di Marco Esposito
(pubblicato in “Giornalettismo” del 21 giugno 2016)
Nel 2014 il Presidente del consiglio ha rappresentato la speranza per un pezzo di questo paese. Sono gli outsider, gli esclusi, quelli che stanno perdendo la speranza. E che puntano tutto sul M5S, vissuto come movimento anti elite ed anti establishment.
Nel 2012, dopo la sconfitta alle primarie contro Pier Luigi Bersani, Matteo Renzi tenne probabilmente il discorso più bello della sua vita politica. Un discorso in cui, senza alcuna scusa, si assunse totalmente la responsabilità di quella sconfitta. Ammise i (pochi) errori che aveva fatto, mettendo a nudo quello che era mancato per convincere la maggioranza degli italiani. Venerdì, ci aspettiamo dal premier un discorso analogo, franco, schietto. Un’analisi che metta in luce cosa non ha funzionato negli ultimi mesi del suo governo, e del racconto che è stato fatto al paese.
Dopo pochi mesi di governo Matteo Renzi stravinse le elezioni Europee portando il partito democratico al 40%. Perché convinse così tanti italiani? Perché Renzi e il suo governo rappresentavano per quegli italiani una possibilità di cambiamento. L’ex sindaco di Firenze era la speranza di cambiamento di un paese stremato da una crisi economica lunghissima. Ma soprattutto l’allora nuovo presidente del Consiglio riusciva ad incarnare la speranza di miglioramento della propria vita per i tantissimi italiani che – ancora oggi – si sentono degli outsider. Degli esclusi. Persone che non trovano una strada per rendersi autonomi, per vivere dignitosamente. Cittadini strozzati dalla crisi economica dalla quale il paese non riesce ad uscire definitivamente. Giovani laureati o diplomanti che non hanno più la speranza di cambiare la propria situazione sociale. Cittadini che non credono che questo stato di cose possa permettere loro una vita dignitosa. Hanno pensato che con Renzi l’ascensore sociale potesse tornare ad esistere.
Dopo due anni costoro non hanno trovato, in molti casi, soluzione ai loro problemi. Eppure – starete pensando – questo governo, rispetto a quelli precedenti, ha fatto molte riforme. La riforma del lavoro, le unioni civili, gli 80 euro, la buona scuola, la riforma costituzionale. Ebbene molte di queste riforme, come gli 80 euro, si rivolgevano comunque agli “insiders”. Cioè a chi è già dentro il sistema. Gli 80 euro erano per chi aveva già un lavoro, magri un co.co.pro ma comunque un lavoro. Il Jobsact è stato apprezzato da coloro i quali – magari trentacinquenni – hanno visto diventare il proprio contratto a progetto, che spesso doveva essere rinnovato ogni 6 mesi, in un contratto a tutele progressive, che comprendeva ferie, straordinari, buoni pasto, permessi orari. Un provvedimento visto positivamente da chi è già “insider”, appunto. Continua a leggere→
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