Anche quando si parla di pace in senso politico i cattolici non possono certo prescindere da Cristo e dalla sua Parola. Gesù proclama beati, cioè destinati ad essere eternamente felici, gli operatori di pace che non sono da confondere né con i pacifici, quelli che per carattere e per quiete personale tendono ad evitare ogni situazione di conflitto, né con i pacifisti, che pretendono generalmente di abolire la violenza e specialmente quella militare nella relazione tra Stati soltanto a colpi di dialogo e di trattative diplomatiche e indipendentemente da una valutazione oggettiva delle cause specifiche che sono alla base di determinati rapporti conflittuali.
Gli operatori di pace sono invece coloro che abitualmente e non saltuariamente lavorano a costruire la pace o a ripristinarla dove risulti perduta o compromessa, alla luce di uno spirito cristiano di verità e di giustizia. Al cristiano non interessa la pace per la pace, la pace che lascia che i violenti e i prepotenti continuino a fare quel che vogliono; al cristiano non interessa la pace solo affinché non si spari più e non ci siano più atti di terrorismo, ma affinché siano rimosse le ragioni dell’inimicizia e dell’odio tra le persone e i popoli.

Non è senza significato che gli operatori di pace siano da Gesù proclamati beati esattamente come i perseguitati per la giustizia e per la giustizia divina, che non può non avere anche importanti ripercussioni sulla giustizia politica e sulle relazioni tra popoli e Stati, e come i miti che evangelicamente sono i non violenti che, benché consapevoli dei gravi torti subíti, sopportano pazientemente l’oppressione altrui ma senza rinunciare a tentare di far valere le proprie ragioni di oppressi e di sfruttati e soprattutto confidando sempre di poter essere liberati prima o poi da Dio.
Gesù dice chiaramente e programmaticamente: “non sono venuto a portare la pace ma la spada”, e la spada biblicamente, insieme alla bilancia, è il simbolo della giustizia, di una giustizia divina naturalmente cui tuttavia quella umana dovrebbe conformarsi il più possibile. Parlare di pace a prescindere dalla giustizia o addirittura in contrasto con essa significa proporre una pace ipocrita o, al più, una retorica della pace. Non può esserci pace, biblicamente ed evangelicamente, dove regna l’ingiustizia e dove vengono calpestati i diritti più elementari di uomini e donne. Certo, non è ancora sufficiente rimuovere le cause di iniquità strutturali o “di sistema” per creare vera e stabile pace, ma molto più difficile è preparare condizioni di pace se si lascia che ingiustizie e discriminazioni, forme di grave diseguaglianza etnica sociale o di censo, privilegi e prevaricazioni di vario genere, vengano radicandosi sempre di più sotto la spaventosa e costante minaccia delle armi.
Ora, non è proprio uno stato di intollerabile e violenta iniquità quello che sta perpetuandosi da circa mezzo secolo in Medioriente, in Palestina, a causa di uno Stato israeliano che, pur non mancando di commemorare ogni anno l’olocausto dei propri antenati, si è ormai e impunemente specializzato nell’alimentare, con sistematica freddezza e astuta perfidia politica, l’olocausto del popolo palestinese? Tutti sanno che Israele fa quel che gli pare e come gli pare: gli USA, l’Europa, i Paesi arabi e i Paesi africani, la Russia, l’Italia, la Chiesa. Tutti stanno assistendo più o meno passivamente, tra critiche e condanne occasionali, ad un genocidio progressivo della gente palestinese che, se non vivessimo nell’epoca dei grandi mezzi di comunicazione di massa, Israele non avrebbe probabilmente esitato ad attuare in un
colpo solo già da diverso tempo.
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