Francesco, i capitalisti e i cattocapitalisti

papaL’“esortazione apostolica” Evangelii Gaudium (La gioia del Vangelo) di papa Francesco ha scosso e innervosito i capitalisti di tutto il mondo, non solo i capitalisti non credenti o sempre sospettosi verso il cattolicesimo come il commentatore radiofonico conservatore americano Rush Limbaugh o come Jonathon Moseley, esponente del Tea Party, il movimento politico americano che difende il libero mercato da posizioni liberalconservatrici, nonché giornali di orientamento liberista come il WashingtonPost o la rivista economico-finanziaria Forbes, ma anche capitalisti dichiaratamente cattolici come Kenneth Langone, uno dei più importanti uomini d’affari americani con un patrimonio stimato superiore ai 2 miliardi di dollari, o come Michael Novak, il più importante esponente del cattocapitalismo americano e autore di quel The Spirit of Democratic Capitalism (New York, 1982) che segnò l’incontro tra cattolici e repubblicani nella grande alleanza politico-religiosa promossa negli anni ’80 dal presidente Reagan contro il comunismo sovietico e mondiale.

Langone è noto come un cattolico molto devoto, impegnato in opere filantropiche e di beneficienza svolte più che altro a favore della Chiesa statunitense in ragione delle quali egli è stato nominato nel 2007 Cavaliere di San Gregorio da Benedetto XVI. Ora, Langone si è detto molto preoccupato e sconcertato dalle severe critiche al capitalismo contenute nell’“esortazione apostolica” di Francesco, considerandole “un elemento di esclusione” rispetto ai grandi magnati cattolici della finanza americana che ora potrebbero essere anche tentati di non farsi più carico di talune necessità finanziarie della stessa Chiesa cattolica, ivi comprese quelle relative alle attività volte ad aiutare i poveri. E può darsi in effetti che, «se i rubinetti dei filantropi cattolici americani si chiudessero, rimpiazzarli sarebbe molto difficile» (P. Mastrolilli, Papa “marxista”. A rischio i dollari dei filantropi USA, in “La Stampa” del 2 gennaio 2014).

Quanto a Novak, forse il più noto filosofo cattolico americano e molto legato sia a Giovanni Paolo II che a Benedetto XVI, nonché teorico di un capitalismo dal volto umano quale sarebbe il capitalismo “democratico” fondato non già sull’etica protestante (come aveva sostenuto a suo tempo Max Weber in relazione al capitalismo primonovecentesco) ma sull’etica cattolica, non ha gradito affatto, malgrado il suo tentativo di addolcire il giudizio dal punto di vista formale, l’esortazione pontificia (Per Time è Francesco Persona dell’anno: “ha cambiato la percezione della Chiesa”, in “Corriere della Sera” del 12 dicembre 2013), in particolare là dove essa, prendendo di mira il cuore dell’economia liberista, recita: «In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare. Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza» (Evangelii gaudium, 54).

Novak, in linea con questa denuncia pontificia, ha sí riconosciuto che «al di là della crescita economica, per creare “maggior equità”, ci vogliono la legalità, la tutela dei diritti naturali, la solidarietà che la fede giudaico-cristiana ha sempre profuso a favore della vedova, dell’orfano, dell’affamato, del malato, del carcerato: in breve, ci vuole l’interessamento fattivo ed efficace per tutti i deboli e i bisognosi», precisando però che, a suo avviso, «malgrado i suoi difetti più vistosi, specie nell’industria dell’intrattenimento – musica pop, immagini spinte, tendenze discutibili – il sistema americano si è dimostrato più “inclusivo” verso i poveri di qualunque altra nazione della terra» (cit.), che è come riaffermare in modo molto risentito contro la severa critica del papa  che in realtà, eccezion fatta per alcune particolari aree del mondo come ad esempio la molta arretrata Argentina, proprio “i fatti” dimostrano e confermano che «il modello capitalista» costituisce una «fonte generalizzata di benessere».

Ma questa nervosa risposta di Novak dimostra che l’Evangelii Gaudium ha colpito nel segno. Per rendersene meglio conto, basta pensare alla significativa precisazione, che è anche un’implicita replica a Novak, fatta da papa Francesco nell’intervista concessa ad Andrea Tornielli: i teorici del capitalismo hanno sempre detto “più crescita economica, più benessere per tutti, ivi compresi i poveri”, ma in effetti si è rivelata assai menzognera quella previsione-promessa secondo cui «quando il bicchiere fosse stato pieno, sarebbe trasbordato e i poveri ne avrebbero beneficiato», mentre è accaduto e «accade invece che quando è colmo, il bicchiere magicamente s’ingrandisce, e cosí non esce mai niente per i poveri. Questo è stato l’unico riferimento a una teoria specifica. Ripeto, non ho parlato da tecnico, ma secondo la dottrina sociale della Chiesa. E questo non significa essere marxista» (Mai avere paura della tenerezza, in “La Stampa” del 15 dicembre 2013).

Francesco ha ragione di dire che anche questa sua “esortazione apostolica” si muove nel solco della dottrina sociale della Chiesa e che le sue posizioni non possono essere scambiate per posizioni marxiste, fermo restando che “molti marxisti sono brave persone”, com’egli stesso ha tenuto a precisare; ma è altrettanto vero che da questo suo intervento apostolico, la dottrina sociale della Chiesa, di cui vengono riprese alcune delle linee più avanzate di attacco al mondo economico-finanziario e allo sfruttamento umano che vi si determina come una sorta di ineliminabile corollario, esce come ulteriormente potenziata sotto il profilo profetico e idonea a determinare quella che può essere considerata come la deflagrazione più potente cui la Chiesa cattolica del XX secolo e del primo quindicennio del XXI secolo sia riuscita a dar luogo nel cuore stesso del sistema capitalista di potere.

Cosí come è certamente vero che tutto questo “non significa essere marxisti”, per il semplice fatto che tutto questo è contenuto nel vangelo di Cristo e che dunque tutto questo è semplicemente cristiano. Anzi, si può forse aggiungere, gran parte dello stesso mondo cattolico non ha ancora compreso che, anche sotto l’aspetto economico e sociale, il cristianesimo è ben più radicale del marxismo che, generatosi storicamente, storicamente è destinato ad essere utilizzato ma alla fine a perire.

L’intellighenzia capitalista non poteva non tremare davanti ad affermazioni lucide e perentorie, ad atti di accusa fondati come questi: «Quest’economia», ovvero l’economia capitalista tout court, «uccide»: a causa di essa «grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita». Questa economia è sostenuta da «ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole. Inoltre, il debito e i suoi interessi allontanano i Paesi dalle possibilità praticabili della loro economia e i cittadini dal loro reale potere d’acquisto. A tutto ciò si aggiunge una corruzione ramificata e un’evasione fiscale egoista, che hanno assunto dimensioni mondiali. La brama del potere e dell’avere non conosce limiti. In questo sistema, che tende a fagocitare tutto al fine di accrescere i benefici, qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta».

Concetti, questi, che non potevano piacere soprattutto alla destra politica americana: si pensi a Sarah Palin, che ha definito con tono sprezzante un “liberal” il papa cattolico; a John McCain, ex candidato repubblicano alla Casa Bianca, che ha detto di non gradirne affatto la visione economica; al repubblicano Peter King che, benché di fede ultracattolica, ha accusato il papa di non capire il senso emancipativo dell’economia americana di libero mercato che è quella che più aiuterebbe gli stessi poveri ad elevare la propria condizione di vita; al rampante repubblicano cattolico Paul Ryan, considerato uno dei possibili pretendenti alla presidenza nel 2016, che sostanzialmente ha dato dello “sprovveduto” a papa Francesco nel rilevare che questi viene «dall’Argentina, dove non c’è un vero capitalismo, ma una versione familistica, senza un reale sistema di libera impresa, come in America».

Critiche pesanti, come si vede, che però non coincidono affatto con un attendibile sondaggio della CNN da cui risulta che Francesco, molto popolare in tutto il mondo, è amatissimo anche negli Usa (l’88% dei cattolici americani, di cui molti votano per i repubblicani, sembra l’abbiano giudicato molto favorevolmente, anzi in modo addirittura entusiastico).

Ma papa Francesco che su questioni di natura non economica e sociale sebbene altrettanto delicate e ineludibili incontra l’ostilità e la critica degli ambienti progressisti o di sinistra non solo americani ma anche italiani, appare del tutto indifferente a tutte queste critiche che concentricamente piovono su di lui e cerca di tirare coraggiosamente dritto per la sua strada, senza nulla di sostanziale concedere né ai fautori dei cosiddetti diritti omosessuali, e di presunti diritti civili come aborto, divorzio, eutanasia e quant’altro, né agli ideologi del capitalismo e dello stesso cattocapitalismo.

Su quest’ultimo versante egli insiste nel dire che è tempo di capire che «il denaro deve servire e non governare! Il Papa ama tutti, ricchi e poveri, ma ha l’obbligo, in nome di Cristo, di ricordare che i ricchi devono aiutare i poveri, rispettarli e promuoverli. Vi esorto alla solidarietà disinteressata e ad un ritorno dell’economia e della finanza ad un’etica in favore dell’essere umano». Bisogna farla finita con un sistema economico in cui gli ultimi, gli oppressi, gli esclusi, «non sono» più, come ancora accadeva sino a qualche decennio fa, «sfruttati», ma ormai semplici «rifiuti, avanzi». Bisogna smascherare coloro che ipocritamente sostengono che «il mercato produrrà da sé benefici» e che «la giustizia sociale è solo dannosa. Occorrono interventi seri e mirati da parte della classe politica».  

Ma il papa, più che dichiarare guerra ai ricchi, cui tuttavia non fa mancare i suoi severi avvertimenti evangelici, e all’ideologia liberista e capitalista, anch’essa come il marxismo non assolutizzabile e non elevabile ad insuperabile modello di spiegazione dei processi storico-economici, si rivolge alla stessa comunità cattolica, affinché essa si renda conto che non si può accettare che la vita nella globalità dei suoi aspetti sia ridotta alla categoria dell’economico. L’economicizzazione, che è il nuovo dogma della ragione utilitaria contemporanea, non significa altro che fare del capitalismo un evento necessario in quanto naturale, mentre è solo un evento storico, assegnando cosí agli uomini e alla politica il semplice compito di adattarsi ad esso.

Non si tratta più semplicemente di denunciare gli aspetti deteriori, selvaggi, perversi del capitalismo, si tratta di rendersi conto che anche tali aspetti ne sono costitutivi e che il sistema capitalista, per auto prodursi o per sopravvivere, non può fare a meno di produrli e riprodurli, proprio come fa con il capitale e quindi con il denaro, in continuazione. Perciò, non è più ragionevole pensare che il capitalismo debba necessariamente essere l’unico sistema economico possibile della storia umana, l’unico modo di produzione e distribuzione, l’unico modello di organizzazione del lavoro e del sapere, l’unico contesto culturale in cui l’uomo contemporaneo possa forgiare la sua libertà e la sua dignità.

Ancor più specificamente papa Francesco si rivolge alla comunità politica cattolica che però, nelle forme attuali, lascia molto a desiderare: «Dove sono i partiti politici,…dove sono i cristiani, uomini e donne», si chiede il cardinale Reinhard Marx nel suo incisivo commento al documento pontificio in questione, «che si impegnano nell’ambito della politica, dell’economia e della società? E’ vero: criticare il capitalismo non è una soluzione. Occorrono programmi che pongano il mercato, la società e lo Stato in un nuovo rapporto reciproco, e tutto ciò globalmente» (Una società nella quale si invita all’elogio dell’avidità è sulla via dell’alienazione. Oltre il capitalismo, in “L’Osservatore Romano” del 10 gennaio 2014). Tuttavia, papa Francesco è fiducioso: «Chiedo a Dio che cresca il numero di politici capaci di entrare in un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde e non l’apparenza dei mali del nostro mondo. La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune…Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato».

Questo è un papa che punta il dito contro tutte le iniquità del mondo: contro i mafiosi di ogni ordine e grado, contro i corrotti di ogni genere ivi compresi quelli appartenenti al clero, contro i lobbisti di qualsivoglia specie o categoria, contro i piccoli e i grandi usurai, contro i ricchi incuranti dei poveri, contro i potenti indifferenti al bene comune, insomma contro tutte quelle tipologie umane che pretenderebbero di piegare la verità alle loro proprie convenienze individuali e di gruppo. E’ un papa amorevole che tuttavia non esita ad usare la frusta quando lo ritiene necessario, allo stesso modo di come la usò il suo Maestro contro i variegati mercanti del tempio.

Si può forse dire che, per temperamento, per chiarezza ed incisività di parola e di giudizio, è un papa storicamente inedito perché capace di annunciare il vangelo di Cristo in forme meno solenni e paludate, e più dirette ed efficaci, di quelle pur sempre conformi alla Parola di Dio, adoperate da molti altri pontefici.

Ora, per tutto ciò, risulta essere non già un papa eminentemente politico ma un papa che prende molto sul serio anche l’ambito politico in cui si decidono le sorti umane dei vari popoli e dei singoli come di tutto il popolo di Dio in cammino nella storia. Ecco perché il suo giudizio sul capitalismo, cui la politica oggi è generalmente prona, è molto netto e preciso, non più poggiato sui distinguo formali e diplomatici (del tipo: non il capitalismo in sé ma i suoi aspetti degeneri o deteriori devono costituire oggetto di critica!), ma esercitato in modo rigoroso e profetico anche a costo di possibili e pericolose conseguenze per l’incolumità stessa della sua persona e per i concreti interessi economici della Chiesa cattolica.

Il fatto è che Francesco, quali che possano essere i suoi limiti umani e magisteriali, si sforza di dire e di fare quel che un vero seguace di Cristo è tenuto a dire e a fare: cioè la verità. E la verità è che la Chiesa è stata voluta da Cristo principalmente per i poveri, per stare vicina ai poveri, agli oppressi, agli esclusi; per stare vicina, certo, anche ai potenti e ai ricchi che siano però capaci di conversione e di reale condivisione del loro potere e dei loro beni con i poveri; a tutti coloro che pongano a parole e a fatti la loro esistenza al servizio di una comunità umana di persone libere nella carità e nella solidarietà e di persone uguali nel riconoscimento e nella valorizzazione dei talenti e delle attitudini personali di ciascuno.

Questo significa anche che la Chiesa di Cristo non è nata semplicemente per assistere i poveri ma anche per rimuovere il più pacificamente ed efficacemente possibile le cause della povertà che, alla fine, sono sempre riconducibili ai moventi negativi, così spesso denunciati da Gesù, della vita più intima degli esseri umani e alle oggettive strutture di peccato sociale cui tali moventi hanno dato e danno continuamente luogo.

Perciò, si innervosiscono i capitalisti e i loro supporters che preferirebbero sapere che la Chiesa cattolica, pur sforzandosi giustamente di creare una società più inclusiva e partecipativa, più accogliente, caritatevole e protettiva verso i bisognosi, non farà mai niente perché i poveri non siano più poveri o perché ci siano sempre meno poveri nel mondo. Si innervosiscono e battono i pugni sul tavolo perché hanno capito che questa volta il messaggio della Chiesa, con tutto il più sincero rispetto per i precedenti pontefici, non è più sufficientemente rassicurante per i poteri economico-politici costituiti di questo mondo, e che esso non è volto solo a chiedere l’elemosina per i poveri ma impegno deciso e disinteressato contro la povertà stessa e a proporre dunque non una lotta semplicemente caritativa ma anche strutturale e di conseguenza politica contro di essa.

Francesco esprime profeticamente la volontà di Cristo Signore: la ricchezza sia considerata lecita solo ove sia o diventi anche cibo dei e per i poveri e sia generosamente e proficuamente reinvestita in funzione di una sempre più estesa e reale umanizzazione del mondo e delle stesse attività economiche che vi si svolgono; il posto della Chiesa dev’essere accanto ai poveri, perché solo acquisendo il loro punto di vista e il loro vissuto di persone dignitose e virtualmente attive ed operose, essa può guardare all’insieme della società, dell’economia e della politica, senza perdere di vista ciò che è prioritario e necessario.

Bisogna evangelizzare i poveri, bisogna coinvolgerli evangelicamente nella condizione siessa in cui si trovano, ovvero in una condizione materiale ed esistenziale il più delle volte del tutto periferica. Essi non possono continuare ad essere mero oggetto della nostra sincera o farisaica assistenza giornaliera, ma devono trovare un posto nella Chiesa e nella società. 

Ciò comporta, a sua volta, la necessità di procedere ad una evangelizzazione della vita politica, nel senso che anche la politica deve imparare a guardare il mondo con gli occhi dei poveri, pena il continuare a vederlo non in modo corretto ma parziale e arbitrario. Senza lo sguardo dei poveri, la politica diventa una mera tecnica per amministrare l’esistente secondo fredde logiche burocratiche e indifferenti al concreto destino degli uomini. Perciò, l‘appello di Francesco a pensare oltre il capitalismo, per usare la veritiera espressione usata dal cardinale Marx, lungi dall’essere un invito a lottare contro l’economia di mercato, rappresenta piuttosto un invito a non voler trasformare l’economia di mercato in una società di mercato, in cui tutto, persino la vita e i valori e i diritti più elementari e universali delle persone, diventi inesorabilmente merce e oggetto di scambio economico-monetario.

E’ necessario vedere e organizzare il mondo in un altro modo, un modo in cui determinate cose possano costituire legittimamente oggetto di scambio e determinate altre cose (come il diritto alla vita, al lavoro, all’assistenza sociale scolastica e sanitaria, o come il valore della libertà di pensiero, di parola e di religione) debbano essere necessariamente sottratte a qualsivoglia forma di scambio ad eccezione di quello certo non mercificante che concerne le relazioni umane, sociali, culturali e religiose.

Per chi crede nel vangelo, «il futuro non è il capitalismo», non è l’unico capitalismo che esiste e che è quello “reale”, annota ancora Reinhard Marx, “bensí una comunità mondiale” in cui il denaro dei cittadini non sia utilizzato per finanziare a dismisura le banche e gruppi finanziari più o meno occulti di potere ma per finanziare i servizi, le strutture e le infrastrutture, di cui gli stessi cittadini hanno oggettivamente bisogno per vivere liberamente e responsabilmente e non correre più il rischio di dover essere violentemente “esclusi ed emarginati”, anche se, ove non fosse realisticamente praticabile nel breve e medio periodo la via della comunità mondiale equa e solidale, sarebbe sempre possibile e opportuno il ritorno ad un’economia nazionale intelligentemente gestita da una politica non più asservita a un minaccioso e oscuro potere finanziario internazionale ma finalmente attenta ed interessata ai reali interessi popolari e nazionali.

Pertanto, chi, nella Chiesa e fuori della Chiesa, vuole intendere, intenda: avrebbe detto Gesù! Nel frattempo, Francesco, pur dovendo subire gli attacchi di capitalisti e cattocapitalisti, tra gli uni e gli altri continuerà a destreggiarsi molto bene, assolvendo anche in questo caso una importante funzione evangelizzatrice. 

 

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