1. Volti conflittuali della fede nell’epoca di papa Bergoglio
Chi, ben consapevole del sempre più accentuato fenomeno di desensibilizzazione religiosa oggi in atto soprattutto in occidente e di crescente e vistosa riduzione della ritualità religiosa comunitaria ad esso connessa, abbia a cuore lo stato di salute e il futuro destino della fede cristiana e cattolica nel mondo, prima o poi non potrà non porsi le domande assai di recente formulate dal sociologo Franco Garelli: «Il cattolicesimo italiano sta perdendo il senso della ‘domenica’? La riduzione dei praticanti regolari è una nuova tappa del processo di secolarizzazione delle coscienze? Oppure la disaffezione dalla pratica religiosa ha perlopiù cause interne, è dovuta ad una liturgia ormai diventata afona, non più in grado di attrarre e interpellare i credenti? Inoltre, si tratta di una tendenza destinata ad inasprirsi o ad ammorbidirsi nel tempo?»1 La maggior parte dei fedeli, lungi dal cogliere e dal vivere la religiosità e la stessa ritualità eucaristica e sacramentale nel loro intrinseco e perenne significato sacrificale e salvifico, tende ormai a trasformarne la stessa dimensione comunitaria in una opportunità di evasione da una dura e sofferta quotidianità oppure in un’occasione di sia pure fuggevoli anche se talvolta gratificanti incontri relazionali. Non sono più tanto le contrarietà o i drammi esistenziali ad essere offerti in sacrificio per la purificazione e la redenzione della propria vita interiore, ma è piuttosto l’esperienza religiosa che, pur pensata come esperienza di comunione fraterna con Dio e il prossimo, viene tuttavia sentita e vissuta fondamentalmente, e in modo solo in parte legittimo, in funzione del soddisfacimento delle proprie necessità esistenziali. Continua a leggere
Se non sono criminali un capo di stato e i suoi più diretti collaboratori che non esitano ad affamare letteralmente la popolazione di uno Stato ostile, peraltro da sempre virtualmente in guerra con lo Stato da essi rappresentato, e ad ostacolarne l’assistenza umanitaria, non astenendosi infine da attacchi reiterati e intenzionali contro i civili, allora bisogna riscrivere il dizionario della lingua italiana e di tutte le lingue del mondo. Con tali accuse, la Corte penale internazionale ha giustamente ritenuto di considerare Benjamin Netanyahu e il capo dell’esercito israeliano “criminali di guerra” spiccando contro di essi un ordine di cattura in tutti gli Stati in cui essi dovessero metter piede. Per me, credente cattolico e seguace del vangelo di Cristo, non sussistevano dubbi, anche prima di questa sentenza, circa le gravissime responsabilità etico-civili, politiche, religiose e penali, dello Stato d’Israele che, per quanto oggettivamente assediato dal terrorismo palestinese e islamico, non è evidentemente legittimato dalla pur tragica esperienza storica dell’Olocausto, a ricorrere all’arma dello sterminio e della vendetta sacrificale a danno dei suoi nemici. Mi spiace per Giorgia Meloni che ha fin qui dimostrato, a dispetto dei puerili e isterici attacchi ricevuti dall’inetto fronte democratico-progressista e da istituzioni statuali con questo collusi, di essere uno dei capi di governo più capaci, risoluti e lungimiranti della storia repubblicana italiana dal dopoguerra ad oggi, ma la sua pur comprensibile prudenza diplomatica nei confronti dei vertici politici israeliani è assolutamente ingiustificata e anche politicamente dannosa, checché se ne possa invece pensare al riguardo, soprattutto alla luce dell’odierna condanna penale dell’Aia. Netanyahu è un criminale come Putin: l’unica attenuante del primo rispetto al secondo, è che la Russia semina terrore e morte in Ucraina da circa due anni dopo aver unilateralmente e ingiustificatamente invaso l’Ucraina, mentre lo Stato israeliano semina da circa un anno distruzione e morte in Palestina, violando tutte le regole del diritto internazionale oltre che basilari princìpi di umanità, dopo aver subito l’efferato e inescusabile attacco dei terroristi palestinesi, pur spinti a compiere un’orribile strage di persone innocenti da ragioni storiche non certo incomprensibili di odio profondo verso un popolo che dal ’48 ad oggi, attraverso i suoi governi legittimi, non fa altro che esercitare una volontà spietatamente imperialistica a danno della popolazione palestinese. Ma tale attenuante, se la si voglia considerare tale, non giustifica affatto il piano di “soluzione finale del problema palestinese” che Netanyahu, non meno di Hitler, oggi vorrebbe attuare in pieno XXI secolo.