Cassazione e mafia

Come dare torto a chi, non da oggi, ipotizza con argomentazioni non poco incisive che anche la Corte di Cassazione, organo giuridico peraltro non certo infallibile al pari di tutto ciò che è umano, sia tutt’altro che ermeticamente chiusa alle pressioni e alle istanze degli ambienti mafiosi. Ogni tanto i giudici della Cassazione (non tutti, naturalmente) si illudono che il tempo sia capace di far dimenticare persino i peggiori crimini e che la si possa far franca nell’aiutare delinquenti, criminali e mafiosi di ogni genere a ritornare in uno stato di libertà. Fortunatamente, almeno quando si ha a che fare con delitti efferati che abbiano avuto per bersaglio una moltitudine di persone e di persone spesso non solo innocenti ma dedite a servire lo Stato e la collettività, le decisioni della Cassazione non passano inosservate né vengono commentate con disincantato distacco ma assumono una tale risonanza sociale oltre che mediatica da farle apparire per quel che sono, cioè il frutto di una gratuita e illecita concessione giudiziaria, al di là delle attività legalmente svolte a difesa di questo o quel personaggio, ad ambienti e soggetti legati verisimilmente a doppio giro di filo con oscure ma sempre attive forze eversive operanti nei principali gangli economici, amministrativi, politici e giuridici dello Stato.

Sta di fatto che la Cassazione ieri l’altro ha aperto alla possibilità di un differimento della pena o della concessione degli arresti domiciliari per il tristemente noto signor Totò Riina “a causa del suo aggravato stato di salute”. Poiché Riina, come qualunque essere umano, ha diritto “a morire dignitosamente”, dice la Cassazione, la sua detenzione carceraria sarebbe ormai incompatibile con il suo attuale stato di salute. Ovviamente, si è verificata una più che legittima, poderosa e amplissima levata di scudi nel Paese, dovuta probabilmente anche al fatto che molti, nel proprio intimo, non credono affatto alla buona fede degli ermellini, che si sono richiamati e non potevano che richiamarsi al consueto “senso di umanità” ma che, se avessero voluto dare incontrovertibile prova di integrità morale e di irreprensibilità giuridica, avrebbero potuto e dovuto innanzitutto ordinare un supplemento di indagine su tutti i certificati medici, clinici, ospedalieri, rilasciati negli anni, ma forse anche estorti con mezzi piuttosto persuasivi, sulle condizioni di salute del supermafioso siciliano, che peraltro già da alcuni anni non risiede in carcere essendosi curato e curandosi presso l’Ospedale Maggiore di Parma (anche se si legge da qualche parte che recentemente sarebbe stato trasferito in un importante ospedale di Roma) che è un fiore all’occhiello dell’Assistenza sanitaria nazionale e delle cui cure molti onesti o meglio incensurati cittadini italiani non potranno mai usufruire con le stesse modalità e nelle stesse forme in cui ha potuto usufruirne Riina.  

Mai come in questo caso sento di dover aderire ad un conformismo di massa secondo cui, e non certo per venire meno ad un principio di umanità e di carità evangelica, ma solo per non disattendere un elementare e doveroso principio di giustizia e di solidarietà verso le innumerevoli vittime della barbarie mafiosa, un personaggio come Riina non può essere liberato, neppure in forme parziali, dallo stato carcerario. Fuori del carcere, persino un Riina agonizzante o moribondo sarebbe in grado di nuocere alla società e al prossimo, perché non esistono elementi oggettivi in base a cui si possa pensare ad un Riina sinceramente pentito dei suoi trascorsi pluricriminali e irreversibilmente convertito ad una vita restante di conversione e di espiazione. Se colui verso il quale si vorrebbe far valere un sentimento giuridico di umanità e di pietà, non si mostra per primo capace di profondo ravvedimento morale e di riconoscimento dell’immane male prodotto e dell’inestinguibile dolore inflitto ai molti familiari delle vittime, come può essere ritenuto degno, sul piano giuridico, di essere destinato ad una fase di sostanziale depotenziamento della pena cui è stato giustamente condannato?  

Il sistema carcerario consente a Riina di potersi curare al meglio delle possibilità, anzi di potersi curare più efficacemente da carcerato che non da persona eventualmente libera su cui incomberebbe pur sempre il problema di dover pensare da solo a come curarsi e presso chi curarsi. Se ne stia dunque tranquillo in carcere, fermo restando che in carcere, specie se carcere duro, si può morire anche prima del tempo e che tuttavia questa eventualità risulta obiettivamente molto più dolorosa e scandalosa per quanti in carcere e a causa del carcere muoiano da persone condannate ingiustamente che non per coloro che, come il mafioso siciliano, vi marciscano sino a morirvi per una parte relativamente lunga della propria esistenza non solo perché colpevoli di orribili misfatti ma anche perché incontrovertibilmente incapaci di condotte o comportamenti diversi da quelli scellerati e disumani tenuti per gran parte della propria vita.

Come facciano gli ermellini a non comprendere tutto questo, resta davvero un mistero; come la loro sapienza giuridica possa manifestarsi in forme cosí unilaterali, riduttive e dozzinali, appare ancora più clamoroso; come essi non si preoccupino per nulla di apparire direttamente o indirettamente collusi con poteri mafiosi sempre in agguato, è semplicemente increscioso per la tenuta stessa dello Stato di diritto, che non potrebbe esistere se il senso giuridico delle sentenze dei giudici andasse gradualmente dissociandosi da una mentalità giuridica intrisa di rigoroso spirito etico e non puramente libresca o tribunalesca ma schiettamente politica e ben forgiata nella pur difficile arte di un sano e proficuo discernimento. Il diritto è logica, è forma, è legalità, ma una logica, una forma, una legalità tendenzialmente separate da una effettiva ricerca morale della verità e da una concezione anche educativa del diritto, possono solo trasformare quest’ultimo in uno strumento di discriminazione e di iniquità cui valga sempre meno la pena di ricorrere per ottenere giustizia. Appaiono pertanto sagge le parole proferite, tra gli altri, anche da Rosy Bindi, secondo la quale “la risposta dello Stato” alle istanze presentate dai difensori di Riina “non può essere”, benché questi sia “vecchio e malato”, “la sospensione della pena”.

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