Mi mette un po’ d’imbarazzo essere menzionato dal curatore di questo blog, per di più nella sezione “Il Manifesto”. Se è stato un piccolo atto di coraggio da parte mia dare alle stampe il libro “In politica con più fede”, credo che il professor Francesco Luciani abbia compiuto qui un’operazione non meno coraggiosa e, soprattutto, un deciso passo in
avanti: “Vangelo e democrazia” non è solo un titolo ad effetto – che fin dal nome è tutto un programma… – ma costituisce il tentativo di dar voce a un progetto che ancora vagisce, anche se sarebbe bello vederlo camminare e stare in piedi da solo.
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Renzi, Grillo e i sedicenti “filosofi” pentastellati
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Renzi accetterà la proposta non “incredibile” ma ben prevedibile di Grillo e accoglierà a braccia aperte i grillini (e forse lo stesso Grillo, che tenta sempre di starsene sulle sue, anche quando subisce delle sonore sconfitte) che si presenteranno al suo cospetto per discutere di legge elettorale.
Nel PD non tutti sono d’accordo perché convinti che l’iniziativa di Grillo e Casaleggio sia manifestamente strumentale e, come al solito, volta a perseguire specifici interessi di bottega in un momento molto difficile per il loro Movimento che, qualora dovesse continuare per almeno tre anni e sia pure con qualche relativa battuta d’arresto l’appeal politico-sociale di Renzi, potrebbe andare incontro ad un lento ma ineluttabile disfacimento per il semplice fatto che molti di coloro che hanno fin qui votato per Grillo e compagni, sotto l’effetto di una crisi economica spaventosa cui non hanno saputo rispondere le tradizionali forze politiche, alla lunga non avrebbero più una valida ragione per continuare a dare fiducia a gente che ha dimostrato ampiamente di essere priva di una vera cultura politica e di governo e, spesso addirittura, di cultura tout court.
Gad Lerner su Grillo e il 5 Stelle
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Ha ragione Gad Lerner, peraltro cosí antipatico e prevenuto su tante altre questioni, quando scrive che il Movimento 5 Stelle si è collocato a destra in Europa stipulando un’alleanza con Farage per scelta non dell’elettorato pentastellato ma di Grillo e Casaleggio e per un preciso calcolo politico non certo disinteressato.
Matteo Renzi e il mondo del lavoro
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A Matteo Renzi vanno riconosciuti diversi meriti politici: di aver salvato il PD da un ulteriore e pesante ridimensionamento elettorale togliendo tempestivamente anche se spregiudicatamente il governo dalle mani di uno spento e infruttuoso Enrico Letta, di aver affrontato a viso aperto
Grillo e il suo movimento bloccandone le eccessive e pericolose ambizioni di potere e di governo e determinandone un vistoso insuccesso elettorale, di aver proposto un significativo mutamento di strategia politica relativamente al rapporto dell’Italia con l’Europa attraverso critiche non massimalistiche ma comunque ben centrate e motivate, di aver svecchiato letteralmente il suo partito rispetto alla sua tradizionale e vetusta mentalità burocratica e al sostanziale immobilismo politico dei suoi vertici consentendogli di sfondare la prodigiosa soglia del 40% dei voti, di aver saputo coinvolgere buona parte di un elettorato cattolico sospettoso verso la nomenclatura di origine comunista presente nel PD, di aver ridato fiducia a una platea consistente di cittadini con la decisione di abbassare l’Irpef sul lavoro dipendente e con la scelta di trasferire una parte del carico fiscale alla rendita finanziaria per alleggerire fiscalmente le imprese industriali.
Quale pace per il Medioriente?
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Anche quando si parla di pace in senso politico i cattolici non possono certo prescindere da Cristo e dalla sua Parola. Gesù proclama beati, cioè destinati ad essere eternamente felici, gli operatori di pace che non sono da confondere né con i pacifici, quelli che per carattere e per quiete personale tendono ad evitare ogni situazione di conflitto, né con i pacifisti, che pretendono generalmente di abolire la violenza e specialmente quella militare nella relazione tra Stati soltanto a colpi di dialogo e di trattative diplomatiche e indipendentemente da una valutazione oggettiva delle cause specifiche che sono alla base di determinati rapporti conflittuali.
Gli operatori di pace sono invece coloro che abitualmente e non saltuariamente lavorano a costruire la pace o a ripristinarla dove risulti perduta o compromessa, alla luce di uno spirito cristiano di verità e di giustizia. Al cristiano non interessa la pace per la pace, la pace che lascia che i violenti e i prepotenti continuino a fare quel che vogliono; al cristiano non interessa la pace solo affinché non si spari più e non ci siano più atti di terrorismo, ma affinché siano rimosse le ragioni dell’inimicizia e dell’odio tra le persone e i popoli.
Non è senza significato che gli operatori di pace siano da Gesù proclamati beati esattamente come i perseguitati per la giustizia e per la giustizia divina, che non può non avere anche importanti ripercussioni sulla giustizia politica e sulle relazioni tra popoli e Stati, e come i miti che evangelicamente sono i non violenti che, benché consapevoli dei gravi torti subíti, sopportano pazientemente l’oppressione altrui ma senza rinunciare a tentare di far valere le proprie ragioni di oppressi e di sfruttati e soprattutto confidando sempre di poter essere liberati prima o poi da Dio.
Gesù dice chiaramente e programmaticamente: “non sono venuto a portare la pace ma la spada”, e la spada biblicamente, insieme alla bilancia, è il simbolo della giustizia, di una giustizia divina naturalmente cui tuttavia quella umana dovrebbe conformarsi il più possibile. Parlare di pace a prescindere dalla giustizia o addirittura in contrasto con essa significa proporre una pace ipocrita o, al più, una retorica della pace. Non può esserci pace, biblicamente ed evangelicamente, dove regna l’ingiustizia e dove vengono calpestati i diritti più elementari di uomini e donne. Certo, non è ancora sufficiente rimuovere le cause di iniquità strutturali o “di sistema” per creare vera e stabile pace, ma molto più difficile è preparare condizioni di pace se si lascia che ingiustizie e discriminazioni, forme di grave diseguaglianza etnica sociale o di censo, privilegi e prevaricazioni di vario genere, vengano radicandosi sempre di più sotto la spaventosa e costante minaccia delle armi.
Ora, non è proprio uno stato di intollerabile e violenta iniquità quello che sta perpetuandosi da circa mezzo secolo in Medioriente, in Palestina, a causa di uno Stato israeliano che, pur non mancando di commemorare ogni anno l’olocausto dei propri antenati, si è ormai e impunemente specializzato nell’alimentare, con sistematica freddezza e astuta perfidia politica, l’olocausto del popolo palestinese? Tutti sanno che Israele fa quel che gli pare e come gli pare: gli USA, l’Europa, i Paesi arabi e i Paesi africani, la Russia, l’Italia, la Chiesa. Tutti stanno assistendo più o meno passivamente, tra critiche e condanne occasionali, ad un genocidio progressivo della gente palestinese che, se non vivessimo nell’epoca dei grandi mezzi di comunicazione di massa, Israele non avrebbe probabilmente esitato ad attuare in un
colpo solo già da diverso tempo.
Lettera aperta di un democratico non credente
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di Mauro Riccò
Intanto, non è per “captatio benevolentiae” che dico subito a Luciani di aver apprezzato il suo blog non solo e non tanto per l’importanza e la varietà dei temi proposti ma anche e soprattutto per la chiarezza e la capacità di analisi con cui essi vengono trattati, che sono qualità difficilmente rinvenibili oggi nella maggior parte dei siti e dei blog politici presenti nella rete. Anzi, data l’indubbia tendenza degli articolisti che vi collaborano, a cominciare dallo stesso Luciani, a non argomentare per slogan o in modo sterilmente polemico ma secondo un rigoroso ordine logico e concettuale e quasi sempre con riferimenti precisi e aggiornati, mi chiedo se sia stata opportuna la scelta di prevedere per gli utenti la possibilità di lasciare dei commenti.
I commenti fioccano se si parla in modo piuttosto sbrigativo di “cose di pancia” o di rivendicazioni molto settoriali e corporative oppure se si propongono punti di vista nettamente caratterizzati secondo gli schieramenti politici esistenti e ai quali proprio per questo è sempre possibile replicare facilmente, ma quando questo non accade allora è molto più difficile che vi siano lettori disposti a spremersi le meningi prima di scrivere un commento.
Fini-Giovanardi: le droghe tra politica e legge
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di Fortunato Carrani
Nel febbraio scorso la Corte Costituzionale, accogliendo l’istanza precedentemente sollevata dalla terza sezione penale della
Cassazione, ritenne illegittima la legge Fini-Giovanardi del 30 dicembre 2005, n. 272, convertita con modificazioni dall’art. 1 della legge 21 febbraio 2006 n. 49, che dal 2006 disciplina l’uso delle sostanze stupefacenti, equiparando le droghe leggere a quelle pesanti. Bisogna però precisare che questa legge fu bocciata non per quello che stabilisce ma per il modo o per la procedura impropria con cui era stata approvata in parlamento. Adesso, tuttavia, le sezioni penali unite, presiedute dal primo giudice presidente Giorgio Santacroce, hanno interpretato la
sentenza della Consulta nel senso che essa, come tutte le pronunce di incostituzionalità, travolge tutto ciò che sia stato oggetto di sentenza definitiva, per cui dovranno essere riviste al ribasso le pene anche per quei soggetti che siano stati condannati in via definitiva in base alla Fini-Giovanardi e, in definitiva, ritorna in vigore la legge 162 del 1990 Jervolino-Vassalli come modificata dal referendum del 1993, che operava una distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, fermo restando tuttavia il principio della illiceità tanto per l’uso di droghe pesanti (come cocaina ed eroina) quanto per l’uso di droghe leggere (come marijuana e hashish), uso che pertanto in ambedue i casi era considerato “da punire”, benché per i casi più lievi le sanzioni previste fossero di natura essenzialmente amministrativa. Continua a leggere
Da La Pira a Renzi passando per Cacciari
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1. La crescente disaffezione per la politica che si avverte specie tra i giovani è un sintomo e anche una causa della profonda crisi che oggi investe il cosiddetto mondo occidentale e che mette in pericolo lo stesso concetto di democrazia partecipativa che è alla base delle nostre società. L’esperienza lapiriana, soprattutto nell’amministrazione della città di Firenze, costituisce un concreto contributo ad una politica coerentemente posta al servizio della comunità e in particolare dei suoi membri più indifesi e ben al riparo da strumentalizzazioni di varia natura, da malcostume e da illecite operazioni finanziarie a vantaggio di singoli o di gruppi.
Grillo, la sconfitta elettorale e i pensionati
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Mai fidarsi completamente dei sondaggi perché sono strumenti talvolta utili ma molto più spesso imperfetti e fallaci! Mai commettere l’errore di modulare i propri programmi politici e le proprie campagne elettorali sulla base di ipotetici o presunti umori popolari o di piazza! Nel caso della sconfitta elettorale di Grillo e del suo partito, è difficile dire se avesse tenuto conto dei possibili umori delle sue piazze o piuttosto dei suoi rumorosissimi umori personali, ma è certo e paradossale che, lui che diffida sempre di tutto e di tutti, dei sondaggi si era fidato ciecamente. Non per fare sarcasmo, ma era davvero convinto che fosse in grado di competere con il giovane e dinamico Renzi!
Movimento 5 Stelle: ma quale democrazia diretta!
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di Renzo Privitera
Non voglio fare il saputo, ma ad occhio e croce non sono moltissimi i cittadini italiani che sanno bene di cosa parlino quando parlano di democrazia e le loro idee sono ancora più confuse se provano a misurarsi sul concetto di democrazia diretta. Per essere realmente democratici due sono le possibili condizioni: o che si sia dotati di una rigorosa cultura politica di segno per l’appunto democratico, e questa prerogativa è appannaggio di un numero piuttosto limitato di persone, o che, pur non essendo particolarmente esperti dei meccanismi o delle procedure istituzionali di un sistema democratico, si abbia coscienza del fatto che, quali che siano gli oggetti del contendere politico-sociale, vi è democrazia effettiva, indipendentemente dal suo essere diretta o indiretta, e non mera demagogia autoritaria e populista, se la contesa tra opposte o diverse forze politiche risulta anche formalmente orientata a perseguire determinati obiettivi per via pacifica e non violenta e secondo modalità che prevedano pur sempre per il presente e per il futuro il rispetto verso le assolute o relative minoranze parlamentari.