Sarò giudicato presuntuoso naturalmente, ma, come studioso cattolico, penso di aver dedicato al pensiero marxiano e a parte consistente del marxismo italiano della prima metà del ‘900, e in parte anche della seconda metà di questo secolo, grande attenzione critica e morale e una serie di studi efficacemente volti ad enucleare alcuni dei nuclei tematici fondanti della riflessione teorica ed etico-politica della sinistra italiana novecentesca. Pertanto, se oggi affermo che, almeno in questo momento storico, una sinistra minimamente degna di quella tradizione e di quella storia di fede ideale e lotta politica, non solo non esiste ma sembra sussistere nominalmente solo quale deturpazione programmatica di un intero patrimonio storico-teorico di idee e valori centrali nel quadro del processo di ricostruzione postfascista dello Stato nazionale, si può sperare che tale posizione non solo sia ritenuta legittima ma anche e soprattutto attendibile. Una sinistra che ha finito per affidarsi a certa Elly Schlein, cui fa difetto persino un linguaggio appropriato e sufficientemente comunicativo, e che si è ridotta a fare la ruota di scorta di formazioni politiche parassitarie e prive di reale e stabile rappresentanza popolare sul piano etico-politico, non può che costituire un intralcio e un danno molto seri allo svolgimento della vita democratica del nostro paese. Continua a leggere
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Pensiero della settimana
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Gesù chiama “figli di questo mondo” le persone interessate esclusivamente ai beni e ai vantaggi materiali e temporali del mondo. Pur di perseguire il loro utile, di accrescere il loro profitto, di perseguire le proprie sicurezza e prosperità personali, sono pronti a fare qualunque cosa, a ricorrere a qualsiasi trucco o raggiro, pur di ottenere quel di cui necessitano e di poter disporre di mezzi economici e di buone relazioni interpersonali sufficienti a garantire loro una condizione di vita comoda e tranquilla anche nei momenti di grave difficoltà o di improvvisa sventura. Queste persone non si scoraggiano mai, non cedono alla tentazione di mollare tutto quando, per errori o torti da esse commessi, rischiano realmente di essere travolti. Sono persone reattive, che continuano a lottare, con tenacia, con furbizia, magari anche con mezzi illeciti, pur di perseguire i loro obiettivi e di non rinunciare ai loro interessi. Possono anche cadere in disgrazia, ma non subiscono passivamente la sconfitta, la punizione, il disonore: si danno da fare per riemergere, per riabilitarsi o, almeno, per riguadagnare la propria dignità. Anche se si danno da fare solo per il loro tornaconto e non certo per ragioni morali, per nobiltà d’animo, per volontà di riscatto morale, in un certo senso sono degni di ammirazione, per il semplice fatto che non si danno per vinti neppure nelle più sofferte o cocenti esperienze di vita. E, inoltre, pur se in funzione di fini personali, possono anche rendersi utili agli altri, procurarsi delle amicizie, e persino legami affettivi e di stima molto solidi. Sebbene in modo disonesto, in sostanza, possono essere capaci di fare del bene. Restano, tuttavia, “figli di questo mondo”, incapaci di lottare ed essere resilienti in una prospettiva diversa da quella puramente terrena di una vita senza valori, senza scopi etici e spirituali, senza senso perché completamente immanente e priva di qualsiasi orizzonte di trascendenza e di qualsiasi speranza di vita ultramondana. Continua a leggere
Pensiero della settimana
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Dio dette a Mosè il potere di guarire le tribù di Israele e, in senso traslato, le nazioni, che erano state morse da serpenti velenosi per i peccati da esse commessi contro Dio, se avessero guardato in alto verso il serpente di bronzo, simbolo del loro peccato e della loro punizione e, al tempo stesso, della loro guarigione prodotta dal loro pentimento, simbolo ma non fonte o causa della loro guarigione. Allo stesso modo, chiunque avesse guardato verso l’immagine del Cristo appeso ad una croce, riconoscendo il valore salvifico del suo sacrificio, sarebbe stato salvato da morte eterna. In entrambi i casi, il potere di salvare dalla morte è quello di Dio. Solo il credere nell’amore infinito di Dio e il ravvedimento interiore per le colpe acquisite nel corso della vita terrena può procurare agli esseri umani la risurrezione da morte e la vita eterna. Pensare che Dio possa giungere ad offrire in espiazione del peccato del mondo il proprio Figlio, ovvero persino una parte così intima e costitutiva della sua stessa identita’ ontologica, pur di salvare la sua creazione e, in particolare, le sue creature, è qualcosa di sconvolgente e inaudito, se si pensa che un essere umano sarebbe capace di immolarsi al massimo per una persona o una comunità particolarmente cara o per una causa umana, sociale, politica o religiosa di elevato valore morale e civile, sia in tempo di pace che in tempo di guerra. Continua a leggere
Maria, la Madre partigiana
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Quando si viene trattando di un personaggio della santa storia cristiana come Maria di Nazaret, uno dei rischi che si vengono correndo è di far prevalere lo slancio lirico sull’approccio realistico, ma, in realtà, anche il più realistico degli approcci interpretativi non può evitare di rappresentare Maria come donna grandissima non già al di là delle normali e faticose vicende della quotidianità ma proprio in mezzo ad esse e alla luce di esse. Diceva bene don Tonino Bello, nel suo libro Maria donna dei nostri giorni, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1993, 2001, quando descriveva Maria quale donna feriale e donna senza retorica, quale donna feriale in quanto molto più importante nella sua casa di Nazareth, tutta affaccendata in lavori domestici ripetitivi e logoranti, e capace di piangere e gioire, di rendersi utile a familiari e conoscenti e pregare, di subire i contraccolpi di situazioni dolorose senza tuttavia mai drammatizzare e mostrandosi sempre propositiva, che non come oggetto di trattazione biblico-patristica, di venerazione dogmatica e liturgica, di ammirazione artistica. Maria deve essere celebrata come una grande donna del popolo di Dio prima e oltre che come personaggio-chiave della storia eterna di Dio, come una donna che mai avrebbe amato la retorica, neppure di fronte al suo Dio. Dio le avrebbe affidato il compito enorme di dare inizio alla storia della salvezza e, per tutta la sua vita terrena, non avrebbe fatto altro che magnificarne l’onnipotenza, e quindi anche la misericordia e la giustizia infinite, senza darsi arie da prima donna ma pregando costantemente a favore dei semplici, degli umili, degli oppressi e dei perseguitati, e condividendo con persone comuni, nella gioia o nel dolore, i suoi stati d’animo e la sua umanità, per cui, se è certamente vero che grandi cose avrebbe fatto in lei l’Onnipotente, altrettanto vero è che ella, presumibilmente non solo da un punto di vista umano ma anche nell’ottica divina, ne sarebbe stata degna anche facendole valere al meglio nei suoi rapporti con gli altri. Continua a leggere
Pensiero della settimana
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Gesù, quando si tratta di indicare le diverse situazioni di vita che, a seconda di come vengano affrontate, possono immettere nella via della salvezza o allontanare pericolosamente da essa, è molto esigente, anzi radicale: d’altra parte, sarebbe difficile pensare che il Dio della vita, della morte e della risurrezione per una vita eterna, possa essere tollerante secondo le modalità generalmente banali in cui la tolleranza viene concepita ed esercitata dagli esseri umani. Gesù dice chiaramente o allusivamente di non poter essere amato né come fenomeno da baraccone, né come taumaturgo, né come liberatore da disgrazie e mali terreni, né come conduttore di popoli, né come Dio da potersi adorare solo con le buone intenzioni e con parole insincere o ambigue. Chi ama Cristo, lo deve mettere al primo posto, non solo con dichiarazioni di principio ma con scelte o atti impegnativi e spesso costosi, nella gerarchia degli affetti e dei beni materiali: e quindi rispetto a genitori, figli, fratelli e sorelle, persino rispetto alla propria vita, cioè alla propria libertà di condurre una vita normale, senza preoccupazioni di ordine spirituale particolarmente assillanti e senza comportamenti esposti costantemente e deontologicamente al rischio di produrre situazioni conflittuali oltre che amorevolmente esercitati per il bene e la serenità delle anime e del popolo di Dio. In questo senso, quanti ministri ordinati di rito latino avvertono ormai drammaticamente il problema di staccarsi da affetti familiari e beni finanziari per servire al meglio la Chiesa di Cristo? Non c’è dubbio che siano sempre di meno. Continua a leggere
Pensiero della settimana
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Generalmente, i primi posti di una festa di nozze o di un luogo in cui si celebri o si commemori una ricorrenza, un evento, un’impresa civile o culturale di particolare valore, di un teatro, di una chiesa o di uno stadio, in cui abbia luogo una data rappresentazione artistica, una cerimonia religiosa o una manifestazione sportiva, sono già prenotati per gli abbonati o per personalità e soggetti di alto o medio rilievo istituzionale. Ma può sempre capitare che alcuni, sbadatamente o facendo finta di non capire, tentino di aggirare le regole o, se si vuole, le convenzioni, e occupino, con maggiore o minore disinvoltura, il posto ad altri riservato. Questo atteggiamento corrisponde ad una ricerca di comodità, di visibilità, ad un desiderio più o meno inconscio di emergere o primeggiare, indipendentemente dal fatto che coloro per i quali i posti sono prenotati o riservati siano migliori o peggiori di chi vorrebbe occuparli. Per molti di noi, è come se stare davanti, occupare i posti migliori o più prossimi a personaggi noti, famosi o comunque socialmente e mediaticamente apprezzati, equivalesse automaticamente ad acquistare maggiore valore, ad essere più di quello che realmente si è, senza peraltro rendersi conto che in realtà, a dispetto delle apparenze, delle convenzioni sociali, della qualità professionali, dei ruoli sociali o dei titoli di merito vantati da coloro nei cui pressi si vorrebbe apparire o presenziare, quest’ultimi non siano poi dotati di qualità così eccelse da giustificare la nostra ansia di figurare in prossimità dello spazio da essi occupato. Continua a leggere
Maria tra potere divino e poteri storico-mondani
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Durante la sua vita terrena, Maria non ebbe alcun potere visibile o appariscente, alcuna capacità di incidere direttamente, in un modo o nell’altro, su circostanze, eventi, situazioni umane di ingiustizia e sopraffazione, se non quello, molto significativo, di infondere nel cuore dei primi seguaci di Gesù fiducia, speranza, amore, gioia, nonostante le dure avversità e la persecuzione che essi dovettero subire e affrontare specialmente dopo la morte del divino Maestro. Ebbe solo un potere morale e spirituale su Gesù, quando gli chiese sommessamente, ottenendo, che una festa di nozze non fosse compromessa dalla mancanza di vino, oppure quando a Pentecoste, senza nulla chiedere in modo esplicito, su di lei, tempio per eccellenza dello Spirito Santo, e sugli apostoli raccolti in sua presenza, sarebbe disceso quest’ultimo in modo e con effetti prodigiosi. Per il resto, tutta la vita di Maria è quella di una donna senza potere, di una delle tante donne spesso in balìa di un potere ingiusto, malvagio, crudele, o, nel migliore dei casi, del tutto indifferente al destino, e persino alle più piccole necessità esistenziali, di uomini e donne. Continua a leggere
Pensiero della settimana
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Sono pochi o molti quelli che si salvano? Sono moltitudini tutto sommato abbastanza esigue di persone oppure masse sterminate di esseri umani a salvarsi? Questa domanda viene posta al Signore non da un sacerdote del Tempio, non da un dottore della Legge, né da farisei o sadducei, ma da un individuo anonimo, da un tizio qualunque. Non capisco perché qualche nostro sacerdote contemporaneo avverte talvolta il bisogno, nel corso delle sue omelie, di chiosare come Gesù non risponderebbe direttamente a tale domanda, ritenendola mal posta, ma solo in modo indiretto, a voler sottolineare che la domanda giusta da porre sarebbe stata piuttosto un’altra: mi salverò io? Perché, spiegano alcuni presbiteri, invece di pensare alla salvezza altrui è necessario pensare alla propria salvezza. Ma, in realtà, il testo di Lc 13, 22-30, non induce affatto a pensare che l’autore di quella domanda, nel formularla, non abbia inteso includere in essa anche se stesso e il suo destino ultraterreno. Anzi, prevedendo come scontata la risposta di Gesù a una domanda troppo personale, egli evita di rivolgergliela, optando per una domanda di carattere generale e di evidente importanza teologica. Cosa avrebbe potuto rispondere il Maestro a chi gli avesse chiesto: “Signore, io mi salverò, potrò salvarmi io?”, se non che, riproponendo la spiegazione data a uno scriba in una diversa occasione, si sarebbe salvato se avesse agito e vissuto secondo i divini comandamenti, amando Dio e il suo stesso prossimo (Mc 12, 28-34)? D’altra parte, Gesù non rimprovera, sia pure bonariamente, il suo interlocutore, e non lo redarguisce perché considera corretta e sensata la sua domanda, tanto da limitarsi a rispondere con grave serietà che, per conseguire la salvezza, tutti, senza distinzioni di sorta, si sarebbero dovuti sforzare «di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno». Continua a leggere
Maria tra umanità, filosofia, teologia
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Per quanto stupita e commossa, Maria non dubita né dell’apparizione angelica né del pur breve ma significativo colloquio avuto con l’inviato di Dio. Non pensa di essersi sbagliata, di essere rimasta vittima di un’allucinazione o di un qualche inganno della mente, semplicemente perché, anche ben supportata da una rigorosa formazione biblica, la sua mente era sempre stata aperta alla possibilità di esperienze sovrannaturali nel quadro della ordinaria realtà umana. Naturalmente, tali esperienze possono essere ammesse e riconosciute oppure negate e misconosciute, ma esse, pur rivestendo una valenza eminentemente soggettiva e personale, non possono essere negate aprioristicamente né ridotte a fantasmi di una attività mentale patologica o iperattiva. Da un punto di vista credente, tali esperienze sono parte costitutiva e integrante di quel problema o di quella ricerca di Dio che rappresenta senza alcun dubbio la questione più antica, più urgente e impegnativa della storia dell’umanità, anche se molti continuano a ritenerla, con argomenti in vero alquanto generici e speciosi, questione fittizia e del tutto ininfluente sulla vita delle persone e sulla storia dei popoli. A dire il vero, anche nelle comunità cristiane e cattoliche di ogni tempo e soprattutto del tempo corrente, non sono mai mancate e non mancano forme pregiudiziali e aperte di diffidenza, se non di ermetica chiusura, verso tutto ciò che abbia a che fare presuntivamente con manifestazioni del divino concretamente esperite o esperibili. Ma, pur ritenendo doverosa e necessaria ogni cautela nel valutare qualunque fenomeno che non appaia facilmente inquadrabile nel normale ordine degli accadimenti umani, il credente non ingenuo e non superficiale resta convinto che, se “nulla è impossibile a Dio”, sia per via di fede che di ragione non possa apparire certo inammissibile che il potere divino possa manifestarsi in diversi modi anche in ambito profano. Ed è dunque in questa ottica che, secondo una metodologia idealtipica weberiana, si verrà qui sviluppando il ragionamento. Continua a leggere
Pensiero della settimana
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Gesù non è venuto a gettare acqua sulla terra, sulle molteplici situazioni di tensione in essa esistenti, né è venuto a legittimare l’atteggiamento morale e spirituale di un’umanità che non vorrebbe mai trovarsi impelagata o coinvolta in conflitti di nessun genere, in incomprensioni e contrasti di varia natura, in guerre sanguinose e devastanti. E’ venuto a portare il fuoco, non il fuoco della violenza belluina e irrazionale ma il fuoco dell’amore che è tutt’uno con il fuoco della verità e della giustizia divine, il fuoco divorante della passione per il Signore e, di conseguenza, per l’umanità. Vorrebbe Gesù che questo fuoco fosse già acceso nel mondo ma sa che toccherà a lui, con il suo battesimo di sangue, assumersi la salvifica ma dolorosa responsabilità di farlo divampare nello spirito umano. Il fuoco di cui parla Gesù non è quello di un amore zuccheroso, dolciastro, melenso o tiepido, moralistico o paternalistico, che tranquillizzi o accontenti sempre tutti, che alimenti il quietismo della coscienza e dell’agire, che non turbi mai nessuno o che, al contrario, colpevolizzi tutti indistintamente proprio per depotenziare la capacità di discernimento e di giudizio del credente; non è la calma piatta di uno specchio di mare in cui ci si possa immergere per ristorare piacevolmente l’anima e il corpo. Insomma, non è il fuoco di una vita disimpegnata, ben educata e fondata sul buon senso e sulle buone maniere ma passiva e silente dinanzi alle falsità e alle ingiustizie di cui è piena la nostra quotidianità, non è certamente il fuoco di una vita spesa nella continua ricerca di compromessi meschini o miserabili: questo fuoco, che è quello che si pretenderebbe di accendere solo con vane parole e chiacchiere mielose anche nelle comunità cristiane e cattoliche, è e sarebbe talmente flebile, come di fatto non di rado accade, da essere destinato a spegnersi subito dopo la sua accensione. Continua a leggere