Il papa e la guerra

Nessuno può chiedere al papa regnante «di diventare il cappellano della Nato», né lo si può criticare per il fatto che usi prudenza nel parlare «del conflitto in Ucraina»1. Se le contestazioni al pontefice potessero ridursi a quella richiesta e a quella critica, il costituzionalista cattolico Stefano Ceccanti avrebbe ragione da vendere. Ma, in realtà, al papa si può e, filialmente o fraternamente, si deve rimproverare altro. Il papa, spiega Ceccanti, ha sempre riconosciuto l’esistenza di un aggredito e un aggressore, ma di più non può dire semplicemente perché gli corre l’obbligo pastorale di pensare ai circa 150.000 cattolici residenti nella Federazione russa e corrispondenti allo 0,1% della sua popolazione complessiva e di dare spazio alle iniziative diplomatiche della Santa Sede.

D’altra parte, rileva il costituzionalista, esiste un pacifismo cattolico che strumentalizza fortemente la posizione del papa e tende a scoraggiare gli sforzi solidaristici europei e italiani verso il popolo ucraino anche o soprattutto in materia di armamenti e di avanzata tecnologia militare, per cui appare del tutto legittimo far diga contro «ricorrenti tentazioni di astratto neutralismo, che derivano da visioni di massimalismo etico», soprattutto alla luce della preziosa «eredità degasperiana e montiniana, protesa alla ricerca del bene possibile», non già di un irrealistico bene perfetto e assoluto, e quindi anche di una pace possibile fondata su un binomio di verità e giustizia. Ma questa lettura appare sin troppo benevola, se non verso il mondo “pacifista” cattolico, certamente verso l’attuale pontificato.

Troppo benevola, perché qui non si tratta semplicemente, come osserva Ceccanti, di «distinguere il piano dell’azione della Santa Sede e del magistero pontificio a favore della pace dalla responsabilità dei politici che pur d’ispirazione cristiana devono usare “mezzi imperfetti” come lo strumento delle armi e delle alleanze militari»2. Qui il problema è che la Chiesa può e deve favorire la causa della pace non con un linguaggio paternalistico, moralistico, generico ed equivoco, ma con il linguaggio della sua storia e della sua tradizione, della sua vocazione biblico-evangelica e della sua funzione missionaria: cioè, con il linguaggio profetico e carismatico. Cos’ha di carismatico il linguaggio pontificio nel ripetere, a mò di stanca e noiosa litania, che “la guerra è sempre una sconfitta”, che bisogna affidarsi al dialogo tra le parti e alla diplomazia, e infine pregare “per la martoriata Ucraina”? In che cosa consisterebbe il contenuto profetico dei monotoni, rituali, quasi burocratici e fastidiosi interventi pontifici sulle guerre in atto nel mondo? Forse nella condanna dei costruttori di armi e di ordigni nucleari completamente sganciata da un’analisi attenta dei fattori storico-strutturali di crisi nei rapporti politici tra Stati, forse nel richiamare il pericolo che, continuando ad alimentare le ragioni della guerra, l’umanità corra ineluttabilmente verso la sua distruzione?

Ma, per dire queste cose, c’è bisogno della Chiesa, o piuttosto quest’ultima, sfidando apertamente il conformismo imperante di pensiero, non sarebbe tenuta a indicare, appunto profeticamente, le origini o le cause non secondarie o derivate ma primarie e dirette della guerra, ovvero quel peccato originale di cui i prelati italiani, con alla testa il vescovo di Roma, parlano sempre di meno specialmente in relazione ad importanti questioni di pubblico interesse, quali la guerra, la promiscuità sessuale, il disordine morale e sociale che diventa poi fonte di comportamenti idolatrici e blasfemi? Un linguaggio profetico non dovrebbe essere quello per cui non solo i ricchi sfondati ma i tiranni più o meno sanguinari sono destinati ad entrare per direttissima nella “fornace ardente” preparata ab aeterno da Dio per i peccatori recidivi e incapaci di pentimento? Quello per cui, dinanzi al Signore, nessun delitto deliberatamente e reiteratamente compiuto contro il genere umano, resterà impunito? Quello per cui, a prescindere da ogni chiacchiera sulla funzione positiva delle buone intenzioni e della disponibilità a trovare punti di incontro, è da ritenersi assolutamente immorale una pace che non sia fondata su verità e giustizia? Sono forse minimamente affiorati nei discorsi papali di questi ultimi due anni questi richiami biblici, queste motivazioni e tonalità profetiche ed escatologiche?

Le dimensioni o le armi principali della pedagogia ecclesiale sono la profezia e l’escatologia, tolte le quali alla Chiesa resta ben poco da insegnare. Poi, certo, non è meno potente e determinante la preghiera, ma la preghiera non deve essere reclamizzata, ostentata, esibita, bensì interiorizzata, meditata, vissuta non contro le contraddizioni laceranti del mondo ma all’interno di esse, facendosene personalmente e comunitariamente carico, ponendosi sempre, innanzitutto, dalla parte degli oppressi, dei perseguitati, degli incolpevoli o dei meno colpevoli. Quando mi sento dire da certi preti, persino nel corso della confessione sacramentale, che, se anche si disponesse di amici molto generosi e potenti quando si venga minacciati ingiustificatamente di morte, non ci si dovrebbe mai avvalere, in ossequio alla non violenza evangelica, della loro forza offensiva, confesso di avvertire un fremito di violenta indignazione per il modo disinvolto e semplicistico in cui persino certi presbiteri si accostano alla Parola di Dio. 

Quanto poi alle presunte preoccupazioni del papa per la comunità cattolica che vive in Russia, mi sembrerebbe un po’ curioso che il papa tema che la guerra, peraltro voluta unilateralmente dalla Russia, possa ritorcersi contro i cattolici russi solo per il fatto che si ritenga, da parte di un papa cattolico, apertamente sbagliata e ingiusta la decisione di Putin di aggredire violentemente il popolo ucraino, così come, a mio avviso, è sin troppo debole, fiacco e puramente formale, l’invito rivolto oggi dal papa alle autorità politiche israeliane a moderare e a cessare l’azione militare repressiva condotta nei territori palestinesi dopo il tragico 8 ottobre del 2023. Peraltro, i cattolici residenti nei paesi islamici, notevolmente più numerosi dei cattolici russi, e che in questi paesi subiscono continuamente limitazioni civili ed economiche e minacce di morte per motivi specificamente religiosi, non mi pare siano mai stati oggetto di una speciale cura evangelica da parte del papa, il quale, certo, ogni tanto ne parla anche come di martiri della fede, ma senza quella particolare partecipazione emotiva e quel commoso coinvolgimento spirituale che dovrebbero essere qualità apostoliche preminenti nel ministero del vicario di Cristo. Se mi sbaglio, chiedo preventivamente perdono, ma a me non è mai capitato di percepire la particolare vicinanza spirituale di papa Bergoglio verso i cattolici sofferenti e perseguitati di tante regioni africane o asiatiche, o sottoposti a controlli e censure severissimi in importanti nazioni come la Cina. Quel che egli non sembra comprendere a sufficienza è che non sempre e non tutto è possibile fare, nell’ottica evangelica, per via diplomatica o pacifica.

Il problema di questo pontificato è che, in particolare per quanto riguarda la guerra ma anche per altre importanti questioni come il fenomeno migratorio e i cosiddetti princìpi non negoziabili della fede cattolica, il suo linguaggio non appare sufficientemente ispirato dal punto di vista strettamente spirituale e religioso, né particolarmente curato e preciso dal punto di vista logico-argomentativo, né infine abbastanza incisivo e persuasivo in senso comunicativo. Anziché un linguaggio semplice ma chiaro, colto e documentato ma non inopportunamente polemico e autoritario, profetico-carismatico ed escatologico e non demagogico e populistico, troppe volte quello dell’attuale pontefice è sembrato un linguaggio viziato da un certo soggettivismo esegetico-interpretativo, da una subalternità rispetto a fatti di stretta attualità e alle rappresentazioni ideologiche che se ne danno in parte nella società civile ma, molto più spesso, nel mondo mediatico: un linguaggio, quindi, che anziché contrastare evangelicamente i vistosi errori e le idee peccaminose del mondo, tende piuttosto a tollerarli, a cercare sempre un punto di compromesso con essi, talvolta persino esaltandone la presunta rilevanza umana e morale e includendoli nella stessa agenda della spiritualità cattolica. Raramente, nei discorsi di papa Bergoglio, affiorano riferimenti al Dio onnipotente e giusto dei grandi profeti vetero e neotestamentari, al Dio Signore della vita e della morte, della pace e della guerra, della salvezza e della dannazione. Il Dio di Bergoglio, più che il Dio della santa Rivelazione, più che il Dio-Padre benevolo e accogliente ma anche esigente e severo di Cristo, è, piuttosto, un Dio politico e ideologico, un Dio che comanda amore, concordia e pace sempre e comunque, al di là dei torti e delle ragioni delle sue creature, e quindi esclusivamente ecumenico e misericordioso, quali che siano gli sforzi di singole persone o intere comunità di onorarne i comandamenti e la volontà. Si tratta di una fede troppo schiacciata sulle contingenze del presente e troppo poco aperta ai valori eterni dello spirito e alla prospettiva trascendente della fede.

Per quale motivo, poi, russi e ucraini dovrebbero riconoscere come possibile mediatore, come possibile ambasciatore di pace e di ricomposizione pacifica del conflitto in atto, un uomo così poco credibile e carismatico, così approssimativo e confuso, anche se non scellerato come il patriarca di Mosca Kirill? I russi lo accetterebbero solo se dichiarasse la sua maggiore vicinanza a Mosca, ma d’altra parte gli ucraini non sanno che farsene di un’equidistanza pontificia ben poco rispettosa del loro diritto ad esistere come popolo sovrano, autonomo e indipendente. Il papa lo sa, anche se continua a coltivare pervicacemente il desiderio tutto mondano di poter essere lui l’artefice della pace. Desiderio destinato a rimanere insoddisfatto almeno finché non riconoscerà pubblicamente che la guerra in corso in Ucraina, per quanto essa sia sempre una sconfitta per l’umanità, è nata esclusivamente dallo spirito prevaricatorio ed imperialistico di Putin e che il popolo ucraino ha dovuto subirla e affrontarla come una dura necessità per la sua stessa sopravvivenza. Il papa, per sperare di avere maggiore successo, avrebbe potuto ricordarsi di una grande figura di pontefice come quella di Leone I detto Magno che nel 452, senza chiedere autorizzazioni preventive, volle incontrare Attila, re degli unni, sulle sponde del Mincio, semplicemente impugnando la croce di Cristo, per convincerlo a desistere dalla sua intenzione di marciare minacciosamente verso le regioni dell’Italia centrale. Il Signore premiò la sua fede perché, dopo quell’incontro, Attila ovvero “il flagello di Dio”, avrebbe abbandonato l’Italia.

Anche la continua e sterile polemica, che questo papa non si stanca di reiterare con sterile e fastidiosa monotonia,  contro le armi nucleari e a favore di un disarmo anche solo parziale e limitato al mondo occidentale, non rappresenta alcun reale contributo alla causa della pace, perché, come argomenta Ceccanti che però rivolge la sua critica ai pacifisti ma non al papa: «ci interessa un mondo libero da tutte le armi nucleari o pensiamo che solo le democrazie occidentali debbano disarmare dando un vantaggio mostruoso ai regimi illiberali che a quel punto, avendo il monopolio dell’atomica, lo userebbero come potentissima arma di ricatto? Se agiamo per il disarmo di tutti ha senso, altrimenti mi sembrerebbe una logica assolutamente sbagliata. Nessuno peraltro può dubitare che le democrazie siano costitutivamente riluttanti nell’usare tali armi, di cui per un periodo hanno anche avuto il monopolio, mentre proprio il caso dell’Ucraina, che rinunziò unilateralmente alle sue armi atomiche con le quali mai sarebbe stata invasa, è lì come argomento decisivo per farci rifiutare l’unilateralismo»3. Più che giusto, mi pare.

Contrariamente a ciò che tanti politici e politologi, accademici ed esperti di scienze militari, laici e cristiano-cattolici, continuano a sostenere sulla guerra in Ucraina, oggi il «male minore e il bene possibile»4 per il genere umano, non si perseguono cedendo alle ricattatorie pretese russe e mortificando il diritto del popolo ucraino a vedersi riconosciuto come popolo sovrano, ma aiutando un popolo oppresso a resistere e a liberarsi da uno Stato nemico tirannico e invasore e a scoraggiare così la demoniaca volontà di potenza che sempre aleggia sulle dinamiche storico-politiche del mondo. Di certo, né il governo italiano sta violando l’art. 11 della Costituzione, pur limitandosi ad inviare armi in Ucraina, né i non neutralisti e i non pacifisti cattolici possono essere tacciati di comportamento antievangelico, essendo molto dubbio che gli autori di questa accusa abbiano inteso correttamente il senso dell’esortazione evangelica alla non violenza e alla pace.

Però, un appunto nei confronti dello stesso Ceccanti, che pure sembra adoperarsi nobilmente per sottrarre la figura del papa a critiche ingiuste o eccessive, appare doveroso farlo, in quanto egli ha dichiarato che «se non ci riesce il papa» a convincere Putin a smettere di bombardare l’Ucraina, «non ce n’è per nessuno»5. Ma non è affatto detto, perché la pace, al termine della seconda guerra mondiale, ad esempio, non fu ottenuta e riconquistata in virtù dell’attività pastorale e pacificatrice di un papa, peraltro allora molto rispettoso della separazione tra potere spirituale e potere temporale, ma con una massiccia e spesso indiscriminata utilizzazione di armi già a quel tempo devastanti. E, anche senza la Resistenza armata, sarebbe stato molto più difficile ottenerla.

Non è per mancare di rispetto al papa, specialmente in qualità di cattolico, ma dico chiaramente che egli dovrebbe sforzarsi di essere più preparato o più rigoroso sul terreno biblico-evangelico e meno tassativo o perentorio su quello pastorale, più popolare in senso ascetico-religioso e meno popolare in senso politico e mediatico. Io non penso che si possa essere comprensivi verso le parole e i ragionamenti del papa sulla guerra solo che si tenga ben distinto, come si affanna a ripetere il buon Ceccanti, il suo ruolo spirituale da quello eminentemente politico dei laici capi di Stato, giacché è proprio da un punto di vista spirituale che le sue affermazioni non appaiono per niente convincenti. Se è vero che umanamente la guerra è sempre una sconfitta, per un papa dovrebbe essere altrettanto doveroso distinguere in modo accurato tra una guerra offensiva e una guerra difensiva ed evidenziare che se può essere illegittima la seconda, ancor più illegittima deve considerarsi la prima. Quel che si comprende ancor meno è la petulante e infruttuosa insistenza con cui il papa chiede di essere incaricato, con troppa ostentata umiltà, a mediare tra le parti in causa, quando esse hanno fatto intendere più e più volte che di un mediatore non già super partes, come molti dicono, ma paternalisticamente ambiguo e generico, come evidentemente viene percepito questo papa, non hanno alcun bisogno: non la Russia convinta di dover imporre la sua volontà dominatrice all’Ucraina, non quest’ultima determinata a liberarsi una volta per tutte dalla tirannia russa.

Ma poi, soprattutto, dove sta scritto che, per essere efficacemente diplomatico, il capo della cristianità non possa o non debba esercitare pienamente la sua prerogativa di dare testimonianza alla verità? Certo, può esercitarla in molti modi o forme, ma non per oscurarla o alterarla, bensì per non rischiare di servirsene per fini personali o di parte: il modo migliore di testimoniare la verità, per un papa, è di sicuro quello di ricorrere al vastissimo e prezioso repertorio vetero e neotestamentario da cui si possono trarre immagini, scene, storie, parabole molto più profeticamente efficaci di qualunque discorso etico-politico. Mai come nel caso di una guerra lunga e sanguinosa, sarebbe opportuno e necessario che il vicario di Cristo desse sapientemente la parola al Dio giusto e misericordioso, salvatore e giudice, delle sacre scritture. Che, però, è quello che, sotto questo pontificato, non si sente quasi mai fare con tono autorevole e convinto.

Ma, al di là di questo e senza pretendere che un papa possa dichiararsi favorevole ad una guerra, bisognerebbe rendersi conto che la guerra è uno di quei temi drammatici, cui un papa dovrebbe dedicarsi principalmente con la preghiera e con opere di carità, anche perché di stretta pertinenza non già del Vaticano ma delle autorità politiche e governative del resto del mondo, anch’esse legittimate da Dio. Per quanto mi riguarda, non escludo affatto che la Chiesa, in questo specifico caso, stia peccando di ingerenza in una materia che non le compete dal punto di vista specificamente decisionale.

Dio non ha mai detto, sia pure attraverso l’ispirata mediazione scritturale, che gli Stati non possono fare guerre per proteggere la propria integrità territoriale e i propri sudditi, così come non ha mai detto che ogni Stato ha l’obbligo di accogliere tutti i migranti del mondo in un solo colpo. Sono idee che rientrano nel massimalismo pseudoumanitario dei giorni nostri che ben poco ha a che fare con l’onesto e impegnativo  realismo umanitario del vangelo. Non è né da uomini, né da cristiani alzare bandiera bianca, dichiarare la resa a favore di uno stolto e potente ma non invincibile Golia che pretenda di vedere esaudito ogni suo immondo desiderio. Qualche volta, con il favore di Dio, anche un piccolo e quasi disarmato Davide può avere il sopravvento su un gigante di tenebre e di morte. Certo, ci sono momenti in cui il cristiano capisce che ogni opposizione alla malvagità sarebbe inutile e allora, pur senza dichiarare la resa e confidando nella misericordia e nella giustizia divine, va incontro al suo destino terreno di morte.

 

NOTE

 1 S. Ceccanti: “sbagliato tirare il Papa da una parte o dall’altra sul conflitto in Ucraina, responsabilità di Chiesa e politica sono diverse”, in “Agensir.it” del 27 marzo 2023.

2 Ceccanti, Contro il neutralismo e il pacifismo astratto, 5 aprile 2023, in sito on line “Cittanuova.it”.

3 Ivi.

4 Intervista di C. Fusani a S. Ceccanti, Da cattolico vi spiego perchè l’invio delle nostre armi in Ucraina è legittimato dalla Costituzione, in News, Notizie.Tiscali.it del 9 maggio 2022.

5 Ceccanti: «Putin capisce solo la difesa armata» Rotondi: «Il papa sa creare ponti», in “Il Giornale” del 5 maggio 2022.

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