Oggi pomeriggio è stata diramata una nota giornalistica dell’Agensir, 19 giugno 2024, da cui si apprende che il vescovo di Cosenza abbia pronunciato in Cattedrale parole molto critiche nei confronti del popolo di Dio. Infatti, dal comunicato risulta che monsignor Giovanni Checchinato, che i cosentini hanno soprannominato “il vescovo dal sorriso sgargiante”, soprattutto a favore di fotografi e telecamere, abbia testualmente dichiarato: «Oggi la società pretende di avere le sue radici nel cristianesimo e invece privilegia i ricchi, battaglia con i crocifissi in mano ma continua a far morire gente nel Mediterraneo. Sembra che una sorta di torpore stia invadendo le menti e i cuori dei cristiani dell’Occidente cristiano e che la potenza del Vangelo si stia ridimensionando sempre più». Continua a leggere
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Il papa e la guerra
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Nessuno può chiedere al papa regnante «di diventare il cappellano della Nato», né lo si può criticare per il fatto che usi prudenza nel parlare «del conflitto in Ucraina»1. Se le contestazioni al pontefice potessero ridursi a quella richiesta e a quella critica, il costituzionalista cattolico Stefano Ceccanti avrebbe ragione da vendere. Ma, in realtà, al papa si può e, filialmente o fraternamente, si deve rimproverare altro. Il papa, spiega Ceccanti, ha sempre riconosciuto l’esistenza di un aggredito e un aggressore, ma di più non può dire semplicemente perché gli corre l’obbligo pastorale di pensare ai circa 150.000 cattolici residenti nella Federazione russa e corrispondenti allo 0,1% della sua popolazione complessiva e di dare spazio alle iniziative diplomatiche della Santa Sede. Continua a leggere
Gustave Thibon: violenza e guerra tra vangelo e filosofia
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Fu un filosofo certamente antiedonista e antindividualista, ma non nel senso che, nella vita personale degli uomini e nel quadro dello sviluppo della loro personalità, il piacere e la ricerca del piacere, i diritti del proprio io, tra cui quello ad un’indipendenza di giudizio e ad un’autonomia di coscienza, non abbiano una loro ragion d’essere e una loro ben precisa funzione etica, bensì nel senso che il prendersi cura della propria egoità non debba risultare intrinsecamente finalizzato al culto idolatrico del sé, anche in relazione ad eventuali atti di apparente altruismo e di ambigua generosità, di natura individuale, interpersonale o collettiva. Era questo il fondamentale portato spirituale e filosofico, del cristianesimo radicale e della fede cattolica di Gustave Thibon1. Questi fu un implacabile critico delle apparenze morali, politiche e sociali, culturali, spirituali e religiose del suo tempo, e quindi di tutte quelle impostazioni paternalistiche, moralistiche, oppure strumentali e ideologiche, e ancora pretenziosamente oggettivistiche e universalistiche, di frequente ricorrenti nei movimenti filosofici e scientifici, nei modelli e nelle disquisizioni etico-sociali, nelle pratiche e nelle predicazioni religiose, insomma nella cultura elitaria come, in parte, nella cultura popolare del ‘900. Continua a leggere
L’etica cristiana tra laicità e professione di fede
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Il ricorso a Dio, alla fede in Dio, non può fondare o giustificare alcuna posizione di natura etica. Un’etica laica e non religiosa non può risultare razionalmente plausibile sulla base della Rivelazione o di presupposti specificamente religiosi. L’etica laica può utilizzare solo argomenti razionali o ragionevoli (il riferimento alla persona storica di Gesù, l’esperienza comunitaria bimillenaria, un’intelligenza collettiva espressa dalla Tradizione di autorevoli Padri e di innumerevoli apporti teologici), mentre l’etica religiosa e cattolica è fondata solo in parte su ragioni storico-empiriche verificate e acquisite come tali, basando invece gran parte dei suoi princìpi e delle sue convinzioni su un principio di autorità, come può essere l’infallibilità del magistero pontificio, sganciato da inoppugnabili prove osservative e dimostrative. Il che lascerebbe concludere, secondo uno studioso cattolico1, che l’etica più vera e più universalmente argomentata non sia quella confessionale cattolica ma quella laica, per gli stessi cattolici, che dovrebbero giudicare le loro convinzioni e credenze per mezzo di autonome argomentazioni razionali e non semplicemente accettate per ubbidienza all’autorità pontificia ed ecclesiastica. Continua a leggere
La guerra tra Costituzione e filosofia
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L’articolo 11 della Costituzione italiana recita testualmente: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». Tale articolo ha un duplice significato: un significato storico e un significato eminentemente giuridico. Dal punto di vista storico, riflette naturalmente la volontà di sottolineare una doverosa e necessaria discontinuità con un recente e tragico passato bellico, del quale l’Italia, a rimorchio della Germania hitleriana, era stato diretto responsabile, e di esprimere l’augurio di un futuro di ricostruzione e di pace da costruirsi anche nel quadro delle nuove relazioni politiche, giuridiche, economiche e militari interstatuali, internazionali e sovranazionali. Continua a leggere
La fede come cultura di verità. Per un cattolicesimo alternativo ai saperi egemonici del mondo
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La fede è cultura, è statutariamente cultura, in quanto espressione di un sapere radicalmente altro dai saperi puramente storico-immanenti. Qui si intende il termine cultura non come eterogeneo alla parola fede, ma come interno, inerente ad essa. Se viene meno o si appanna il senso identitario dell’originaria fede evangelica, viene meno o si appanna simultaneamente il nucleo culturale ispiratore di essa costitutivo e in essa incentrato, per cui il dialogo più proficuo non è quello tra fede in quanto esperienza credente e cultura in quanto esperienza pensante, ma tra fede come esperienza credente e pensante rispetto a cui la cultura non si pone come momento semplicemente esterno rappresentandone invece un essenziale momento costitutivo1. Ove invece si verifichi una divaricazione di principio tra fede e cultura, la fede e la sua intrinseca carica educativa e formativa, ovvero culturale, non possono più esercitare alcuna funzione critico-veritativa nel quadro delle fedi e delle culture altre, nel contesto dei processi storico-mondani di razionalizzazione ed emancipazione civile. Continua a leggere
Voltaire: quale laicità?
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Voltaire è ancora considerato dalla maggior parte degli studiosi del periodo illuministico come uno dei massimi promotori della modernizzazione e della laicizzazione del pensiero non solo francese ma europeo1, oltre che come grande critico della Chiesa cattolica e della religione in genere, intesa, vissuta e praticata nelle sue varie forme confessionali, tutte indistintamente intolleranti e reciprocamente conflittuali. Tuttavia, se certo non fu religioso nel senso confessionale del termine, Voltaire fu credente in un Dio della coscienza e della ragione, vale a dire nel Dio cui si potesse pervenire spontaneamente solo per via di coscienza morale e di intuizione razionale e non necessariamente sulla base di particolari verità rivelate dall’alto, per cui non fosse necessario dimostrare, con ragionamenti particolarmente laboriosi e complessi, l’esistenza di Dio, visto che quest’ultima era qualcosa di intuitivamente innegabile. Il Dio voltairiano era un Dio di ragione: per credere in esso non era necessario uno speciale atto di fede. La stessa immortalità dell’anima era un corollario dell’esistenza di Dio, perché se c’è Dio, che in quanto tale deve essere eterno e quindi immortale, anche l’anima da lui creata, pur soggetta alla morte a causa della sua stessa creaturalità, in qualche modo non potrà che partecipare della stessa immortalità divina in quanto, altrimenti, anche quel desiderio di felicità che è connaturato nella vita stessa degli individui, non potrebbe mai essere soddisfatto, mentre Dio non può fare le cose a caso. Continua a leggere
Bentrovato imbecille!
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E’ vero che la madre degli imbecilli è sempre incinta, ma nel caso di un imbecille come Marco Travaglio, quella povera madre, sia pure aposteriori, forse avrebbe voluto abortire. Questo signorino torinese, dall’aria aristocratica e sussiegosa, dai modi esteriormente garbati ma sogghignanti, dall’eloquio elegante e suadente ma sempre sottilmente sarcastico e canzonatorio, dallo sguardo perennemente sospettoso e arrogante, ha fatto del potere giudicante della magistratura il punto di forza, anzi un vero e proprio feticcio, della sua carriera giornalistica. La sua specifica area di competenza è costituita dai costumi corrotti del mondo politico in generale, anche se molto meno del mondo politico progressista e sinistro-populista. Continua a leggere
Katéchon e dintorni
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L’assunto di fondo di un discorso sui problematici e complessi rapporti intercorrenti tra teoria politica e fede religiosa, potrebbe essere ragionevolmente individuato nel fatto che, con tutto il rispetto per gli autorevoli accademici che vi si siano dedicati, tutti gli studi di teologia politica dell’ultimo ventennio circa siano fondamentalmente ripetitivi, tautologici, incomprensibilmente autoreferenziali sia sul piano linguistico-lessicale che su quello logico-teorico, ed essenzialmente incentrati, con una notevole e inessenziale eccedenza argomentativa, sui modi in cui la prassi storico-politica venga recependo in forma laica alcuni contenuti e prospettive metastorici e trascendenti del pensiero e della vita religiosi, autocostringendosi di conseguenza ad oscillare costitutivamente tra l’immanenza delle soluzioni politiche che necessitano al governo delle realtà empirico-fattuali e la trascendenza delle opzioni migliorative ancora possibili, anche se ignote, che impongono a Stati e soggetti politici istituzionali e non di non peccare né di riduttivismo immanentistico, né di cieco o dogmatico affidamento a valutazioni di tipo metafisico e a ragionamenti sconfinanti nel sovrannaturale (Cfr. AA.VV., La teologia politica tra sfide e ricorsi, Roma, Urbaniana University Press, 2021). Continua a leggere
La famiglia nel pensiero filosofico
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Da un punto di vista storico-empirico è molto probabile che la famiglia sia un’istituzione presente in tutte le culture sufficientemente note, ivi comprese quelle più primitive, a dispetto dell’antica ipotesi, ormai caduta in disuso, di una originaria promiscuità da cui non sarebbero potute derivare ben definite unità familiari. Ma, nonostante la conseguente importanza di essa nella storia sociale dell’umanità, con tutte le implicazioni di varia natura che sono contenute nel termine socialità, la famiglia non è mai stata trattata nella multisecolare riflessione filosofica, se non marginalmente all’interno di più generali dimensioni del vivere civile, come istituzione universale della storia del genere umano (G. Riconda, Famiglia e bene comune. Fonti filosofiche ed esperienza religiosa (2007), in M. Borsari, Famiglia. La costruzione religiosa del legame sociale, Modena, Fondazione San Carlo, 2008, pp. 129-157. Da confrontare utilmente anche: D. Grillo, Il pensiero filosofico sul matrimonio e sulla famiglia, Verona, Edizioni QuiEdit, Verona e D. Di Giosia, Filosofia della famiglia. L’analisi di Karol Wojtyla, Assisi, Cittadella Editrice, 2021). Continua a leggere