Gesù non è venuto a gettare acqua sulla terra, sulle molteplici situazioni di tensione in essa esistenti, né è venuto a legittimare l’atteggiamento morale e spirituale di un’umanità che non vorrebbe mai trovarsi impelagata o coinvolta in conflitti di nessun genere, in incomprensioni e contrasti di varia natura, in guerre sanguinose e devastanti. E’ venuto a portare il fuoco, non il fuoco della violenza belluina e irrazionale ma il fuoco dell’amore che è tutt’uno con il fuoco della verità e della giustizia divine, il fuoco divorante della passione per il Signore e, di conseguenza, per l’umanità. Vorrebbe Gesù che questo fuoco fosse già acceso nel mondo ma sa che toccherà a lui, con il suo battesimo di sangue, assumersi la salvifica ma dolorosa responsabilità di farlo divampare nello spirito umano. Il fuoco di cui parla Gesù non è quello di un amore zuccheroso, dolciastro, melenso o tiepido, moralistico o paternalistico, che tranquillizzi o accontenti sempre tutti, che alimenti il quietismo della coscienza e dell’agire, che non turbi mai nessuno o che, al contrario, colpevolizzi tutti indistintamente proprio per depotenziare la capacità di discernimento e di giudizio del credente; non è la calma piatta di uno specchio di mare in cui ci si possa immergere per ristorare piacevolmente l’anima e il corpo. Insomma, non è il fuoco di una vita disimpegnata, ben educata e fondata sul buon senso e sulle buone maniere ma passiva e silente dinanzi alle falsità e alle ingiustizie di cui è piena la nostra quotidianità, non è certamente il fuoco di una vita spesa nella continua ricerca di compromessi meschini o miserabili: questo fuoco, che è quello che si pretenderebbe di accendere solo con vane parole e chiacchiere mielose anche nelle comunità cristiane e cattoliche, è e sarebbe talmente flebile, come di fatto non di rado accade, da essere destinato a spegnersi subito dopo la sua accensione.
Il fuoco di Gesù è di ben altra natura: è il fuoco luminoso e potente della Parola di Dio, che, ove non produca conflitto, contraddizione, e quindi inquietudine e messa in discussione di determinate posizioni di pensiero e di conformistici modelli di comportamento e di azione, anche nella propria comunità religiosa di appartenenza, viene svuotata del suo senso profetico e soteriologico e ridotta a semplice caricatura o a grottesca rappresentazione dello Spirito Santo e della divina volontà. Il fuoco evangelico è sinonimo di lotta, di divisione, non di pace, di sale e non di miele, è sinonimo di pace ma solo attraverso la spada, la divisione, il conflitto, non a prescindere da essi, perché il testimoniare la Parola di Dio rende nemici del buonismo spirituale, dell’ipocrisia intellettuale, morale e religiosa con cui anche certi rappresentanti del sacro vorrebbero trasformarla in una specie di farmaco oppiaceo volto ad attenuare o a spegnere del tutto la doverosa consapevolezza che il male vada affrontato non ignorato, che l’errore vada combattuto non tollerato, che anche l’errante vada, se necessario, redarguito, ammonito o istruito, non compreso e giustificato in modo indiscriminato.
Se a determinare incomprensioni o divisioni, contrasti o conflitti, tra le persone, nelle famiglie, nelle comunità locali o ecclesiali, nella società o nel mondo intero, è la proclamazione, la pratica e umile ma coraggiosa testimonianza della Parola di Dio nella sua veridicità e nella sua santità originali, è l’annuncio evangelico non manipolato o frainteso ma rettamente inteso e devotamente applicato, il cristiano non può temere di andare incontro all’odio o all’avversione, o più semplicemente alla critica di preti ormai avvezzi a stili religiosi di vita inattendibili e dozzinali, o di tanti fedeli benpensanti o palesemente ignari della vacuità e inutilità della loro fede. E’ il vangelo che porta in sé una carica di violenza, di violenza subìta però, per amore della verità e fedeltà al vangelo stesso.
Se anche queste affermazioni dovessero essere interpretate come una manifestazione di superbia e ingiustificata durezza, lo scrivente non potrà che pregare incessantemente il Signore di fargli comprendere i suoi eventuali errori oppure di dargli la forza necessaria a patire forme di ostracismo spirituale e di persecuzione sino alla fine dei suoi giorni, giacché se hanno perseguitato il Cristo, chi siamo noi per pensare di non dover essere perseguitati?
Francesco di Maria