzazione che corrisponderebbe all’antico sogno prometeico di unità e unificazione di tutti gli uomini e i popoli della terra non in un Regno di Dio ma in un regno completamente umano, puramente politico, storicamente autosufficiente? (Sull’intera problematica catecontica, si può vedere l’interessante e vivace dibattito ospitato nel fascicolo speciale su Il potere che frena. Saggi di teologia politica in dialogo con Massimo Cacciari, della rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica globale “Jura Gentium”, 2015, vol. XII, con saggi, fra gli altri, di C. Galli, Secolarizzazione, teologia politica, agire politico, pp. 52-75, G. Cacciatore, Il potere che frena. Una riflessione sulla teologia politica di Massimo Cacciari, pp. 76-95, A. Bruzzone, Paradosso e dialettica del “potere che frena”, pp. 176-220, e dello stesso Cacciari, Ancora sul “potere che frena”. In dialogo, pp. 276-286. Cacciari, notoriamente, aveva scritto e pubblicato Il potere che frena. Saggio di teologia politica con l’editore Adelphi di Milano, nel 2013).
Non è che siano investigazioni o domande improponibili, ma poi bisognerebbe andare soprattutto al nocciolo della questione, tentare di cogliere il senso escatologico dell’avvertimento paolino, riflettere sul significato d’insieme della salvifica pedagogia divina. Il problema, per quanto riguarda la ricerca di Cacciari, è che essa si preoccupa più di veicolare idee personali di natura etico-politica e di utilizzare strumentalmente taluni importanti passaggi neotestamentari per assecondare e rilanciare ben noti schemi ideologici cacciariani di natura gnostica a sfondo nichilistico, che non di chiarire che cosa sia o significhi realmente l’Anticristo e come e perché l’azione malefica da esso svolta nella storia sia provvisoriamente ma solo parzialmente tollerata da Dio: parzialmente tollerata, appunto nel senso che Dio fa in modo che determinate entità o strutture catecontiche impediscano a tale azione di produrre, epoca dopo epoca, effetti totalmente devastanti e mortali nella vita associata degli uomini e nella coscienza stessa di ogni singolo uomo.
Il vero scopo della pedagogia escatologica divina è la salvezza della maggior parte possibile d’umanità ed è per questo che Dio consente all’Anticristo, che può assumere e non di rado assume forma umana in tutti gli ambiti dell’esistenza, e che ha il compito di saggiare, di accertare il grado di resistenza spirituale collettiva ed individuale al male e ad ogni genere di iniquità, di scorazzare, di generazione in generazione, nelle vite delle persone e delle società umane, non tuttavia in modo incontrollato e indiscriminato, ma venendo pur sempre tenuto sapientemente a freno, venendo ad essere ostacolato o rallentato nel suo progetto di prevalenza egemonica, con la sua opera di perdizione, sulle intenzioni salvifiche di Dio stesso. Quel che è necessario precisare in modo perentorio è che la figura del katéchon non possiede alcuna particolare o specifica valenza politica, per il semplice fatto che essa viene esercitando la sua azione frenante al di là di determinati e contrapposti orientamenti politico-ideologici e quindi equanimemente nei confronti di forme umane e storiche di iniquità che costantemente si annidano in qualunque fazione, partito, raggruppamento o governo politici, per cui sarà anche interessante segnalare «il richiamo alquanto insistente a questa figura nella retorica dell’ultradestra cattolica» (A. Lanzieri, Complotto e apocalisse: chi è “il katéchon”?, in sito “Jefferson. Lettere sull’America”, 14 marzo 2023), ma impostare in questi termini l’approccio critico alla questione teologica e filosofica del katéchon, non può risultare che fuorviante e riduttivo (D’altra parte, un uso vergognosamente politico-strumentale del katéchon, è certamente quello fatto da D. Fusaro,
Come ha chiarito uno studioso quale Luca Bagetto, il katéchon non è né il potere che ritarda la venuta dell’Anticristo, né il potere che ritarda la parusìa del Cristo nel tempo apocalittico, ma è semplicemente un potere tanto misterioso quanto misericordioso di origine trascendente, che viene rifrangendosi in molteplici espressioni terrene di responsabilità istituzionale, comunitaria o personale, e anche in questo senso indiretto o mediato, viene trattenendo la Parola di Dio, che è legge, viene trattenendo l’esecutività dei suoi giudizi e del suo volere dall’inesorabilità punitrice prevista da tale legge ai danni di un mondo ormai irreversibilmente privo di legge, completamente anomico (L. Bagetto, La teologia politica di Paolo e il vero senso del katéchon, in Rivista “Vita e Pensiero”, 2020, n. 3, ma anche Bagetto, San Paolo, Milano, Feltrinelli, 2018, p. 109 e sgg.).
Bisogna pur dirlo chiaramente che il catéchon è voluto da Dio, è uno strumento divino finalizzato al contenimento temporaneo e provvisorio della potenza malefica emanata dal grande mysterium iniquitatis che attraversa la storia umana da cima a fondo, proprio per dare tempo e modo a tutti o a molti di salvarsi dalla morte eterna. Solo che poi il catéchon non è meccanicamente identificabile con questa o quella struttura istituzionale oppure con questo o quel movimento di pensiero economico e politico, per il semplice fatto che l’aggressione anticristica non è contrastata solo da fattori o fenomeni esterni ma anche e soprattutto dalla stessa possibile e auspicabile capacità catecontica della coscienza umana che, sia pure in modi diversi, è sempre posta dalla sapienza divina nella condizione di resisterle e di vanificarne o ridurne gli effetti infestanti e mortali. Catèchon, quindi, non è solo un dato potere storico-istituzionale che frena, ma è principalmente la libera scelta di singoli e gruppi, ovvero il potere esistenziale e spirituale dell’umanità come singolo e come specie, che, pur agevolato dall’azione frenante impressa all’Anticristo da poteri esterni di natura repressiva e normativa, ha in definitiva nelle sue stesse mani il suo destino. Se non si dice questo, tutto il resto può essere più o meno interessante da un punto di vista teologico-politico, ma non serve a capire filosoficamente e religiosamente il senso specifico della razionalità salvifica del cristianesimo.
Di conseguenza, si può anche pensare, con Cacciari, che «l’Anticristo che oggi si profila è … l’idolo della politica democratica, intesa come potere di ciascun uomo, come libertà da ogni rappresentante e da ogni rappresentanza; ed è anche l’unità del web, in cui regna l’indifferenza sovrana per i valori e i singoli soggetti; o, se si vuole, è l’ordine mondiale secondo l’ideologia democratica della globalizzazione, che unifica gli ultimi uomini in un solo gregge, e che si pone a sua volta come pace, katéchon esso stesso rispetto al caos e al disordine continuamente minaccianti — cioè rispetto al pluralismo competitivo delle potenze imprevedibili, che agiscono dal basso, delle economie regionali e dei nazionalismi —, che vanno repressi con azioni di polizia planetaria. E’ l’umanità che si siede nel tempio di Dio e come Dio vuole essere adorata, mentre in realtà il suo potere politico diviene impersonalità tecnica e amministrativa, perdendo ogni capacità di azione … e anche ogni visuale prospettica, ogni consapevolezza imperiale e teologico-politica» (C. Galli, Secolarizzazione, teologia politica, agire politico, cit. p. 72). Ma un ragionamento del genere è troppo confuso, troppo contorto, troppo poco esemplificativo, perché attraverso esso si possa gettare luce sul principale assunto che si vorrebbe, o meglio si dovrebbe sostenere, vale a dire che l’Anticristo è un complesso di avvenimenti, di errori dottrinari e morali, di disvalori e finalità solo apparentemente rispettabili e giuste, che viene manifestandosi o ponendosi, in forme violente oppure accattivanti, in un rapporto competitivo e in chiave alternativa rispetto ai rigorosi e inderogabili princìpi normativi fissati ab aeterno da Dio.
Il problema, per il credente, non è quindi quello di credere che si diano modelli idealtipici idolatrici di Stato o di governo e altri non idolatrici, in quanto non c’è alcun sistema di governo o Stato che non possa essere o diventare idolatrico. Il potere politico e statuale è riconosciuto come legittimo da Dio. Di esso, tuttavia, si può umanamente abusare o, al contrario, farne un uso inadeguato e dannoso per la comunità che lo Stato dovrebbe tutelare, indipendentemente dalle formazioni o dai partiti politici che, di volta in volta, si trovino a doverlo governare. Se, per esempio, le leggi dello Stato, di qualunque genere di Stato, vengono concepite come precisa negazione di precetti e valori divini, esse non potranno che essere idolatriche, se lo Stato stesso rivendica per se stesso un potere assoluto anche rispetto a un presunto potere assoluto di origine divina, esso non potrà essere che idolatrico. Il web, per restare agli esempi indicati nel brano sopra citato, può certo essere o diventare sede e condizione di indifferenza valoriale e quindi scivolare verso un costume idolatrico ma non necessariamente o unilateralmente: in fondo in esso c’è anche spazio per la sacralità del sapere tanto caro agli accademici che, proprio per questo, diventano a loro volta portatori di idolatria. Quanto alla falsa, più che ambigua, unificazione implicata dalla globalizzazione, anch’essa certamente è a forte rischio di degenerazione idolatrica, come lo sono gli stessi movimenti dal basso, «delle economie regionali e dei nazionalismi», ma non è detto che gli esiti della globalizzazione e di questa stessa globalizzazione siano irreversibilmente scontati.
Non c’è nulla al mondo che non sia suscettibile di porsi in modo idolatrico o di convertirsi, sia pure inavvertitamente, in costume o prassi di natura più o meno accentuatamente idolatrica. Persino la fede religiosa in apparenza più pura e incontaminata può configurarsi come atteggiamento spirituale idolatrico [In questo senso, possono ricavarsi utili spunti di riflessione critica da un libro come quello di A. Fabris, La fede scomparsa. Cristianesimo e problema del credere, Brescia, Morcelliana, 2023, ma ancor più esplicativo al riguardo è il libro di S. Petrosino, L’idolo. Teoria di una tentazione. Dalla Bibbia a Lacan, Sesto San Giovanni (Milano), Mimesis, 2015]. Per evitare l’errore della sterile e astratta generalizzazione, ma soprattutto di fraintendere il significato di certe parole bibliche, come idolatria, catéchon, antiCristo, o di usarle in modo equivoco, bisognerebbe muovere obbligatoriamente da un presupposto molto preciso, e cioè che idolatrìa significa culto adorante della propria immagine, o di determinate idee, istituzioni, pratiche di vita, in opposizione a quello o in sostituzione di quello che dovrebbe essere l’unico, legittimo, culto adorante: verso Dio, le sue leggi, la sua volontà.
Bisogna, perciò, essere sicuri di conoscere adeguatamente l’identità divina, il significato delle leggi che vi si riferiscono, la natura della sua volontà, il senso salvifico dei suoi talvolta imperscrutabili disegni, prima di trattare temi specifici come il catéchon, l’Anticristo o l’Apocalisse, perché, a parlare di certe cose senza averne prima fatto esperienza e averle approfondite interiormente e a farne uso per tentare di applicarle strumentalmente a concezioni o ad interpretazioni meramente o prevalentemente politiche del reale, della società e della storia, si rischia facilmente di confondere il sacro con il profano, la prospettiva cristiana della salvezza con prospettive salvifiche di tipo gnostico, la lotta contro il peccato con una lotta contro l’ignoranza e l’oscurantismo intellettuale, la necessità spirituale e sacramentale della conversione con la necessità di un radicale svecchiamento di strutture mentali, intellettuali, etico-comportamentali.
In realtà, se si parla di Anticristo e di katéchon, se ne deve parlare esclusivamente per parlare di tutto ciò che si contrappone a tutti gli articoli di fede, alla tradizione esegetica patristica, al bimillenario magistero ecclesiale e pontificio, che corrispondono all’ortodossia cristiana e cattolica, per parlare cioè di tutto ciò di cui non si può parlare senza il coraggioso martirio della testimonianza. Oggi, per esemplificare, katéchon dovrebbe essere un potere che frena le forsennate tendenze politico-culturali che premono affinché opportunità come il libero amore, il matrimonio omosessuale o transessuale o più in generale le cosiddette unioni civili caratterizzate da tutte le specie di fluidità sessuale, l’aborto e il divorzio, il pluralismo e il dialogo religiosi indiscriminati (irenismo religioso), la difesa della femminilità dalla violenza domestica ma anche dalla violenza che, non di rado, le donne infliggono alla propria dignità personale, l’apertura incondizionata delle frontiere e dei confini nazionali ai permanenti flussi migratori, l’abolizione del servizio militare e l’opposizione aprioristica alla guerra e ad ogni tipo di guerra, vengano tradotti in veri e propri diritti o aspettative legittime riconosciuti dalla legge.
Tutte cose su cui è difficile che il filosofo veneziano possa concordare senza dissentire, in modo più o meno accentuato, con quei cattolici che aborrono, almeno sul piano dottrinario, il libero amore, forme di matrimonio non eterosessuale e di famiglia non monogamica, e poi l’aborto, il divorzio, le pratiche eutanasiche, l’irenismo religioso, l’emancipazione femminile completamente disgiunta da una responsabile morigeratezza di costumi, un’accoglienza irresponsabile e di falsa ispirazione evangelica verso gli immigrati in blocco, come in più occasioni ho cercato di dimostrare in sede esegetica. Su tutto ciò, il katéchon dovrebbe potersi identificare in primis con il potere esercitato istituzionalmente dalla Chiesa ma che la Chiesa sotto l’attuale pontificato esercita solo in parte su questi temi, e non proprio nel modo migliore. In questo caso, si ha a che fare con un katéchon debole, depotenziato, quasi complice della scristianizzazione dello stesso popolo di Dio, e a sua volta causa di immoralità, blasfemìa, idolatria. E, anzi, proprio per questo, si aspetta e si prega perché la Chiesa sappia ugualmente trovare al suo interno un potere catecontico non verticistico ma più coralmente esercitato da quei “piccoli resti” dell’ecclesialità che hanno sempre costituito il vero lievito di tutte le rinascite della Chiesa.
Se le cose stanno così, non ha molto senso affermare, come fece diversi decenni or sono Cacciari, che, poiché con le sue dimissioni Ratzinger dimostrava di non poter più contenere le potenze anticristiche, all’interno della stessa Chiesa» (Intervista di M. Dotti a Cacciari, Il nuovo Papa dovrà sfidare l’Anticristo, in “Vita.it”, 11 marzo 2013), il katéchon sarebbe stato tolto di mezzo, per cui, sarebbe toccato al successore, a papa Francesco, l’oneroso compito di esercitarlo con rinnovato vigore. Sono interpretazioni superficiali e scollegate dalla ratio presente nel testo paolino che è un testo escatologico e riguarda, pertanto, la fine dei tempi, quando verosimilmente ogni principio realmente, autorevolmente, integralmente catecontico, che Dio farà sussistere, anche in quell’ultima congiuntura della storia umana, nelle forme e in iniziative umane e personali che riterrà più opportune, sarà «tolto di mezzo» non solo con il martirio di una sofferta testimonianza di fede ma con il martirio della vita stessa. Allora e solo allora, dice Paolo, l’iniquità e l’empietà si manifesteranno nella loro pienezza e nella loro inequivocabile e più squallida disumanità, e solo a quel punto il Signore Gesù distruggerà ogni più immonda realtà di peccato e ogni più indegna manifestazione di apostasia con il soffio della sua bocca, annientando tutti suoi nemici satanici, ivi compresi discepoli e ministri infedeli della sua stessa Chiesa, con lo splendore della sua venuta.
Paolo, quindi, conferisce al katéchon un significato escatologico anche ma non tanto intermedio, quanto ultimativo, conclusivo, definitivo, e lo riferisce ad un momento apicale della processualità storico-umana in cui si verificherà una esondazione talmente catastrofica dello spirito di iniquità dagli argini della fede, un dilagare talmente abominevole di demoniaca iniquità, da indurre il Cristo parusiaco a decretare la propedeuticità di tale stato di cose alla fine della storia coincidente con l’avvento dell’epoca apocalittica e del trionfo definitivo dell’imbattibile e glorioso potere di Cristo-Dio.
Quindi, il katéchon, nella sua manifestazione più tipica e pur sempre operante in varie forme nella storia e non necessariamente nelle forme istituzionali dell’Impero, dello Stato, della Chiesa e via dicendo, non è, in senso specifico, quello delle varie figure fenomenologiche che vengono avvicendandosi nel corso della storia ed espletando una funzione catecontica in modo più o meno efficace, non è quello per intenderci di Benedetto XVI o papa Francesco, ma quello, forse particolarmente eroico, che verrà manifestandosi negli ultimi tempi e in modi e attraverso persone o gruppi di persone presenti solo nella mente divina, di quanti, pur opponendosi impavidamente al furioso attacco delle forze irrazionali del male e del maligno, verranno «tolti di mezzo» per consentire, in santità di vita e di morte, il glorioso epilogo escatologico della parusìa di Cristo re e giudice.
Ora, è pur vero che, di riflesso, l’interpretazione catecontico-escatologica può essere applicata parzialmente a qualunque fase della storia umana, anche perché non è dato sapere quali siano esattamente i tempi decretati da Dio come ultimi. E se si voglia attualizzare il discorso in relazione all’odierno pontificato, occorre dire con molta franchezza che il potere normativo della Chiesa governata da Francesco, è sembrato fin qui non di rado tollerante, più che autorevolmente ostruttivo, verso taluni fenomeni per così dire laico-emancipativi, conseguenti alla più avanzata secolarizzazione, e costitutivi di una società tempestosamente liquida in cui può accadere facilmente che il principio cristiano della individuale libertà interiore venga invocato e utilizzato non per compiere il bene ma per operare scelte profondamente sbagliate e lesive della dignità umana, e che persino valori largamente consolidati, come la famiglia o il rispetto per la vita, si trasformino improvvisamente in disvalori e il principio cristiano della individuale libertà interiore venga invocato e utilizzato non per compiere il bene ma per operare scelte profondamente sbagliate e lesive della dignità umana.
Tuttavia, in questo caso, lo scenario apocalittico, pur sempre virtualmente imminente, non sembra essersi ancora dispiegato nella sua massima potenza annichilatrice, perché non è per vano esercizio retorico che ci si deve chiedere se papa Francesco si sia messo a svolgere una funzione catecontica di riserva, all’indomani della rinuncia di Benedetto XVI al pontificato, o, piuttosto, faccia parte attiva di un processo terminale di irruzione delle potenze anticristiche nella storia degli uomini, in conseguenza del quale dovrebbe aver ormai luogo il folgorante e definitivo ritorno di Cristo sulla terra. Di certo vi è che, quando il katékon smette di essere finalizzato all’eschaton, all’avvento del Regno di Dio, per diventare fine a se stesso, strumento di autocelebrazione di chi lo adopera, e quindi ulteriore possibilità di idolatrica perdizione, il suo destino è segnato, al pari di quello relativo a tutto ciò che esso avrebbe dovuto combattere solo per amore di servizio verso Dio e non per amore di potere personale: il destino «dell’empio che il Signore Gesù distruggerà con il soffio della sua bocca».
Quello che traccia Cacciari è, a ben vedere, un affresco un po’ ingenuo e soprattutto ipotetico di filosofia teologica della storia e ipotetico resterà fino a quando egli non riuscirà a mettere ordine tra i suoi pensieri che zampillano spesso dalla sua mente a prescindere dal quel che si tratterebbe di dimostrare e a trovare concetti e parole più consoni ad un ragionamento ordinato, lineare e non costellato da continue e bizzarre digressioni che ne rompano, al di là di ogni pur legittima articolazione argomentativa, l’interna unità tematica disperdendo l’essenzialità e il senso specifico delle tesi di fondo che ne sono alla base e sulle quali unicamente dovrebbe essere incentrato lo sforzo interpretativo. Peraltro, ci si chiede inevitabilmente a cosa sia dovuto tutto questo interesse di Cacciari per il potere frenante e, soprattutto, per la sua definitiva caduta storica. La ragione di tale interesse è da vedere nella speranza di Cacciari che a trionfare siano le realtà peccaminose, menzognere, idolatriche e perverse di questo mondo oppure il trionfo quanto più ravvicinato possibile di Cristo (M. Blondet, Gli Adelphi della dissoluzione, Milano, Ares, 1994)?
Francesco di Maria