Il montismo, la Chiesa e la responsabilità dei cattolici

La nota rivista gesuita “La civiltà cattolica”, tradizionalmente organica alla Santa Sede, in data 4 febbraio 2012 riservava uno straordinario elogio al prof. Mario Monti che aveva accettato di presiedere un governo “tecnico” fortemente voluto dal capo dello Stato Giorgio Napolitano. In essa si osservava, alla luce del decreto montiano “Cresci-Italia” da poco varato, che «sarebbe sufficiente la realizzazione di un decimo soltanto del programma previsto per dover ringraziare il ‘Professore’ a motivo del lavoro che sta compiendo, anche sul piano internazionale». I provvedimenti varati da Monti e dal suo governo, si leggeva, erano attesi in Italia da oltre vent’anni e, benché necessari alla vita economica e sociale del nostro Paese, nessun partito politico italiano, per evidenti interessi elettoralistici e con nessuna attenzione al bene comune, era parso seriamente interessato ad attuare le riforme finalmente poste in essere ora dal governo tecnico. Anche l’“Osservatore Romano”, il quotidiano del Vaticano, avrebbe riservato a Monti in più di un’occasione il suo apprezzamento e, scorrendo i titoli dei principali giornali nazionali del 15 gennaio 2012, sembrava del tutto probabile che il professore della Bocconi godesse della stima dello stesso papa Benedetto XVI.

Ma è in un’intervista rilasciata da Monti a Radio Vaticana il 19 gennaio 2012 che già si manifestavano appieno le sue idee politiche che la Chiesa a tutt’oggi non solo non ha mai avversato ma ha implicitamente ed essenzialmente dimostrato di condividere. Egli qui premetteva che non era possibile in quel momento prevedere la fine della crisi economico-finanziaria e sociale in atto e che l’unica cosa certa da farsi era un inedito impegno tecnico-politico soprattutto a favore delle giovani generazioni afflitte sempre più «da drammi e deserti interiori». Questo inedito impegno, diceva Monti, doveva passare attraverso una politica economica rigorosa e capace di mettere a posto i conti oltremodo disordinati dello Stato, attraverso una strenua difesa dell’Unione Europea e dell’euro, attraverso una lotta senza quartiere all’evasione fiscale e ad ogni genere di spreco, attraverso il perseguimento del bene comune che si sarebbe dovuto anteporre al bene di parte o di gruppo.

Naturalmente tutto questo, precisava Monti, era necessario anche al fine di non gravare più irresponsabilmente «le generazioni future di un pesante fardello di debito pubblico prima ancora che nascano, perché ci sono – in una visione responsabile – dei vincoli posti proprio come regola di convivenza tra i Paesi che partecipano all’euro». E quindi aggiungeva, riprendendo un’espressione del papa, che «alla crisi, cittadini e Istituzioni non devono rispondere fuggendo come di fronte ai lupi, ma restando saldamente uniti» e che era tempo ormai di proporre misure non più clientelari ma razionali anche se dolorose per tutti, benché il loro principio ispiratore, in questo tempo di crisi e per motivi di equità, dovesse essere conforme a quanto aveva affermato il grande economista cattolico Giuseppe Toniolo e cioè che “Chi più può, più deve; chi meno può, più riceve”.

Adesso siamo quasi alla fine del governo Monti o almeno del primo governo Monti: è possibile riconoscere che tale governo si sia davvero ispirato alla nobile massima di Toniolo? Possiamo dire che il controllo fiscale da esso esercitato su migliaia di famiglie italiane non abbia alcunché di “vessatorio” e “iniquo”? Possiamo dire che la lotta pure energicamente intrapresa contro gli evasori fiscali abbia contribuito ad alleggerire la pressione fiscale nei confronti di tutti coloro che al fisco proprio non possono sfuggire e che pagano regolarmente le tasse? Non si sarà usata per caso la caccia agli evasori come alibi per una politica fiscale durissima ed indiscriminata, quella di fatto ancora adesso praticata, contro le famiglie in genere e contro semplici e umili lavoratori?

E’ proprio vero che, come pretendeva Monti nella sopradetta intervista, le liberalizzazioni da lui avviate o che avrebbe voluto avviare siano in realtà «un insieme di misure per introdurre nell’economia e nella società italiana, con una più sana concorrenza, maggiori spazi per il merito, soprattutto a beneficio dei giovani, degli esclusi»? E’ vero che, nel frattempo l’Italia è diventata un Paese più competitivo dimostrando di non voler «fuggire di fronte ai lupi della competizione internazionale», per usare sempre l’espressione dell’accademico bocconiano? Si può obiettivamente asserire che Monti abbia sin qui “liberalizzato”, con massicci tagli finanziari in tutti i comparti della nostra società (come la sanità, la scuola, la ricerca, le pensioni ecc.), per offrire veramente «benefici, risparmi e benessere a un numero più elevato di cittadini, senza per questo compromettere l’esistenza di nessuno»? In definitiva, Monti è stato capace di fare della società italiana, secondo quanto nell’intervista si riprometteva, «una società più aperta, più dinamica, più competitiva»?

Se le parole devono avere un senso, la risposta non può essere che una, e cioè che, come gli stessi indicatori economici e sociali stanno incontrovertibilmente a dimostrare, con Monti l’economia e la vita sociale italiane non solo hanno continuato a regredire ma appaiono per il futuro sempre più suscettibili di ulteriore arretramento e decadimento, anche perché il cosiddetto debito pubblico, cosí centrale nell’impegno politico-governativo montiano, nel frattempo non si è affatto ridotto ma ha continuato ad aumentare. Questi sono i fatti. E i fatti sono anche che Monti, che alcuni autorevoli esponenti dello Stato vorrebbero vedere a capo del prossimo governo nazionale, è, come si legge sul blog del capo politico del Movimento 5 Stelle, «un uomo di fiducia della finanza internazionale che sta facendo dell’economia italiana un deserto dei tartari» e che anche grazie a lui «l’Italia non è più una democrazia, ma una partitocrazia affiliata ai poteri economici internazionali».

A parte questo, per capire il modo di governare di Monti non si può prescindere dal suo modo di pensare, dalle sue teorie economiche, dalla sua concezione della democrazia, dalla sua stessa storia professionale. Ma come si potrebbe pretendere un miracolo di vero risanamento da un tizio che è stato sempre al servizio delle più potenti lobbyes finanziarie del mondo, come Bilderberg, Trilateral Commission, Aspen Institute Italia, Goldman Sachs, e che ha assolto un ruolo rilevante di european commissioner nella famigerata “Santer Commission” (1995-1999) sciolta per “frode, cattiva gestione e nepotismo” e più esattamente in qualità di responsabile di “Internal Market, Financial Services and Taxation”, ovvero dei flussi finanziari di cui egli era espertissimo? Il caso della “Santer Commission” si concluse senza l’individuazione di colpevoli certi, ma molti soldi allora sparirono e andarono a finire nelle tasche o nelle casse di soggetti mai identificati con esattezza. Oggi, mutatis mutandis, sembra ripetersi la stessa dinamica, perché le manovre finanziarie del governo Monti hanno prodotto l’effetto di togliere tanto denaro «dalle tasche degli italiani per finire nelle tasche dei soliti ignoti. Un’azione virtuosa di consolidamento delle finanze», ha scritto giustamente Antonio Miclavez sul sito “comedonchisciotte”, «ma non certo delle finanze degli italiani» (25 novembre 2012).

Tra nuove tasse esorbitanti imposte ai cittadini normali e tagli selvaggi nel settore pubblico, che non accennano affatto a diminuire, la sensazione sempre più forte che se ne trae è che i cittadini ormai debbano fare sempre più spesso da soli e che il welfare, il vecchio Stato sociale, sia destinato a passare irreversibilmente nelle mani dei privati per reggersi quasi esclusivamente sulle stesse economie familiari. Basta solo un dato per rendersi conto della portata delle cosiddette “riforme” varate dal governo Monti: il Fondo nazionale per le politiche sociali dai 923 milioni del 2008 passa a 44 milioni stanziati per il 2013. Già questo dato è sufficientemente indicativo di come siano risibili le reiterate rassicurazioni montiane circa il carattere non vessatorio delle manovre finanziarie.

La disoccupazione è galoppante, la corruzione è inarrestabile, le varie mafie sempre battute restano ancora vive e vegete, molte imprese chiudono gettando sul lastrico migliaia di lavoratori, la pressione fiscale cresce sino a farsi insostenibile, gli stipendi e i salari sono sempre più bassi e in ogni caso sono i più bassi d’Europa, il conflitto di interessi resta irrisolto. Eppure, Monti continua a ripetere che l’Italia è uscita o sta per uscire dal tunnel e che la ripresa è vicina. La ripresa è cosí vicina da richiedere tuttavia “nuove forme di finanziamento”, come egli ha dichiarato solo pochi giorni fa, ovvero di finanziamento non più statale, per evitare che nel frattempo il sistema sanitario pubblico sparisca del tutto.

Ma è la complessiva visione montiana della politica e della società che si mostra chiaramente unilaterale, riduttiva, prettamente tecnocratica ed economicistica, e di conseguenza solo nominalmente attenta ad istanze comunitarie e sociali di natura squisitamente morale e/o religiosa. Con l’ulteriore grave implicazione, va precisato, di una politica economica cieca, dogmaticamente esercitata in funzione di un’Europa non comunitaria, non solidale, ma profondamente divisa e retta da burocrazie bancarie, e quindi destinata prima o poi al più disastroso dei fallimenti. Infatti, se i redditi sono bassi e pesantemente penalizzati dall’imposizione fiscale anche il consumo sarà basso, e se il denaro non circola, sia la produttività sia la ricchezza nazionale saranno stagnanti o insussistenti, né ci potrà essere crescita e ripresa, posto che siano ancora storicamente possibili o indispensabili, se da una parte non ci sarà capacità politica di ridefinire sul piano internazionale i termini del debito pubblico e dall’altra una volontà politica di rilanciare il lavoro a livello nazionale con misure finanziarie volte a sostenere priorità sociali di primaria grandezza come occupazione, in particolare giovanile, sanità, scuola, senza soddisfare le quali non può darsi alcuna forma di benessere economico e sociale.

Ma il problema di fondo è che per Monti i popoli dovrebbero essere guidati dai loro governi verso traguardi che non riflettano necessariamente le loro immediate e pur stringenti necessità ma le istanze economico-finanziarie dei grandi mercati finanziari e dei principali istituti di credito del mondo alle quali non è possibile sottrarsi se non si voglia essere emarginati dalla stessa comunità economico-finanziaria e commerciale internazionale e non ci si voglia perciò condannare ad una vita nazionale sempre più povera e stentata. Da ciò deriva la scarsa considerazione montiana per la democrazia e la sovranità nazionali, da integrare secondo lui in termini di cessione di sovranità per l’appunto nel quadro di poteri e di autorità ben più ampi, e quindi il disconoscimento della libertà e sovranità dei popoli e il diritto di ogni singolo cittadino di concorrere ad un controllo permanente e a scelte dirette e non delegabili ai burocrati della finanza e infine alla lotta consapevole e responsabile contro ogni genere di casta, contro l’ideologia consumistica e contro l’ultraliberismo di banche e multinazionali.

Per questo evidente deficit di spirito democratico, di senso dell’equità, di etica comunitaria e, si dica francamente, anche di sensibilità evangelica, secondo la quale chi ha fame e sete va sfamato subito con le risorse che ci sono attraverso una fraterna condivisione e non domani o dopodomani con le risorse che potranno o potrebbero esserci privando oggi del necessario chi ne ha un bisogno vitale per dare a chi pur presunto creditore ha già tutti i mezzi per vivere comodamente, non vedo proprio come Mario Monti possa o potrebbe essere “un figlio prediletto” della Chiesa, come pure è sembrato a qualcuno di poter dire, anche se questo giudizio, che ritengo umanamente, razionalmente, spiritualmente e politicamente fondato e difficilmente confutabile, non vuole né anticipare né sostituire il giudizio di Dio. Naturalmente.

Qui però si continua a ripetere stancamente, da parte dei tecnici dell’economia e della finanza che abbiamo vissuto troppo al di sopra delle nostre possibilità, che adesso bisogna eliminare il superfluo o comunque l’eccedente tagliando la spesa pubblica e riducendo drasticamente le pensioni, che ora è il momento del rigore e del risparmio, che è tempo di restituire ai nostri creditori quello che a suo tempo ci hanno prestato per venire incontro alle nostre necessità di vita e di sviluppo, che bisogna sacrificarsi per preparare un futuro migliore e per porre le condizioni di una vita dignitosa soprattutto a favore delle generazioni che verranno. E questa litania, francamente, non solo perché falsa e ipocrita ma anche e soprattutto perché funzionale subdolamente ad espropriare dei loro legittimi beni intere popolazioni e milioni di persone che vivono solo di duro e non gratificante lavoro, non solo non può essere accettata e subìta ma deve essere avversata e combattuta con tutte le armi dell’intelligenza, della volontà, del diritto, della resistenza civile, del voto, prima che diventi la litania obbligata dei nostri figli e delle future generazioni.

Chi è infatti che avrebbe vissuto negli ultimi trenti anni al di sopra delle sue possibilità? Cosa sarebbe il superfluo da eliminare, su cosa e per quanto tempo si dovrebbe ancora tagliare e risparmiare per poter soddisfare le fameliche aspettative dei mercati e dei mercanti che gestiscono i mercati, chi sono veramente i soggetti che traggono e trarranno vantaggio sia dalla crisi sia soprattutto dai presunti “rimedi” adottati per fronteggiarla? Perché, se proprio è necessario sacrificarsi, non prendiamo i quattrini che servono a riparare i guasti del passato dalle tasche di coloro che hanno le tasche piene di soldi anche quando sono vuote e lasciamo vivere in pace quelli che a stento riescono a sbarcare il lunario? Cosa fa il cosí spesso evocato buon padre di famiglia in una famiglia appunto in cui ci siano per ipotesi due figli che lavorano e due figli che non lavorano? Dice a quelli che non lavorano che devono in ogni caso contribuire al pagamento delle spese familiari o non si rivolge piuttosto a quelli che già lavorano affinché se ne facciano carico per intero sino a quando sarà necessario?

Allora cominciamo a dire chiaro e tondo da cittadini italiani e da cattolici che, contrariamente all’ideologia montiana, la sovranità nazionale non può e non deve essere ceduta ad entità sovranazionali, che lo Stato sociale non può essere smantellato con la scusa di una sua necessaria modernizzazione, che è invece saggio abolire il finanziamento pubblico a giornali e a partiti, ridimensionare drasticamente le cosiddette pensioni d’oro, indire una consultazione popolare per stabilire se sia o non sia il caso di rimanere nell’euro, ridare fiato a piccole e medie imprese che sono la spina dorsale dell’economia nazionale, evitare le Grandi Opere inutili o puramente opzionali per non indebitare ulteriormente i cittadini, adottare misure idonee a garantire che la politica non sia più un mestiere ma una vocazione implicante delle assunzioni anche parlamentari di responsabilità che abbiano un termine o una scadenza ben precisa, stabilire nuove regole per le quali la grande distribuzione non possa più uccidere il commercio locale, varare leggi contro ogni forma di corruzione e contro il cosiddetto conflitto di interessi oltre che leggi secondo le quali il falso in bilancio sia da considerare finalmente un reato, sostituire Equitalia con organi più affidabili di controllo e di riscossione dei tributi, impegnarsi seriamente affinché il governo della nazione non venga più affidata alla finanza ma esclusivamente alla politica anche per evitare che un Paese come l’Italia possa essere “spolpato per comprare il nostro debito pubblico dalle banche francesi e tedesche”, adottare sempre e solo provvedimenti che mai penalizzino i ceti sociali già in stato di obiettiva sofferenza economica e che siano funzionali esclusivamente al profitto delle attività manifestamente dotate di evidenti finalità sociali e di adeguate capacità operative per conseguirle.

Questi sono alcuni grandi punti del programma politico-elettorale pubblicato in data 28 novembre 2012 sul suo blog dal capo politico del pur discusso Movimento 5 Stelle. E anche i cattolici, che sono ancora privi purtroppo di una loro autonoma e significativa presenza politica, non potranno esimersi dal chiedersi, pur tra dubbi e perplessità, se non sia il caso di sostenerli con la matita e con il cuore in vista della ormai imminente competizione elettorale. Contro il montismo, che è una malattia della politica e una perversione forse inconscia dello spirito.

La nota rivista gesuita “La civiltà cattolica”, tradizionalmente organica alla Santa Sede, in data 4 febbraio 2012 riservava uno straordinario elogio al prof. Mario Monti che aveva accettato di presiedere un governo “tecnico” fortemente voluto dal capo dello Stato Giorgio Napolitano. In essa si osservava, alla luce del decreto montiano “Cresci-Italia” da poco varato, che «sarebbe sufficiente la realizzazione di un decimo soltanto del programma previsto per dover ringraziare il ‘Professore’ a motivo del lavoro che sta compiendo, anche sul piano internazionale». I provvedimenti varati da Monti e dal suo governo, si leggeva, erano attesi in Italia da oltre vent’anni e, benché necessari alla vita economica e sociale del nostro Paese, nessun partito politico italiano, per evidenti interessi elettoralistici e con nessuna attenzione al bene comune, era parso seriamente interessato ad attuare le riforme finalmente poste in essere ora dal governo tecnico. Anche l’“Osservatore Romano”, il quotidiano del Vaticano, avrebbe riservato a Monti in più di un’occasione il suo apprezzamento e, scorrendo i titoli dei principali giornali nazionali del 15 gennaio 2012, sembrava del tutto probabile che il professore della Bocconi godesse della stima dello stesso papa Benedetto XVI.

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