Andrea Emo e la filosofia come sacerdozio del nulla

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Per Andrea Emo il filosofo doveva essere principalmente un sacerdote, doveva essere intento a coltivare un rapporto personale, libero e responsabile ma non mediato da altri e altro, con quella impenetrabile zona di mistero cui generalmente viene riservata la denominazione di sacro. In un mondo in cui si è portati a pensare e a vivere secondo le apparenze, secondo conoscenze e valori già dati o acquisiti, dogmaticamente sottratti all’esperienza e al controllo critico individuali, il filosofo non può sottrarsi alla funzione sacerdotale di interrogarsi sulle origini e sulle ragioni delle cose, ovvero sui fondamenti stessi piuttosto che sugli aspetti fenomenici degli accadimenti storico-mondani.  Il filosofo deve esercitare altresì tale funzione in senso laico e non dogmatico-confessionale, secondo approcci teologici istituzionalizzati e quindi riservati ministerialmente a questa o a quella Chiesa, il che non esclude che egli possa avere un suo personale credo religioso. Il sacerdozio filosofico, in altri termini, è realmente libero e universale, se non venga sottoposto a forme di clericalizzazione del sapere, da qualunque parte o ambito possano provenire, e più segnatamente da ambiti ecclesiastici oppure accademici1. Continua a leggere

Michelstaedter o dell’irregolarità filosofica

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Questo scritto è dedicato a quei grandi e non mediocri accademici che, giustamente o ingiustamente, ai pochi ostinati seppur persuasi “irregolari” del pensiero come Michelstaedter preferiscono e continueranno a preferire, sino alla fine dei tempi, schiere di individui anonimi ma ben esercitati nel dire e nel ripetere, con linguaggio rigorosamente canonico, ovvie e sublimi profondità di pensiero retoricamente pensato.

Nessuno può dire cosa sarebbe stato del pensiero filosofico di Carlo Michelstaedter, morto suicida nel 1910, se non si fosse tolto la vita a soli 23 anni di età. Tre sono le opere principali che ha lasciato: La persuasione e la rettorica, pubblicata postuma nel 1913, Il dialogo della salute e altri dialoghi, anch’essa pubblicata postuma nel 1912, La melodia del giovane divino. Pensieri, racconti, critiche, una raccolta di scritti prodotti tra il 1905 e il 1910, alle quali, a parte le composizioni poetiche, va aggiunto l’importante e vivace epistolario1. Sono opere le cui tematiche sarebbero state certo suscettibili di ulteriori e interessanti sviluppi, ma che già in se stesse contengono un pensiero non convenzionale e creativamente anticonformistico in un contesto storico-filosofico in cui andavano ancora molto di moda i sistemi filosofici e le interrogazioni metafisiche sui grandi problemi dello spirito ai quali tutti gli accidenti, i drammi, i lutti della vita e della storia si riteneva, sia pure per vie talvolta molto diverse, di poter ridurre. Invece, per Carlo, ciò che vi è di realmente e assolutamente irriducibile è l’individuo che non può sperare di trovare la sua natura, la sua identità, in ciò che gli è esterno, vale a dire l’ambiente sociale, la storia, il sapere oggettivo, gli altri, ma solo ciò che gli appartenga consapevolmente e intimamente: l’io rimarrà sempre separato dalle cose e dalle persone che pure tende continuamente a conoscere e a “possedere”, per trovarsi quanto più possibile in compagnia e in sintonia con esse, per dare qualcosa di suo ad esse e da esse ricevere qualcosa di loro. Continua a leggere

L’insignificanza filosofico-politica dei cattolici

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Non è che ai tempi in cui egemone era la Democrazia Cristiana, la cultura politica espressa da quel partito fosse espressione di una fede religiosa pensata e vissuta in modo particolarmente profondo e originale, ovvero di una fede incarnata in un impegno politico e sociale aderente o ispirato a valori evangelici rettamente intesi. Quella della D.C. era certamente una cultura di massa nominalmente religiosa, in cui tuttavia si poteva trovare di tutto: dallo spirito più autoritario e reazionario al rivendicazionismo socio-economico più radicale, dall’ecumenismo più ipocrita ed imbelle al settarismo più oltranzista, dall’interclassismo più mistificante al ribellismo più fanatico, da un pacifismo viscerale e irrealistico di maniera ad un militarismo addirittura benedetto da Dio. Ma vi si potevano riconoscere anche l’uomo o la donna più mite e generosa come i soggetti più rozzi e violenti, la persona più onesta non meno che l’individuo più losco e corrotto, l’anima più civile e sinceramente democratica e insieme lo spirito più cinico e più pronto a qualsiasi ribaltone politico e istituzionale. Si può quindi dire che la cultura politica cattolica italiana, per poco più di quattro decenni, sia stata una cultura di convenienza e di mimetizzazione sociale, più che di reale e convinta testimonianza di fede cristiana. Non è un caso che tra il ’50 e il ’90 gli affari prosperassero ben al di là di norme lecite di comportamento, la scuola fosse meritocratica ma anche antiegualitaria a differenza dell’università ben più egualitaria che meritocratica, e che la Chiesa fosse molto più integra teologicamente che moralmente e spiritualmente. Continua a leggere

La Festa dell’Assunta come festa dell’onnipotenza di Dio

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Oggi si celebra la Festa dell’Assunta e nelle letture liturgiche ad essa dedicate si celebra l’onnipotenza di Dio al di sopra di ogni altro pur noto e caratteristico attributo divino. Che una semplice e umile creatura abbia infatti potuto e voluto dar inizio alla storia della salvezza, cooperandovi attivamente nel corso della vita terrena, e meritando di essere assunta da Dio in cielo in anima e corpo, alla fine della stessa, è ciò che, salutato da sempre dai teologi come “il capolavoro di Dio”, non poteva che esprimere simbolicamente, più di ogni altra cosa, l’onnipotenza divina, di cui la grazia, la giustizia, la misericordia sono costitutive articolazioni. Quel che rende, infatti, speciali e imparagonabili queste ultime rispetto alle loro forme terrene (si pensi alla grazia che può elargire un potente, alla giustizia e alla misericordia che possono essere esercitate a sfavore o a favore di individui o popoli da autorità politiche e militari o da tribunali internazionali), è l’onnipotenza di colui che le esercita. Continua a leggere

La sessualità tra filosofia e teologia

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Il desiderio, che è alla base del bisogno esistenziale di felicità umana, ha una natura polivalente: non solo sessuale, ma anche psico-affettiva, intellettuale, morale, estetico-sensoriale, spirituale e religiosa, a meno che non si intenda ritenere plausibile la tesi per cui non si dia aspetto o momento della complessiva e pur complessa vita spirituale degli esseri umani che non abbia nel sesso le sue più profonde e originarie radici. Ora, che la vita spirituale umana sia indissociabile dalla vita corporea, psichica, emotiva, sentimentale, e quindi anche erotica e sessuale, è ciò che ormai, anche da un punto di vista cristiano, appare non solo accettabile ma doveroso, ma questo non comporta che, se prima si era ecceduto in una visione troppo intellettualista dello spirito, adesso sia più lecito eccedere in una visione troppo materialista della carne e della stessa sessualità, perché si tratta solo di rendere razionalmente più equilibrato questo rapporto tra carnalità e spiritualità. Niente disprezzo per la carne, ma niente più sospetti verso lo spirito che si manifesta come carne e corpo, facendo però di quest’ultimi il dignitoso e glorioso “tempio dello Spirito Santo” cui Cristo ha promesso la risurrezione1. Continua a leggere

L’economia giusta

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Questo scritto è dedicato a tutti quegli accademici che non sono mai sfiorati dal dubbio che la loro vita potrebbe essere stata attraversata, forse inutilmente, da impalpabili ma salvifiche presenze angeliche: proprio come accade nel mondo economico dove agisce una mano invisibile, né benefica né malefica, che, spesso all’insaputa dei soggetti che vi operano, viene creando una trama sapiente di verità e insindacabile giustizia, gravide di feconde consolazioni per gli spiriti che avranno cercato di leggerne e intenderne il senso e di amare frustrazioni per gli spiriti che non ne avranno percepito neppure la possibile esistenza.

L’economia è politica, è già politica, è politica in se stessa, in quanto non si dà modo di produzione o sistema economico che non corrisponda ad una precisa scelta politica e non si configuri come prodotto di una adesione programmatica a determinare linee di politica economica1. Non c’è una politica, da una parte, e uno sviluppo economico, dall’altra, e quasi indipendente dalla prima, e di cui la politica debba cogliere punti di forza e punti di debolezza per decidere in che modo sia possibile valorizzare e potenziare i primi  ed eliminare o ridurre i secondi, in quanto ogni sistema economico ha, strutturalmente, i suoi vantaggi e i suoi svantaggi, vantaggi cioè che comportano necessariamente degli svantaggi, e svantaggi la cui eliminazione comporterebbe anche quella dei vantaggi. Continua a leggere

Libertà d’informazione e libertà di critica della libera informazione

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Il giornalismo e ogni altra forma di libero pensiero e libera informazione sono come la stessa libertà: possono essere usati bene o male, in modo onesto o disonesto, in modo efficace o improduttivo. Questo è un concetto basilare e imprescindibile. Un corollario di questo concetto è che il giornalismo, in virtù della libertà di pensiero e di informazione, nelle sue forme legittime non possa pretendere di esercitare sul potere politico e governativo un controllo superiore a quello che quest’ultimo può e deve esercitare costituzionalmente su di esso. La libertà di parola, di pensiero e di stampa, nei paesi occidentali è ben protetta dalle costituzioni, dalle leggi, dalle istituzioni pubbliche e dalle figure apicali dello Stato non coinvolte, almeno direttamente, in specifici impegni partitici, anzi non di rado è iperprotetta, a voler sottolineare con questo termine la tendenza ad una protezione talvolta ma sempre più spesso patologica anche perché generalmente volta, nelle diverse società di riferimento, a tutelare in modo lecito ed illecito espressioni e orientamenti di un libero pensiero funzionale ad assetti e interessi politico-culturali prevalenti o ancora tenacemente resistenti soprattutto nel caso abbiano subìto ribaltamenti elettorali e un conseguente trasferimento del loro ruolo da posizioni di governo a posizioni di opposizione. Continua a leggere

Gherardo Colombo: un’idea laica e discutibile di giustizia

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Gherardo Colombo non è solo un famoso magistrato italiano ma anche un uomo di notevole cultura storico-letteraria e di discreta cultura biblico-religiosa, là dove questo abbinamento di scienza e pratica del diritto e cultura umanistica e teologica non costituisce certo un dato scontato e particolarmente ricorrente almeno nell’ordine dei magistrati italiani. Si conosce anche il suo impegno civile di ex magistrato e di uomo sensibile alle variegate problematiche della società italiana sia pure in relazione, in modo specifico, al tema della giustizia. Per Colombo, tale tema rischia di essere incomprensibile o insufficientemente chiaro ove lo si venga trattando esclusivamente e riduttivamente in termini di diritto positivo, di corpo storico di leggi date, di pratica giuridico-giudiziaria. E’ molto significativo, per esempio, che egli si sia trovato ad affrontarlo nel quadro di una conferenza su Dante Alighieri come cantore insuperabile della giustizia divina, sebbene caratterialmente molto passionale e forse non sempre capace di giudizi del tutto imparziali. In tal senso, la giustizia divina nella sua somma opera, la “Divina Commedia”, pur esprimendone gli alti ideali e gli universali valori, riflette altresì l’ostinata o caparbia fermezza del poeta nel dare seguito coerentemente alle proprie convinzioni su questioni di vitale importanza morale e sino al punto di preferire l’esilio al ritorno nella sua città natale, per non essersi visto tributare il giusto riconoscimento. Continua a leggere

Leopardi e Dio

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L’inarrestabile incivilimento del mondo comporta un graduale allontanamento dalla naturalità della vita, da un modo naturale di vivere. E questo è destinato a complicare enormemente l’esistenza umana, in quanto la crescente separazione dalle leggi naturali della vita non può che comportare verosimilmente, negli esseri umani, una tendenza altrettanto crescente all’«indifferenza», alla «morte delle passioni e delle emozioni», all’«impossibilità di sentire e di immaginare», che «sono solo alcuni degli effetti visibili nel cambiamento di paradigma»1 (F. Cacciapuoti, Editoriale. Sull’etica, in Rivista “Appunti leopardiani”, 2013, 1, n. 5-6, p. 7). In realtà, Leopardi, che nel corso della sua riflessione poetica e filosofica viene idealizzando lo stato di natura in modi molto diversi e persino opposti, ne avrebbe sì individuato il sostrato fisico-astronomico in una struttura materiale eterna e retta da inesorabili leggi meccanicistiche  ma identificandolo con condizioni etico-esistenziali ora più tollerabili, ora sempre più intollerabili e crudeli. Quale sia stata effettivamente la realtà morale degli uomini nello stato di natura, in Leopardi non mero mitico e immaginario che in Rousseau nonostante la critica esercitata in questi termini dal primo nei confronti del filosofo ginevrino2 (Cfr. N. Sapegno, Giacomo Leopardi, in Storia della letteratura italiana (diretta da E. Cecchi e N. Sapegno), Milano, RCS, 2005, vol. XIII), né Leopardi, né altri, sarebbero mai stati in grado di indicare con precisione, ed è pertanto probabile che anche il pensatore-poeta di Recanati, pur oscillando tra una prima idea fiduciosa e una successiva idea ben più cupa e contrariata di natura, abbia inteso  utilizzare tale tema più che altro a scopo polemico, per evidenziare e denunciare il degrado di pensiero e di costumi prodotto dalla civiltà e il muoversi di quest’ultima verso forme e stadi sempre più esasperatamente irrazionali di vita. Continua a leggere

Il Dio giusto

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Nei testi primotestamentari la giustizia appare costantemente associata alla rettitudine o all’integrità morale di singoli o gruppi, mentre in quelli neotestamentari essa tende a coniugarsi piuttosto con uno spirito di equità o di rettitudine basata sulla giustizia come principio o valore ma non sganciata dalla coscienza di ciò che può ritenersi o valutarsi giusto non in astratto ma sulla base di concreti casi empirici. La giustizia divina è principio o legge ontologicamente inerente l’essenza stessa di Dio, non quindi una legge altra dalla stessa volontà divina e a cui questa debba conformarsi, e tale giustizia è tuttavia relativamente flessibile in relazione ad una notevole pluralità di casi e situazioni che possono accadere o manifestarsi  nel corso della complessa e drammatica vicenda storico-umana. In altri termini, la giustizia divina, per quanto sia rigorosa e severa, è altresì una giustizia intrinsecamente misericordiosa o pietosa. La giustizia di Dio è una giustizia secondo verità, che è un altro primario attributo dell’essenza divina, è una giustizia assoluta, oggettiva, imparziale, priva di pregiudizi o di preferenze aprioristiche, anche se non inflessibilmente rigida ma sensibile allo sforzo delle creature di riconciliarsi con il loro unico signore, essendo il peccato ma non il peccatore il suo unico e definitivo nemico. La giustizia di Dio, pertanto, altro non esprime che la santità stessa di Dio. Continua a leggere