Riprendo la parola sul caso giudiziario “Open Arms”, relativo all’operato di Matteo Salvini in qualità di ex ministro dell’Interno, non perché sia leghista o simpatizzante del politico lombardo, che anzi disapprovo profondamente per il suo antigovernativo e ambiguo sentimento filoputiniano, ma semplicemente perché, uomo, cittadino e intellettuale, trovo deplorevole il sospetto di quanti, magistrati palemmitani compresi, ritengano che egli avrebbe, per usare le parole di un cronista giudiziario del quotidiano “La Repubblica”, «mostrato i muscoli contro deboli e indifesi migranti inermi che fuggivano da Paesi in guerra e dalla disperazione, deboli e indifesi, solo per raccogliere voti» e non unicamente per ottemperare fedelmente all’art. 52 della Costituzione, secondo cui «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino», e alle leggi repubblicane varate a difesa dei confini nazionali rispetto ad illecite e illegali pretese di violarli sulla base di generiche e non documentate motivazioni umanitarie e di atteggiamenti manifestamente arbitrari ed equivoci della ONG che avrebbe inteso unilateralmente sbarcare i migranti sulle coste italiane.
Ciò doverosamente premesso, in data 16 settembre 2024, la sezione palermitana dell’ANM (Associazione Nazionale Magistrati) ha diramato un comunicato sul processo a carico dell’ex ministro Matteo Salvini e ci è sembrato il caso, per inderogabili motivi etico-civili, di contestare per intero il rilievo e l’affermazione di cui esso consta. Il rilievo è il seguente: «Sono state rivolte nei confronti di rappresentanti dello Stato nella pubblica accusa insinuazioni di uso politico della giustizia e reazioni scomposte, anche da parte di esponenti politici e di governo». Si può eccepire dicendo che anche l’accusa e la relativa proposta di condanna formulate ai danni dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, in qualità di eminente rappresentante dello Stato italiano, si configurano in realtà non certo come verità apodittiche ma come “insinuazioni di uso politico della giustizia”, e che pertanto ugualmente “scomposte” possono o devono ritenersi le “reazioni” dei magistrati palermitani avverso le presunte “reazioni scomposte” di liberi cittadini oppure “di esponenti politici e di governo”.
L’affermazione, invece, è la seguente: «Sono dichiarazioni gravi, non consone alle funzioni esercitate, in aperta violazione del principio di separazione dei poteri, indifferenti alle regole che disciplinano il processo, che minano la fiducia nelle istituzioni democratiche e che costituiscono indebite forme di pressione sui magistrati giudicanti». Dichiarazioni gravi? Perché mai? I cittadini, gli stessi politici e gli esponenti governativi, hanno sempre piena libertà di esprimere opinioni, giudizi di consenso o di dissenso e persino condanne, sui provvedimenti giudiziari e sui comportamenti dei magistrati. Il principio di separazione dei poteri non c’entra nulla e, semmai, è più probabile che a violarlo, contro ogni pur ragionevole e obiettiva ricostruzione storica dei fatti contestati all’ex ministro, almeno in questo caso siano stati e continuino ad essere i giudici di Palermo, che qualcuno maliziosamente definisce separatisti più che nazionali, e non già il politico ed ex ministro della Repubblica Matteo Salvini.
Dichiarazioni, si dice ancora, che sarebbero «indifferenti alle regole che disciplinano il processo, che minano la fiducia nelle istituzioni democratiche e che costituiscono indebite forme di pressione sui magistrati giudicanti». Puri vaneggiamenti di soggetti istituzionali che reclamano una sorta di speciale immunità da critiche e attacchi di qualunque genere provenienti dalla società civile e dalla società politica, quasi che a minare « la fiducia nelle istituzioni democratiche», almeno in questa circostanza, non potesse essere realisticamente proprio o soprattutto la magistratura giudicante del capoluogo regionale siciliano. Infine, la velleitaria protesta contro «indebite forme di pressione sui magistrati giudicanti», velleitaria in quanto il giudice, già per ragioni statutarie, deve essere corazzato verso ipotetiche e indebite forme di pressione che dovessero esercitarsi sulla sua attività inquirente e giudicante e, in ogni caso, nel caso specifico si dà solo un’opinione pubblica perplessa, indignata, e molto critica nei confronti di magistrati non manifestamente in linea né con la lettera e lo spirito della nostra Costituzione, né con le leggi dello Stato, che i giudici devono solo applicare, eseguire, senza pretendere di interpretarle e correggerle.
I vari Ferrara, Sabella e altri, sembrano non intendersi tanto di democrazia italiana, e, in particolare, sembrano non conoscere o far finta di non conoscere la sentenza della Corte di Cassazione del 5 giugno 2007, quinta sezione penale, n. 34432, secondo la quale «il diritto di critica dei provvedimenti giudiziari e dei comportamenti dei magistrati deve essere riconosciuto nel modo più ampio possibile non solo perchè la cronaca e la critica possono essere tanto più larghe e penetranti, quanto più alta è la posizione dell’homo publicus oggetto di censura e più incisivi sono i provvedimenti che può adottare, ma anche perchè la critica è l’unico reale ed efficace strumento di controllo democratico dell’esercizio di una rilevante attività istituzionale che viene esercitata in nome del popolo italiano da persone che, a garanzia della fondamentale libertà della decisione, godono giustamente di ampia autonomia ed indipendenza». Inoltre, «la critica giudiziaria può essere contrassegnata da espressioni forti, aspre pungenti ed anche suggestive, spesso necessarie proprio per richiamare la necessaria attenzione dei lettori, che, bombardati da numerose notizie, debbono poter individuare prontamente quelle più significative».
E’ chiaro, signori giudici di Palermo? Anche voi non siete intoccabili, anche voi siete e restate soggetti alla “sovranità del popolo”, nei limiti e nelle forme previsti naturalmente dalla nostra Costituzione, anche perché non ha diritto di parlare, a qualunque titolo, di diritti umani chi eventualmente disconoscesse o sottovalutasse con arroganza i diritti costituzionali di ogni cittadino, ivi compresi quelli del cittadino e ministro Matteo Salvini. Quanto alla battuta spiritosa e polemica della magistrata Marzia Sabella, che ha ribadito la richiesta di condanna per il politico lombardo, alla battuta per cui quest’ultimo avrebbe violato i confini del diritto, è possibile replicare che, in nessun caso, un ministro della Repubblica può violare i confini del diritto se o quando egli venga difendendo, in modo appropriato e costituzionalmente ineccepibile, i confini del territorio nazionale da oggettive minacce dirette o indirette derivanti da incontrollati e illegali fenomeni migratori che, come tali, lo Stato non abbia autorizzato. Il concetto è molto semplice da capire, ma evidentemente non tutti sono attrezzati per capire anche le cose semplici.
Francesco di Maria