Il linguaggio bellicoso dell’Antico Testamento viene parzialmente trasfigurato nell’annuncio evangelico in lotta interiore dell’uomo ma continua a denotare una ferma e risoluta opposizione al peccato radicato anche nelle strutture storico-sociali del mondo e quindi al falso, al male, ad ogni genere di iniquità. In linea di principio, tale opposizione, secondo le indicazioni evangeliche, deve avvenire nella forma più incruenta o meno violenta possibile, e viene implicando, in relazione alla vita personale del singolo, una capacità oblativa, che può giungere fino all’offerta della propria vita, in funzione del bene o della protezione di un proprio simile, dei propri familiari, della propria comunità, di una collettività più o meno estesa, come la patria o la nazione, la Chiesa e l’assemblea dei credenti.
Ma il vangelo prescrive anche l’uso della franchezza fraterna (la parresìa), del rimprovero, dell’ammonimento caritatevole, della reciproca correzione, persino della scomunica, sia al fine di salvaguardare la fede da possibili errori, impurità, deviazioni, abusi, sia al fine di tutelare la comunità stessa dei fedeli da degenerazioni, dal malcostume, dal fanatismo o dal lassismo, dal formalismo ipocrita o da forme superficiali e licenziose di comportamento. In esso, altresì, non sono contenute critiche né al principio di legittima difesa personale e comunitaria, né alla prerogativa del potere politico costituito, dello Stato, di Cesare, di esercitare funzioni repressive o di controllo, sotto l’aspetto giuridico, amministrativo, fiscale e anche militare, atte ad assicurare l’ordine, la sicurezza, la difesa della popolazione e dei confini territoriali, e quindi il perseguimento del bene comune. Continua a leggere