A mio avviso il sostituto procuratore Geri Ferrara di Palermo, che ha appena terminato la sua requisitoria contro Matteo Salvini al processo “Open Arms”, non è un buon giudice, ma un giudice, se non politicizzato, quanto meno incompetente e fazioso sul piano giuridico-processuale, dal momento che è assolutamente contestabile l’assunto da cui muove tutta la sua requisitoria non solo e non tanto contro l’individuo e il ministro Matteo Salvini quanto contro il principio fondante del sistema costituzionale repubblicano e dello Stato italiano di diritto su esso costruito, ovvero il principio della sovranità popolare, di cui è espressione il parlamento e il governo che ne ratifica e ne decreta le leggi. Sovranità popolare e Stato di diritto sono indissolubilmente connessi come si riconosce anche nel “Preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”.
Ciononostante, questi due concetti ancora oggi, lungi dall’essere sempre intesi in modo univoco, vengono spesso riempiti di contenuti ideologici o normativi così diversi e distanti da condurre ad esiti applicativi persino opposti. Basterebbe solo questo rilievo oggettivo a rendere più incerta e problematica di quanto il suddetto magistrato non ritenga la premessa su cui è imperniata la sua tesi accusatoria avverso l’ex ministro Salvini, la premessa per cui ci sarebbe «un principio chiave non discutibile: tra i diritti umani e la protezione della sovranità dello Stato sono i diritti umani che nel nostro ordinamento, per fortuna democratico, devono prevalere». La sovranità statuale riconosce costituzionalmente i diritti umani che però e perciò non sono altro da essa, ma ne sono diretta emanazione, donde la logica non ipotizzabilità di un eventuale conflitto tra principio di sovranità e diritti umani, i quali ultimi tuttavia dovranno essere riconosciuti ed esercitati nei limiti e nelle forme previste dalle leggi dello Stato stesso, preposto a garantire in via prioritaria, com’è naturale, i diritti alla sicurezza, all’ordine, al dignitoso benessere dei suoi cittadini.
Ciò comporta che, ove lo Stato italiano, per il tramite del suo governo e dei suoi ministri, a loro volta espressione di sovranità popolare, venga a stabilire, anche alla luce di fenomeni migratori di portata epocale, che non sussistano più le condizioni per ritenere compatibili i diritti costituzionali del popolo italiano con i diritti umani di quanti illegalmente e con mezzi non autorizzati dalle autorità politico-governative italiane pretendano ad ogni costo di sbarcare sul territorio italiano, eventuali decreti di respingimento governativi e ministeriali siano da considerare non solo pienamente legittimi sul piano giuridico-formale, ma anche del tutto ineccepibili sul piano etico-morale e conformi ai princìpi democratici dei nostri ordinamenti statuali, ivi compreso quello giudiziario. Per questa stessa ragione, appare semplicemente inficiata da miserevole moralismo l’affermazione per cui i diritti dell’uomo sarebbero giuridicamente sempre e comunque superiori alla difesa dei confini. Non sempre è così, e anzi in linea di principio non è così, potendo e dovendo coincidere la difesa dei confini con la difesa dei diritti di coloro che risiedono e vivono al di qua dei confini spesso in condizioni precarie, e questo basta per dire che, semmai, l’ordine giudiziario, l’ordine e non il potere giudiziario come tale inesistente, non deve travalicare i poteri giurisdizionali ad esso conferiti dalla stessa sovranità popolare e dai suoi legittimi rappresentanti politici, ma attenersi rigorosamente alle leggi e alle disposizioni dello Stato sovrano e dei suoi costitutivi organi decisionali.
Al sostituto procuratore di Palermo, benché ex procuratore internazionale per i crimini di guerra al Tribunale per la ex Jugoslavia dell’Aja, bisognerebbe far capire che chi è in mare va certamente salvato se è in reale e imminente pericolo di vita quando si tratti di casi isolati, fortuiti, ma non sistematici, non reiterati in modo arbitrario e con spirito provocatorio da parte di chicchessia. Le leggi si rispettano, non si violano e, se violate, non è lo Stato a doversi assumere la responsabilità delle possibili conseguenze. Peraltro, nel caso specifico i migranti non sono stati affatto sequestrati perché tenuti ben protetti a bordo della loro nave su cui per tutto il tempo hanno potuto ricevere viveri e assistenza, benché altri abbiano pensato di usarli contro la sovranità dello Stato italiano e per i loro ambigui interessi di probabili trafficanti di vite umane. Al sostituto procuratore bisognerebbe far capire che della vita di chi è in mare non rispondono innanzitutto, sotto il duplice profilo civile e penale, gli esponenti governativi dello Stato destinatario di una richiesta preventiva di sbarco, bensì esclusivamente coloro che, ostinandosi a volerne violare in modo flagrante le leggi e i divieti in difesa e a tutela dei diritti umani dei suoi cittadini residenti, si rendono responsabili di possibili tragedie umane. Bisognerebbe fargli capire, infine, che un giudice italiano è tenuto a preoccuparsi dei diritti umani altrui non più di quanto si preoccupi eventualmente dei diritti umani dei suoi connazionali, perché una buona dose di patriottismo non compromette certo né la sua imparzialità di giudizio, né la sua brillante carriera di magistrato ovunque voglia esercitarla, né soprattutto il suo alto senso umanitario.
Il problema di questo Paese, per molti osservatori, è che il diritto non si studia, o si studia poco e male e spesso per fare domani gli sceriffi di quartiere oppure per rendersi protagonisti di un giustizialismo umanitario a prevalente trazione progressista, non certo per amministrare serenamente e rigorosamente la giustizia di una nazione civile, con la conseguenza che il più democratico dei magistrati corra continuamente il rischio di dare interpretazioni fasciste, o se si vuole autoritarie e faziose, del diritto civile e penale, e dello stesso diritto internazionale.
Francesco Luciani