Gli uomini vanno sempre in cerca di certezze, di cose o beni solidi, duraturi, tranquillizzanti: un tempio maestoso, come una bella casa, una macchina potente, una carriera sicura o un cospicuo conto in banca, sono cose degne di essere ammirate, vengono percepite come fattori rassicuranti di vita e inducono a credere che da essi dipenda tutta la nostra esistenza. Ma, avverte Gesù, «verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta» (Lc 21, 5-6). Verranno giorni, verrà un tempo: l’avvertimento di Gesù è di carattere escatologico, riguarda cioè gli “ultimi tempi” oppure un tempo indefinito, un tempo imprecisato che potrebbe coincidere anche e persino con il nostro presente? Quando parla di quel che può accadere nella vita e nella storia del mondo, Gesù intende riferirsi contemporaneamente sia alle possibilità imprevedibili e sempre incombenti sul nostro presente, sul qui ed ora, sia a quel che potrà accadere e accadrà in un futuro non necessariamente prossimo ma remoto, a quel futuro che si presume lontano ma che in realtà potrebbe essere assai imminente e che viene identificato con la fine del mondo. Ecco: verranno giorni, spiega profeticamente Gesù, in cui il tempio architettonicamente più imponente, l’edificio o l’appartamento più solido, la posizione sociale ed economica apparentemente più inattaccabile, la fama o la celebrità stabilmente acquisite, si riveleranno come realtà molto più precarie di quanto potesse sembrare. Tutto ciò che sembrava granitico e indistruttibile, un ottimo stato di salute, un immenso patrimonio, una immensa notorietà, possono di colpo svanire e gettare nello sgomento e nella disperazione quanti erano soliti pensare che il loro benessere, la loro quiete, la loro felicità, non potessero mai finire.
Ma in che modo, chiedono apprensivamente i discepoli, potremo accorgerci che le nostre abituali sicurezze sono sul punto di essere messe in discussione o di essere spazzate via? Forse l’insorgere di una guerra particolarmente estesa o pericolosa, un susseguirsi di fenomeni sismici ad alto rischio, una pandemia oltremodo diffusa o una prolungata e particolarmente difficile crisi economica: potranno essere questi alcuni eventi, alcuni segnali di imminenti o inevitabili sventure o catastrofi che potrebbero abbattersi anche sulle nostre vite personali, sui nostri beni, sui nostri affetti, sui nostri progetti? Sarà in quei casi che saremo portati a pensare che sia ormai prossima la fine del mondo, o almeno, se non per tutta l’umanità, la fine del mondo per noi o per molti di coloro che erano convinti di essere avvolti da un cordone esistenziale di sicurezza che li avrebbe preservati da qualunque male? Ma il Signore, pur non minimizzando la grave condizione spirituale di quanti fondano la loro vita e le loro speranze su false certezze e su credenze illusorie o idolatriche, rassicura in parte, pur continuando ad ammonire: si parlerà a sproposito di fine del mondo, sorgeranno falsi profeti che diffonderanno false profezie alimentando la credulità della gente, ma bisognerà diffidare da tutto questo, perché non sarà ancora la fine.
Non bisognerà lasciarsi prendere dalla paura, dal panico, dal terrore, perché persino gli avvenimenti più terribili e devastanti della storia umana non costituiranno il segnale della fine, visto che essi sono costitutivi della storia stessa dell’uomo, sono parte integrante della storia ferita e corrotta dell’uomo. Prima che agli sconvolgimenti esterni, ammonisce il Cristo, gli esseri umani dovranno prestare attenzione agli sconvolgimenti che potranno verificarsi e si verificheranno nella loro interiorità. Allora, la vera prigione, la vera persecuzione, la vera minaccia per noi non saranno esterne ma interne a noi stessi: come reagiremo, se reagiremo, quando verremo derisi per la nostra fede in un mondo ormai senza fede e senza Dio, quando saremo isolati persino tra i nostri familiari, i nostri parenti e conoscenti più prossimi, a causa della nostra fede in valori non negoziabili, quando saremo traditi persino dalle persone più fidate, solo a causa del nostro spirito di verità, di integrità, di onestà, pur non ritenendoci indenni da colpe e responsabilità? Cosa faremo in quei frangenti, cercheremo di giustificarci magari arrampicandoci sugli specchi, saremo elusivi, finiremo per ingannare noi stessi pur di non guastarcela con gli altri, o resteremo fedeli, più che in altre e più facili circostanze di vita, al Signore e ai suoi insegnamenti. Continuerà ad essere rocciosa la nostra fede o si trasformerà in uno stato spirituale molle e cedevole? Saranno quelle le circostanze in cui emergerà la vera tempra della nostra fede: quando, nonostante i nostri peccati e a causa del nostro retto modo di intendere la vita e i rapporti con gli altri, del nostro modo di concepire la dignità umana, del nostro modo di rendere esplicita e operante la nostra stessa fede religiosa, conscia o inconscia che sia, potremo anche rischiare di perdere il lavoro o la reputazione o persino la vita, di rinunciare a una carriera prestigiosa, di inimicarci interi gruppi di persone, senza tuttavia indietreggiare, senza rinnegare la nostra fede, senza tradire il grande e unico Maestro della nostra esistenza terrena.
Diceva San Giovanni Crisostomo, «Dio permette le prove non per punirci, ma per fortificarci, come il fabbro che mette il ferro nel fuoco per renderlo più resistente». È nel momento della prova che è possibile verificare se la fede sia reale o sia solo una bella facciata. Il Signore ci rassicura ancora una volta: «con la vostra perseveranza salverete la vostra vita» (Lc 21, 15-19), perché su di noi, singoli individui, come su tutti coloro che confideranno fino alla fine nella Parola di Dio, il male non potrà avere l’ultima parola. Ancora una volta ci sia d’esempio Maria, donna della perseveranza salvifica: sotto la croce, persino il tempio più potente e glorioso dell’universo, cioè il corpo di suo Figlio, veniva distrutto “pietra su pietra”. I falsi profeti, in quel frangente, urlano a dimostrazione di quella che essi ritenevano fosse la falsa divinità del Cristo, e i discepoli fuggivano impauriti o terrorizzati dalla inevitabile persecuzione che si sarebbe abbattuta anche su di loro. Tutto sembrava finito, ma Maria rimase lì. Non capiva tutto, ma rimase lì, ferma, fedele, forte nell’amore per il suo Dio, perseverando nel dolore e nella fede. Ancora oggi, a lei, la più fedele delle vergini di Dio, non possiamo che chiedere la grazia non già di non avere problemi, ma di avere un cuore perseverante, capace di rimanere con Gesù anche quando tutto sembri crollare, anche quando i nostri stessi peccati e le nostre infedeltà sembrino porsi come macigni sulle nostre pur persistenti speranze di salvezza. Così, solo così, costruiremo la nostra vita non sulla sabbia di false aspettative, ma sulla roccia viva che è Cristo.
Francesco di Maria