Gesù, quando si tratta di indicare le diverse situazioni di vita che, a seconda di come vengano affrontate, possono immettere nella via della salvezza o allontanare pericolosamente da essa, è molto esigente, anzi radicale: d’altra parte, sarebbe difficile pensare che il Dio della vita, della morte e della risurrezione per una vita eterna, possa essere tollerante secondo le modalità generalmente banali in cui la tolleranza viene concepita ed esercitata dagli esseri umani. Gesù dice chiaramente o allusivamente di non poter essere amato né come fenomeno da baraccone, né come taumaturgo, né come liberatore da disgrazie e mali terreni, né come conduttore di popoli, né come Dio da potersi adorare solo con le buone intenzioni e con parole insincere o ambigue. Chi ama Cristo, lo deve mettere al primo posto, non solo con dichiarazioni di principio ma con scelte o atti impegnativi e spesso costosi, nella gerarchia degli affetti e dei beni materiali: e quindi rispetto a genitori, figli, fratelli e sorelle, persino rispetto alla propria vita, cioè alla propria libertà di condurre una vita normale, senza preoccupazioni di ordine spirituale particolarmente assillanti e senza comportamenti esposti costantemente e deontologicamente al rischio di produrre situazioni conflittuali oltre che amorevolmente esercitati per il bene e la serenità delle anime e del popolo di Dio. In questo senso, quanti ministri ordinati di rito latino avvertono ormai drammaticamente il problema di staccarsi da affetti familiari e beni finanziari per servire al meglio la Chiesa di Cristo? Non c’è dubbio che siano sempre di meno. Continua a leggere
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Pensiero della settimana
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Generalmente, i primi posti di una festa di nozze o di un luogo in cui si celebri o si commemori una ricorrenza, un evento, un’impresa civile o culturale di particolare valore, di un teatro, di una chiesa o di uno stadio, in cui abbia luogo una data rappresentazione artistica, una cerimonia religiosa o una manifestazione sportiva, sono già prenotati per gli abbonati o per personalità e soggetti di alto o medio rilievo istituzionale. Ma può sempre capitare che alcuni, sbadatamente o facendo finta di non capire, tentino di aggirare le regole o, se si vuole, le convenzioni, e occupino, con maggiore o minore disinvoltura, il posto ad altri riservato. Questo atteggiamento corrisponde ad una ricerca di comodità, di visibilità, ad un desiderio più o meno inconscio di emergere o primeggiare, indipendentemente dal fatto che coloro per i quali i posti sono prenotati o riservati siano migliori o peggiori di chi vorrebbe occuparli. Per molti di noi, è come se stare davanti, occupare i posti migliori o più prossimi a personaggi noti, famosi o comunque socialmente e mediaticamente apprezzati, equivalesse automaticamente ad acquistare maggiore valore, ad essere più di quello che realmente si è, senza peraltro rendersi conto che in realtà, a dispetto delle apparenze, delle convenzioni sociali, della qualità professionali, dei ruoli sociali o dei titoli di merito vantati da coloro nei cui pressi si vorrebbe apparire o presenziare, quest’ultimi non siano poi dotati di qualità così eccelse da giustificare la nostra ansia di figurare in prossimità dello spazio da essi occupato. Continua a leggere
Maria tra potere divino e poteri storico-mondani
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Durante la sua vita terrena, Maria non ebbe alcun potere visibile o appariscente, alcuna capacità di incidere direttamente, in un modo o nell’altro, su circostanze, eventi, situazioni umane di ingiustizia e sopraffazione, se non quello, molto significativo, di infondere nel cuore dei primi seguaci di Gesù fiducia, speranza, amore, gioia, nonostante le dure avversità e la persecuzione che essi dovettero subire e affrontare specialmente dopo la morte del divino Maestro. Ebbe solo un potere morale e spirituale su Gesù, quando gli chiese sommessamente, ottenendo, che una festa di nozze non fosse compromessa dalla mancanza di vino, oppure quando a Pentecoste, senza nulla chiedere in modo esplicito, su di lei, tempio per eccellenza dello Spirito Santo, e sugli apostoli raccolti in sua presenza, sarebbe disceso quest’ultimo in modo e con effetti prodigiosi. Per il resto, tutta la vita di Maria è quella di una donna senza potere, di una delle tante donne spesso in balìa di un potere ingiusto, malvagio, crudele, o, nel migliore dei casi, del tutto indifferente al destino, e persino alle più piccole necessità esistenziali, di uomini e donne. Continua a leggere
Pensiero della settimana
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Sono pochi o molti quelli che si salvano? Sono moltitudini tutto sommato abbastanza esigue di persone oppure masse sterminate di esseri umani a salvarsi? Questa domanda viene posta al Signore non da un sacerdote del Tempio, non da un dottore della Legge, né da farisei o sadducei, ma da un individuo anonimo, da un tizio qualunque. Non capisco perché qualche nostro sacerdote contemporaneo avverte talvolta il bisogno, nel corso delle sue omelie, di chiosare come Gesù non risponderebbe direttamente a tale domanda, ritenendola mal posta, ma solo in modo indiretto, a voler sottolineare che la domanda giusta da porre sarebbe stata piuttosto un’altra: mi salverò io? Perché, spiegano alcuni presbiteri, invece di pensare alla salvezza altrui è necessario pensare alla propria salvezza. Ma, in realtà, il testo di Lc 13, 22-30, non induce affatto a pensare che l’autore di quella domanda, nel formularla, non abbia inteso includere in essa anche se stesso e il suo destino ultraterreno. Anzi, prevedendo come scontata la risposta di Gesù a una domanda troppo personale, egli evita di rivolgergliela, optando per una domanda di carattere generale e di evidente importanza teologica. Cosa avrebbe potuto rispondere il Maestro a chi gli avesse chiesto: “Signore, io mi salverò, potrò salvarmi io?”, se non che, riproponendo la spiegazione data a uno scriba in una diversa occasione, si sarebbe salvato se avesse agito e vissuto secondo i divini comandamenti, amando Dio e il suo stesso prossimo (Mc 12, 28-34)? D’altra parte, Gesù non rimprovera, sia pure bonariamente, il suo interlocutore, e non lo redarguisce perché considera corretta e sensata la sua domanda, tanto da limitarsi a rispondere con grave serietà che, per conseguire la salvezza, tutti, senza distinzioni di sorta, si sarebbero dovuti sforzare «di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno». Continua a leggere
Maria tra umanità, filosofia, teologia
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Per quanto stupita e commossa, Maria non dubita né dell’apparizione angelica né del pur breve ma significativo colloquio avuto con l’inviato di Dio. Non pensa di essersi sbagliata, di essere rimasta vittima di un’allucinazione o di un qualche inganno della mente, semplicemente perché, anche ben supportata da una rigorosa formazione biblica, la sua mente era sempre stata aperta alla possibilità di esperienze sovrannaturali nel quadro della ordinaria realtà umana. Naturalmente, tali esperienze possono essere ammesse e riconosciute oppure negate e misconosciute, ma esse, pur rivestendo una valenza eminentemente soggettiva e personale, non possono essere negate aprioristicamente né ridotte a fantasmi di una attività mentale patologica o iperattiva. Da un punto di vista credente, tali esperienze sono parte costitutiva e integrante di quel problema o di quella ricerca di Dio che rappresenta senza alcun dubbio la questione più antica, più urgente e impegnativa della storia dell’umanità, anche se molti continuano a ritenerla, con argomenti in vero alquanto generici e speciosi, questione fittizia e del tutto ininfluente sulla vita delle persone e sulla storia dei popoli. A dire il vero, anche nelle comunità cristiane e cattoliche di ogni tempo e soprattutto del tempo corrente, non sono mai mancate e non mancano forme pregiudiziali e aperte di diffidenza, se non di ermetica chiusura, verso tutto ciò che abbia a che fare presuntivamente con manifestazioni del divino concretamente esperite o esperibili. Ma, pur ritenendo doverosa e necessaria ogni cautela nel valutare qualunque fenomeno che non appaia facilmente inquadrabile nel normale ordine degli accadimenti umani, il credente non ingenuo e non superficiale resta convinto che, se “nulla è impossibile a Dio”, sia per via di fede che di ragione non possa apparire certo inammissibile che il potere divino possa manifestarsi in diversi modi anche in ambito profano. Ed è dunque in questa ottica che, secondo una metodologia idealtipica weberiana, si verrà qui sviluppando il ragionamento. Continua a leggere
Pensiero della settimana
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Gesù non è venuto a gettare acqua sulla terra, sulle molteplici situazioni di tensione in essa esistenti, né è venuto a legittimare l’atteggiamento morale e spirituale di un’umanità che non vorrebbe mai trovarsi impelagata o coinvolta in conflitti di nessun genere, in incomprensioni e contrasti di varia natura, in guerre sanguinose e devastanti. E’ venuto a portare il fuoco, non il fuoco della violenza belluina e irrazionale ma il fuoco dell’amore che è tutt’uno con il fuoco della verità e della giustizia divine, il fuoco divorante della passione per il Signore e, di conseguenza, per l’umanità. Vorrebbe Gesù che questo fuoco fosse già acceso nel mondo ma sa che toccherà a lui, con il suo battesimo di sangue, assumersi la salvifica ma dolorosa responsabilità di farlo divampare nello spirito umano. Il fuoco di cui parla Gesù non è quello di un amore zuccheroso, dolciastro, melenso o tiepido, moralistico o paternalistico, che tranquillizzi o accontenti sempre tutti, che alimenti il quietismo della coscienza e dell’agire, che non turbi mai nessuno o che, al contrario, colpevolizzi tutti indistintamente proprio per depotenziare la capacità di discernimento e di giudizio del credente; non è la calma piatta di uno specchio di mare in cui ci si possa immergere per ristorare piacevolmente l’anima e il corpo. Insomma, non è il fuoco di una vita disimpegnata, ben educata e fondata sul buon senso e sulle buone maniere ma passiva e silente dinanzi alle falsità e alle ingiustizie di cui è piena la nostra quotidianità, non è certamente il fuoco di una vita spesa nella continua ricerca di compromessi meschini o miserabili: questo fuoco, che è quello che si pretenderebbe di accendere solo con vane parole e chiacchiere mielose anche nelle comunità cristiane e cattoliche, è e sarebbe talmente flebile, come di fatto non di rado accade, da essere destinato a spegnersi subito dopo la sua accensione. Continua a leggere
Pensiero della settimana
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Gesù mostra di pensare alla sua Chiesa non come ad un’istituzione votata a riscuotere grandi consensi e memorabili successi sul piano storico-mondano, ma come ad una comunità spirituale e religiosa votata molto più a testimoniare e a vivere fedelmente la Parola di Dio in un mondo segnato dal peccato, dal disordine e dalla corruzione della natura umana che non ad espandere e a potenziare a tutti i costi le sue strutture esteriori, la sua organizzazione materiale, la sua visibilità istituzionale. Egli, infatti, chiama la comunità dei suoi discepoli “piccolo gregge”, proprio per evidenziarne l’irrilevanza numerica e storica, esortandola tuttavia a “non temere”, dal momento che il Regno di Dio predilige le cose piccole, le realtà umili, gli uomini semplici e non desiderosi di contare, di avere importanza, autorità o prestigio, di arricchirsi secondo le più accreditate categorie del mondo, ma secondo le misconosciute e molto meno affermate categorie di Dio. Si legge, infatti, in Lc 12, 32-35: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore». Chi ama il mondo che c’è non può che assecondarne le logiche di potere, di ricchezza, di successo, spesso coincidenti con quelle dell’oppressione, dello sfruttamento, del culto di sé e della più sfrenata competizione, mentre chi ama il mondo che verrà non può che armarsi di sincero e costruttivo spirito di servizio e di fedeltà, nella preghiera e nell’attesa, a Colui che salva: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito» (Lc 12, 35-36). Continua a leggere
Un ritratto di Maria nel pensatore ortodosso russo Pavel Aleksandrovič Florenskij
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Per Pavel Florenskij, la Madre di Dio era la cosa più bella del creato, la cosa più gloriosa del mondo, il fiore più bello e delicato di tutta la terra, in altre parole il più grande capolavoro di Dio. Se è vero, infatti, che l’incarnazione, il sacrificio salvifico e la risurrezione di Cristo, è esclusiva e straordinaria opera divina, non meno rilevante è la funzione centrale che ella sarebbe venuta assumendo e assolvendo nel quadro dell’universale processo redentivo del genere umano. Erano stati due esseri umani a rompere l’equilibrio su cui si fondava la Creazione, e due persone, una di natura teandrica ovvero il Cristo, l’altra di natura interamente umana ovvero Maria, sarebbero stati chiamati a ricomporre quell’originario dissidio e a cooperare al ripristino della coabitazione dell’umano con il divino non in un regno di peccato e di morte ma in un regno di santità e di vita eterna. Continua a leggere
Sulla trionfale riabilitazione richiesta per l’ex frate Fedele Bisceglia
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Apprendo dal giornale locale on line “QuiCosenza” che, nei primi giorni di agosto 2025, il sindaco di Cosenza Franz Caruso, a suo tempo avvocato difensore del religioso Fedele Bisceglia di Acri, avrebbe tessuto un pubblico elogio di quest’ultimo, definendolo “grande uomo di fede e di verità”, uomo «amato da tutti. In lui abbiamo sempre riconosciuto un uomo di altissima fede vissuta con sincerità e spontaneità per le strade della città, nei suoi vicoli più nascosti dove andava a portare la misericordia di Dio ed aiuti concreti, e sugli spalti dei campi di calcio dove tifava per i nostri colori rossoblù, rappresentando i valori della cosentinità, quella genuina, fatta di verità, di inquietudine ed anche di qualche intemperanza … Il suo percorso di uomo e di fede riemerge oggi prepotentemente, nel momento più triste della sua sofferenza fisica, come ricordo indelebile nei cuori e nelle menti della sua gente. Sono questi i sentimenti che ho voluto trasmettergli per dare il giusto e meritato conforto e sollievo al suo animo, nobile e bello, che è sempre rimasto stracolmo di fede e devozione. Il mio abbraccio a Padre Fedele è l’abbraccio di Cosenza che gli resta vicina invitandolo a continuare a lottare per come ha sempre fatto». Continua a leggere
Pensiero della settimana
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Gesù non ha insegnato ai suoi seguaci un modo sicuro, un metodo infallibile con cui fosse possibile costruire nel mondo una società caritatevole, solidale ed egualitaria, fraternamente giusta e rispettosa della libertà di ogni persona. Non ha insegnato questo perché sapeva che, così come il suo regno non era di questo mondo, anche libertà, eguaglianza, giustizia non potessero essere di questo mondo se non, contrariamente ai solenni ed ipocriti proclami dei rivoluzionari veri o finti di ogni epoca, in forme e modi sommamente imperfetti. Gesù non entra mai nel merito di questioni specifiche, per esempio di natura ereditaria, o specificamente economica e finanziaria, o ancora politico-istituzionale, e via dicendo, ma è molto preciso circa i criteri morali e spirituali che devono presiedere al comportamento dei singoli e al loro modo di agire verso gli altri e verso Dio. Perciò, certi slogan accattivanti che andavano molto di moda negli anni sessanta, secondo cui Gesù sarebbe stato il primo socialista o il primo rivoluzionario della storia e sarebbe stato una volta per tutte, in senso sociologico, dalla parte dei poveri e contro i ricchi, devono essere considerati per quel che furono e sono, ovvero, termini e frasi adoperati in modo del tutto strumentale e ideologico. Continua a leggere