L’intellettuale critico, l’intellettuale controcorrente, non l’intellettuale cane da guardia del potere capitalistico, è realmente condannato ad identificarsi con la parte dominata della classe dominante, quella a cui deve risultare funzionale e vendere in pari tempo il proprio sapere, in quanto, in caso contrario, sarebbe fatto fuori, neutralizzato, non venendogli più consentito di produrre al fine di riprodurre la propria forza lavoro e di creare valore per la propria e altrui sussistenza? E’ difficile dare una risposta univoca a questa domanda, anche se, per esperienza personale, sarei tentato di rispondere che, in alcuni casi particolarmente fortunati, l’intellettuale a pieno titolo potrebbe anche sopravvivere all’ostracismo delle istituzioni accademiche, universitarie e scientifiche, e alla competitività selettiva spesso irrazionale del mercato.
L’intellettuale critico, lungi dal proporsi moralisticamente come cantore o teorico di questioni esclusivamente private, è anche l’intellettuale pubblico, che si interessa alle cose della società, alle cose di tutti, alla cosa comune o pubblica. Questo intellettuale si sforza sempre di essere partecipe dei fatti altrui, dei problemi della polis o della societas, perché consapevole che il destino di ognuno è strettamente connesso, pur non essendo completamente riducibile, al destino dei molti o dei più. Continua a leggere