Pensiero della settimana

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Piaccia o non piaccia all’attuale pontificato, stando al testo originale greco, che riproduce fedelmente il testo in aramaico, è Dio stesso, lo Spirito Santo, a spingere Gesù verso la tentazione, a portarlo verso la tentazione, a sospingerlo nel bel mezzo della tentazione diabolica: “kài mè eisenènkes hemàs eìs peirasmòn”, recita il testo originale greco, dove peirasmòs significa tentazione, prova, potremmo anche dire test, ovvero non spingerci, non portarci proprio dentro la tentazione che è più forte di noi, che è più potente della nostra debole volontà; noi questo lo riconosciamo, senza di te, Signore, siamo solo alla mercè del peccato, del vizio, della perversione, di ogni possibile iniquità: dunque non indurci a fronteggiare situazioni che ci vedrebbero irrimediabilmente perdenti ma aiutaci tu a resistere, a non essere troppo succubi delle tentazioni della nostra vita, del nostro stesso io  …  non indurci a desiderare né potere, né ricchezza, né celebrità, né sesso, né ammirazione, e non indurci ad innamorarci di noi stessi, anche se fossimo giusti, misericordiosi, santi, perché in tutti questi ambiti e casi saremmo e spesso siamo degli sconfitti. La formula “non indurci in tentazione” nei secoli alla Chiesa è sempre parsa un po’ scandalosa, giacché è difficile pensare che Dio possa indurre l’uomo a qualcosa di cattivo: lo stesso Gesù non fu forse indotto in tentazione da Satana proprio contro il suo Padre celeste? Perciò, la Chiesa ha cercato sempre di riesprimere e reinterpretare in termini più accettabili tale formula e oggi una delle traduzioni più accreditate sembra essere quella che suona “non abbandonarci nella tentazione”, sebbene, anche in questo caso, non si capisca per quale motivo il Signore dovrebbe quasi sadicamente abbandonare i suoi figli nelle prove più difficili e sfibranti. Del resto, se ci si scandalizza di questa espressione del Pater (non indurci in tentazione), forse ci si dovrebbe scandalizzare ancora di più della frase pronunciata da Gesù sulla croce “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato!”, perché è molto difficile pensare che Dio Padre possa abbandonare suo Figlio Unigenito nel momento più tragico della sua vita terrena.

 

 

 

 

Emmanuel Mounier, paradigma esemplare ma incompiuto di laicità cattolica

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Emmanuel Mounier (1905-1950)

Emmanuel Mounier già nella prima metà del ‘900 parlava di una crisi così profonda della fede cristiana e cattolica da definirla, sia pure con tono interlocutorio, come una vera e propria “agonia del cristianesimo”1. Anche per questo, ben lungi dal condividere “il sogno europeistico” di tre grandi statisti cattolici come Adenauer, De Gasperi e Schuman, che a molti era apparso prodromico del perseguimento di un ideale cristiano come nuovamente capace di fungere da cuore pulsante dell’Occidente, egli non avrebbe mai creduto nella ricostituzione di un’Europa cristiana, scorgendo nella società europea troppi segni evidenti di scollamento tra le cristiane e cattoliche pratiche di pensiero e di vita e la fede dei Padri. Continua a leggere

Pensiero della settimana

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Censurare i difetti altrui sapendo che essi sono anche nostri difetti, non è solo un comportamento ipocrita ma anche stupido, perché solo uno stupido può pensare di correggere il prossimo per colpe identiche a quelle che egli abbia contratto nella sua stessa vita. Ma se, anziché essere tentati di correggere, ci si limita a confessare al prossimo che i suoi errori sono anche i nostri errori, di cui però non ci compiaciamo affatto e di cui occorre liberarsi, forse noi compiamo un’azione onesta, saggia e utile tanto al prossimo quanto a noi stessi.

La laicità democratica tra retorica, ideologia e fede.

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Si può convenire su una definizione di laicità «come valore comune e costume sociale in una societas di uguali-nelle-differenze che non cancella le diverse appartenenze ma le pone dialogicamente l’una di fronte all’altra, favorendo un’intesa comune su princìpi e valori condivisi (e si pensi solo ai diritti umani)»1. Senonché una comune fede in questo valore e nella sua intrinseca funzione dialogica non solo non cancella le diverse identità a confronto ma non sempre è in grado di assicurare il dialogo e, ancor più, l’intesa e la condivisione di princìpi e valori condivisi: anche sui diritti umani accade che non si raggiunga sempre una unanimità di giudizi e convergenze, per così dire, sufficientemente unitarie. La laicità, nel senso più radicale ma anche più costruttivo del termine, deve essere comprensiva tanto di aperto e libero confronto civile e democratico, quanto della possibilità che, al di là del confronto più dialettico e pluralistico, permangano differenze insanabili, contrasti e conflittualità irriducibili tanto in rapporto ai poteri e alle autorità costituite dello Stato quanto in rapporto alle diverse o eterogenee visioni del mondo pure presenti nella società civile. La storia si evolve ma in essa, sia pure in forme o modi sempre diversi, permangono strutture di contrapposizione e di conflitto resistenti a qualunque processo di modernizzazione e di evoluzione storico-civile e culturale. Continua a leggere

Pensiero della settimana

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Non è che Gesù ci chieda di vivere come se non esistessero né nemici, né malvagi, né persecutori: nella vita di ogni giorno esistono e lui sa bene che da essi bisogna guardarsi, che è necessario agire con molta prudenza e circospezione e persino con una certa larghezza di vedute, e anche, se necessario, con coraggio e con la volontà di opporsi alla menzogna e al sopruso solo con le armi della verità e della giustizia, nei limiti dell’umanamente tollerabile, ivi comprese quelle che ci incoraggiano costantemente a non far prevalere in noi le ragioni talvolta comprensibili dell’odio su quelle necessarie e certamente più utili dell’amore. E’ solo cosí che l’etica cristiana si conferma quale etica non dei deboli e dei vili ma dei forti e dei giusti in Cristo. Ma ci sono troppi ministri della Parola di Dio che, lungi dall’intenderla o dall’applicarla rettamente, caricano i penitenti soggetti a trattamenti reiteratamente iniqui e offensivi, di inutili e ossessivi sensi di colpa.

 

Trump, democratically elected dictator!

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“A mediocre comedian” and “a dictator never elected”. This is how Trump, considering himself an excellent comedian and a democratically elected dictator, defined Zelensky for having stubbornly defended the Ukrainian cause and led the armed resistance of the people and the army of Kiev, for over 2 years, against the expansionist designs and the desire for political-military occupation of one of the bloodiest dictators in contemporary history. The Ukrainian prime minister simply replied politely that the American president lives “in a bubble of Russian disinformation” and so Trump’s deputy felt compelled to admonish him by ordering him “to stop it”, provoking the reaction of Macron and Schulz who immediately sympathized with Zelensky. Continua a leggere

Trump, dittatore democraticamente eletto!

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«Comico mediocre» e «dittatore mai eletto». Così Trump, considerando se stesso un comico eccellente e un dittatore democraticamente eletto, ha definito Zelensky per aver questi difeso ostinatamente la causa ucraina e aver guidato la resistenza armata del popolo e dell’esercito di Kiev, per oltre 2 anni, contro i disegni espansionistici e la volontà di occupazione politico-militare di uno dei più sanguinari dittatori della storia contemporanea. Il premier ucraino si à limitato a replicare educatamente che il presidente americano vive “in una bolla di disinformazione russa” e così il vice di Trump si è sentito in dovere di ammonirlo intimandogli “di piantarla”, suscitando la reazione di Macron e Schulz che hanno subito solidarizzato con Zelensky. Continua a leggere

La laicità tradita. Fenomenologia della laicità non credente.

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In base all’art. 3 della Costituzione italiana i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge e, pertanto, non possono essere discriminati né per sesso, né per razza e lingua, né per opinioni politiche e condizioni personali e sociali, né per religione, mentre l’art. 19 sancisce che tutti possano professare liberamente la propria fede religiosa, sia privatamente che in sede comunitaria, avendo altresì facoltà di promuoverla ed esercitarla, ovvero testimoniarla, in privato o in pubblico, all’unica condizione che qualunque manifestazione di religiosità non sia contraria al cosiddetto “buon costume” oggi corrispondente, in senso generale, a un condiviso senso di pudore, di decenza e di moralità. Ciò significa altresì che anche i cattolici abbiano tutto il diritto di far valere non solo nell’ambito della loro Chiesa ma anche politicamente e democraticamente idee, proposte, programmi, basati sulla propria fede religiosa. Chi continua a sostenere e a pretendere che i cattolici che non si astengano dal relegare i propri convincimenti religiosi nel privato siano da considerare eversivi e nemici degli ordinamenti democratici, avrebbe piuttosto tutto l’interesse a rivedere o a mitigare il suo intollerante radicalismo politico per poter sperare di sottrarsi a sua volta all’accusa di contravvenire alla logica laica e democratica della civile convivenza1. Certo: la fede può ben rappresentare un ingombro per la politica, per le sue diramazioni istituzionali e per i suoi stessi meccanismi legislativi ed esecutivi, perché la sua dimensione trascendente pone continui o costanti interrogativi alle pratiche immanenti di gestione del potere e della vita civile e democratica, ma se il dubbio, come “primo passo verso la verità” di diderotiana memoria, è un principio logico-metodologico che accomuna tutte le correnti o le espressioni filosofico-politiche e giuridiche della moderna e contemporanea laicità non confessionale o non religiosa, è difficile escludere la fede cristiana da tutte quelle fedi laiche o laiciste che fanno del dubbio il principio stesso della loro attendibilità teorica e della loro vitalità pratica. Niente, infatti, più della fede religiosa, evangelica, cristiana e cattolica, proprio mentre muove da princìpi dogmatici, che però non compromettono in nessun modo la possibilità di indagare criticamente la realtà storico-sociale e culturale, viene assolvendo la funzione di suscitare dubbi di carattere logico e metodologico, di tenere sempre aperta la ricerca, di approfondire indefinitamente il senso della verità e della giustizia tra gli uomini. E perché questo accade se non per il fatto che essa è radicata profondamente e indissolubilmente nella natura stessa dell’essere umano? Continua a leggere

Per una ricognizione critica e demistificante del concetto di laicità

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Che la Chiesa ortodossa russa benedica l’aggressione di Putin all’Ucraina, che il regime teocratico iraniano autorizzi violente repressioni poliziesche contro il movimento femminile interno di emancipazione, che in diverse aree del mondo alcune minoranze religiose, tra cui quella cristiana e cattolica, abbiano ancora a subire frequenti persecuzioni, o che tra estesi gruppi di fondamentalismo religioso di segno contrapposto sussista ancora un rapporto di latente ma esplosiva conflittualità, sono tutti segni, come ha ben dimostrato in un recente libro Augusto Barbera (Laicità. Alle radici dell’Occidente, Bologna, Il Mulino, 2023), di come la laicità occidentale sia decisamente sotto attacco. Ora, Barbera individua nella laicità le radici della civiltà occidentale, là dove però il passo successivo da compiere, ma che non tutti e non molti sinora hanno compiuto, è costituito dal deciso riconoscimento che le stesse radici laiche dell’Occidente trovano il loro humus storico, religioso e culturale nel cristianesimo. Benché ancora molto discussa e talvolta variamente contestata, più sul piano emotivo e ideologico che su quello storico e logico-argomentativo, il presupposto da cui qui si muove e ampiamente evidenziato in tanta parte di storiografia nazionale e internazionale, è che la rivendicazione delle radici cristiane della laicità sia una rivendicazione pienamente legittima. A Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio, sono le celebri parole di Gesù, con cui egli intendeva riconoscere, rispetto a qualunque ordine di potere spirituale e religioso costituito e organizzato secondo propri princìpi e strutture associative interne, la legittimità e l’autonomia del potere politico e dello Stato in quanto organizzazione politica e giuridica di una determinata comunità territoriale, ma al tempo stesso la non estraneità umana, morale, religiosa, delle leggi civili, degli ordinamenti economici e giuridici, delle norme e degli apparati repressivi dello Stato, non tanto ad una data giurisdizione ecclesiastica ed ecclesiale quanto alla superiore legge di Dio1. Cesare doveva essere ritenuto libero di provvedere, nel modo più responsabile e lungimirante possibile, alla sicurezza materiale e al benessere sociale ed economico del popolo da lui amministrato, senza tuttavia pretenderne l’asservimento a credenze e a modi di vita incompatibili con la fede nell’unico e vero Dio annunciato e servito dal Cristo. In questo senso, non si sarebbe trattato di riservare trattamenti privilegiati alla sua Chiesa e a coloro che, presbiteri o diaconi, sarebbero stati incaricati di ufficiarne le funzioni ma di rispettarne l’esistenza e la funzione spirituale nel quadro del normale svolgimento della vita associata. I laici sarebbero stati tutti gli appartenenti al popolo, e quindi tanto i credenti che i non credenti, ed essi sarebbero rimasti distinti dai chierici, ovvero dai membri del clero di una qualunque confessione religiosa e dalle specifiche pratiche religiose da essi esercitate, ma ciò non ne avrebbe giustificato condotte manifestamente immorali e oltraggiose nei confronti dei comandi divini e della dignità stessa comune a tutti gli esseri umani.   Continua a leggere

Immagini della fede tra modernità scientifica e modernità religiosa

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1. Volti conflittuali della fede nell’epoca di papa Bergoglio

Chi, ben consapevole del sempre più accentuato fenomeno di desensibilizzazione religiosa oggi in atto soprattutto in occidente e di crescente e vistosa riduzione della ritualità religiosa comunitaria ad esso connessa, abbia a cuore lo stato di salute e il futuro destino della fede cristiana e cattolica nel mondo, prima o poi non potrà non porsi le domande assai di recente formulate dal sociologo Franco Garelli: «Il cattolicesimo italiano sta perdendo il senso della ‘domenica’? La riduzione dei praticanti regolari è una nuova tappa del processo di secolarizzazione delle coscienze? Oppure la disaffezione dalla pratica religiosa ha perlopiù cause interne, è dovuta ad una liturgia ormai diventata afona, non più in grado di attrarre e interpellare i credenti? Inoltre, si tratta di una tendenza destinata ad inasprirsi o ad ammorbidirsi nel tempo?»1 La maggior parte dei fedeli, lungi dal cogliere e dal vivere la religiosità e la stessa ritualità eucaristica e sacramentale nel loro intrinseco e perenne significato sacrificale e salvifico, tende ormai a trasformarne la stessa dimensione comunitaria in una opportunità di evasione da una dura e sofferta quotidianità oppure in un’occasione di sia pure fuggevoli anche se talvolta gratificanti incontri relazionali. Non sono più tanto le contrarietà o i drammi esistenziali ad essere offerti in sacrificio per la purificazione e la redenzione della propria vita interiore, ma è piuttosto l’esperienza religiosa che, pur pensata come esperienza di comunione fraterna con Dio e il prossimo, viene tuttavia sentita e vissuta fondamentalmente, e in modo solo in parte legittimo, in funzione del soddisfacimento delle proprie necessità esistenziali. Continua a leggere