Commento al comunicato dell’ANM di Palermo

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Riprendo la parola sul caso giudiziario “Open Arms”, relativo all’operato di Matteo Salvini in qualità di ex ministro dell’Interno, non perché sia leghista o simpatizzante del politico lombardo, che anzi disapprovo profondamente per il suo antigovernativo e ambiguo sentimento filoputiniano, ma semplicemente perché, uomo, cittadino e intellettuale, trovo deplorevole il sospetto di quanti, magistrati palemmitani compresi, ritengano che egli avrebbe, per usare le parole di un cronista giudiziario del quotidiano “La Repubblica”, «mostrato i muscoli contro deboli e indifesi migranti inermi che fuggivano da Paesi in guerra e dalla disperazione, deboli e indifesi, solo per raccogliere voti» e non unicamente per ottemperare fedelmente all’art. 52 della Costituzione, secondo cui «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino», e alle leggi repubblicane varate a difesa dei confini nazionali rispetto ad illecite e illegali pretese di violarli sulla base di generiche e non documentate motivazioni umanitarie e di atteggiamenti manifestamente arbitrari ed equivoci della ONG che avrebbe inteso unilateralmente sbarcare i migranti sulle coste italiane. Continua a leggere

Stupidità e intelligenza tra ordinaria quotidianità e sinistri figuri di una sinistra degenere

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La stupidità umana è una forza illimitata, irrazionale, contagiosa e spesso inguaribile della natura. Einstein pensava che essa fosse, con ogni probabilità, ancora più incommensurabile dell’universo. Si può dire che la stupidità nasca con Adamo ed Eva, che furono così stupidi da perdere il paradiso e l’immortalità per una semplice mela. Ma, poiché entrambi erano per volere divino creature intelligenti, la loro stupida trasgressione significa che intelligenza e stupidità non sono necessariamente incompatibili sotto l’aspetto umano e creaturale, anche se, indubbiamente, l’essere più intelligenti che stupidi è preferibile all’essere più stupidi che intelligenti. E, in tal senso, chi è più intelligente che stupido può ancora sperare di appartenere ad un’umanità fallibile ma non ancora anomala e abnorme. Però, questo ragionamento vale se per intelligenza non si intenda semplicemente cultura settoriale o specialistica, cultura tecnico-cognitiva applicata ad un determinato campo professionale di studi o di attività, né cultura etica o religiosa in senso normativamente teorico-conoscitivo, ma principalmente l’insieme delle modalità in cui e le ragioni intenzionali per cui le varie forme di sapere vengano esercitate in un determinato modo e per un determinato scopo. Causare o tentare di causare un danno, di qualunque genere, a qualcuno o a gruppi di individui senza conseguire benefici per se stessi o subendone solo svantaggi: questo sarebbe il profilo, per il sociologo Carlo Cipolla1, del perfetto imbecille. Ma io non sono d’accordo: non perché non condivida le leggi della stupidità elencate dal sociologo citato,  tra cui quella per cui lo stupido può essere persino più pericoloso del bandito, ma semplicemente perché, se tutti coloro che agiscono culturalmente e civilmente, seppur aspramente, contro qualcuno senza essere sicuri di trarne solo dei benefici e nessun danno per se stessi, andassero annoverati tra gli stupidi del mondo, ciò equivarrebbe a voler riempire quest’ultimo di codardi o di intelligenti in quanto virtualmente codardi.    Continua a leggere

Geri Ferrara, un’interpretazione fascista e pseudoumanitaria del diritto?

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A mio avviso il sostituto procuratore Geri Ferrara di Palermo, che ha appena terminato la sua requisitoria contro Matteo Salvini al processo “Open Arms”, non è un buon giudice, ma un giudice, se non politicizzato, quanto meno incompetente e fazioso sul piano giuridico-processuale, dal momento che è assolutamente contestabile l’assunto da cui muove tutta la sua requisitoria non solo e non tanto contro l’individuo e il ministro Matteo Salvini quanto contro il principio fondante del sistema costituzionale repubblicano e dello Stato italiano di diritto su esso costruito, ovvero il principio della sovranità popolare, di cui è espressione il parlamento e il governo che ne ratifica e ne decreta le leggi. Sovranità popolare e Stato di diritto sono indissolubilmente connessi come si riconosce anche nel “Preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”. Continua a leggere

Andrea Emo e la filosofia come sacerdozio del nulla

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Per Andrea Emo il filosofo doveva essere principalmente un sacerdote, doveva essere intento a coltivare un rapporto personale, libero e responsabile ma non mediato da altri e altro, con quella impenetrabile zona di mistero cui generalmente viene riservata la denominazione di sacro. In un mondo in cui si è portati a pensare e a vivere secondo le apparenze, secondo conoscenze e valori già dati o acquisiti, dogmaticamente sottratti all’esperienza e al controllo critico individuali, il filosofo non può sottrarsi alla funzione sacerdotale di interrogarsi sulle origini e sulle ragioni delle cose, ovvero sui fondamenti stessi piuttosto che sugli aspetti fenomenici degli accadimenti storico-mondani.  Il filosofo deve esercitare altresì tale funzione in senso laico e non dogmatico-confessionale, secondo approcci teologici istituzionalizzati e quindi riservati ministerialmente a questa o a quella Chiesa, il che non esclude che egli possa avere un suo personale credo religioso. Il sacerdozio filosofico, in altri termini, è realmente libero e universale, se non venga sottoposto a forme di clericalizzazione del sapere, da qualunque parte o ambito possano provenire, e più segnatamente da ambiti ecclesiastici oppure accademici1. Continua a leggere

Michelstaedter o dell’irregolarità filosofica

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Questo scritto è dedicato a quei grandi e non mediocri accademici che, giustamente o ingiustamente, ai pochi ostinati seppur persuasi “irregolari” del pensiero come Michelstaedter preferiscono e continueranno a preferire, sino alla fine dei tempi, schiere di individui anonimi ma ben esercitati nel dire e nel ripetere, con linguaggio rigorosamente canonico, ovvie e sublimi profondità di pensiero retoricamente pensato.

Nessuno può dire cosa sarebbe stato del pensiero filosofico di Carlo Michelstaedter, morto suicida nel 1910, se non si fosse tolto la vita a soli 23 anni di età. Tre sono le opere principali che ha lasciato: La persuasione e la rettorica, pubblicata postuma nel 1913, Il dialogo della salute e altri dialoghi, anch’essa pubblicata postuma nel 1912, La melodia del giovane divino. Pensieri, racconti, critiche, una raccolta di scritti prodotti tra il 1905 e il 1910, alle quali, a parte le composizioni poetiche, va aggiunto l’importante e vivace epistolario1. Sono opere le cui tematiche sarebbero state certo suscettibili di ulteriori e interessanti sviluppi, ma che già in se stesse contengono un pensiero non convenzionale e creativamente anticonformistico in un contesto storico-filosofico in cui andavano ancora molto di moda i sistemi filosofici e le interrogazioni metafisiche sui grandi problemi dello spirito ai quali tutti gli accidenti, i drammi, i lutti della vita e della storia si riteneva, sia pure per vie talvolta molto diverse, di poter ridurre. Invece, per Carlo, ciò che vi è di realmente e assolutamente irriducibile è l’individuo che non può sperare di trovare la sua natura, la sua identità, in ciò che gli è esterno, vale a dire l’ambiente sociale, la storia, il sapere oggettivo, gli altri, ma solo ciò che gli appartenga consapevolmente e intimamente: l’io rimarrà sempre separato dalle cose e dalle persone che pure tende continuamente a conoscere e a “possedere”, per trovarsi quanto più possibile in compagnia e in sintonia con esse, per dare qualcosa di suo ad esse e da esse ricevere qualcosa di loro. Continua a leggere

L’insignificanza filosofico-politica dei cattolici

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Non è che ai tempi in cui egemone era la Democrazia Cristiana, la cultura politica espressa da quel partito fosse espressione di una fede religiosa pensata e vissuta in modo particolarmente profondo e originale, ovvero di una fede incarnata in un impegno politico e sociale aderente o ispirato a valori evangelici rettamente intesi. Quella della D.C. era certamente una cultura di massa nominalmente religiosa, in cui tuttavia si poteva trovare di tutto: dallo spirito più autoritario e reazionario al rivendicazionismo socio-economico più radicale, dall’ecumenismo più ipocrita ed imbelle al settarismo più oltranzista, dall’interclassismo più mistificante al ribellismo più fanatico, da un pacifismo viscerale e irrealistico di maniera ad un militarismo addirittura benedetto da Dio. Ma vi si potevano riconoscere anche l’uomo o la donna più mite e generosa come i soggetti più rozzi e violenti, la persona più onesta non meno che l’individuo più losco e corrotto, l’anima più civile e sinceramente democratica e insieme lo spirito più cinico e più pronto a qualsiasi ribaltone politico e istituzionale. Si può quindi dire che la cultura politica cattolica italiana, per poco più di quattro decenni, sia stata una cultura di convenienza e di mimetizzazione sociale, più che di reale e convinta testimonianza di fede cristiana. Non è un caso che tra il ’50 e il ’90 gli affari prosperassero ben al di là di norme lecite di comportamento, la scuola fosse meritocratica ma anche antiegualitaria a differenza dell’università ben più egualitaria che meritocratica, e che la Chiesa fosse molto più integra teologicamente che moralmente e spiritualmente. Continua a leggere

La Festa dell’Assunta come festa dell’onnipotenza di Dio

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Oggi si celebra la Festa dell’Assunta e nelle letture liturgiche ad essa dedicate si celebra l’onnipotenza di Dio al di sopra di ogni altro pur noto e caratteristico attributo divino. Che una semplice e umile creatura abbia infatti potuto e voluto dar inizio alla storia della salvezza, cooperandovi attivamente nel corso della vita terrena, e meritando di essere assunta da Dio in cielo in anima e corpo, alla fine della stessa, è ciò che, salutato da sempre dai teologi come “il capolavoro di Dio”, non poteva che esprimere simbolicamente, più di ogni altra cosa, l’onnipotenza divina, di cui la grazia, la giustizia, la misericordia sono costitutive articolazioni. Quel che rende, infatti, speciali e imparagonabili queste ultime rispetto alle loro forme terrene (si pensi alla grazia che può elargire un potente, alla giustizia e alla misericordia che possono essere esercitate a sfavore o a favore di individui o popoli da autorità politiche e militari o da tribunali internazionali), è l’onnipotenza di colui che le esercita. Continua a leggere

La sessualità tra filosofia e teologia

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Il desiderio, che è alla base del bisogno esistenziale di felicità umana, ha una natura polivalente: non solo sessuale, ma anche psico-affettiva, intellettuale, morale, estetico-sensoriale, spirituale e religiosa, a meno che non si intenda ritenere plausibile la tesi per cui non si dia aspetto o momento della complessiva e pur complessa vita spirituale degli esseri umani che non abbia nel sesso le sue più profonde e originarie radici. Ora, che la vita spirituale umana sia indissociabile dalla vita corporea, psichica, emotiva, sentimentale, e quindi anche erotica e sessuale, è ciò che ormai, anche da un punto di vista cristiano, appare non solo accettabile ma doveroso, ma questo non comporta che, se prima si era ecceduto in una visione troppo intellettualista dello spirito, adesso sia più lecito eccedere in una visione troppo materialista della carne e della stessa sessualità, perché si tratta solo di rendere razionalmente più equilibrato questo rapporto tra carnalità e spiritualità. Niente disprezzo per la carne, ma niente più sospetti verso lo spirito che si manifesta come carne e corpo, facendo però di quest’ultimi il dignitoso e glorioso “tempio dello Spirito Santo” cui Cristo ha promesso la risurrezione1. Continua a leggere

L’economia giusta

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Questo scritto è dedicato a tutti quegli accademici che non sono mai sfiorati dal dubbio che la loro vita potrebbe essere stata attraversata, forse inutilmente, da impalpabili ma salvifiche presenze angeliche: proprio come accade nel mondo economico dove agisce una mano invisibile, né benefica né malefica, che, spesso all’insaputa dei soggetti che vi operano, viene creando una trama sapiente di verità e insindacabile giustizia, gravide di feconde consolazioni per gli spiriti che avranno cercato di leggerne e intenderne il senso e di amare frustrazioni per gli spiriti che non ne avranno percepito neppure la possibile esistenza.

L’economia è politica, è già politica, è politica in se stessa, in quanto non si dà modo di produzione o sistema economico che non corrisponda ad una precisa scelta politica e non si configuri come prodotto di una adesione programmatica a determinare linee di politica economica1. Non c’è una politica, da una parte, e uno sviluppo economico, dall’altra, e quasi indipendente dalla prima, e di cui la politica debba cogliere punti di forza e punti di debolezza per decidere in che modo sia possibile valorizzare e potenziare i primi  ed eliminare o ridurre i secondi, in quanto ogni sistema economico ha, strutturalmente, i suoi vantaggi e i suoi svantaggi, vantaggi cioè che comportano necessariamente degli svantaggi, e svantaggi la cui eliminazione comporterebbe anche quella dei vantaggi. Continua a leggere

Libertà d’informazione e libertà di critica della libera informazione

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Il giornalismo e ogni altra forma di libero pensiero e libera informazione sono come la stessa libertà: possono essere usati bene o male, in modo onesto o disonesto, in modo efficace o improduttivo. Questo è un concetto basilare e imprescindibile. Un corollario di questo concetto è che il giornalismo, in virtù della libertà di pensiero e di informazione, nelle sue forme legittime non possa pretendere di esercitare sul potere politico e governativo un controllo superiore a quello che quest’ultimo può e deve esercitare costituzionalmente su di esso. La libertà di parola, di pensiero e di stampa, nei paesi occidentali è ben protetta dalle costituzioni, dalle leggi, dalle istituzioni pubbliche e dalle figure apicali dello Stato non coinvolte, almeno direttamente, in specifici impegni partitici, anzi non di rado è iperprotetta, a voler sottolineare con questo termine la tendenza ad una protezione talvolta ma sempre più spesso patologica anche perché generalmente volta, nelle diverse società di riferimento, a tutelare in modo lecito ed illecito espressioni e orientamenti di un libero pensiero funzionale ad assetti e interessi politico-culturali prevalenti o ancora tenacemente resistenti soprattutto nel caso abbiano subìto ribaltamenti elettorali e un conseguente trasferimento del loro ruolo da posizioni di governo a posizioni di opposizione. Continua a leggere