Pensiero della settimana

Gesù non ha insegnato ai suoi seguaci un modo sicuro, un metodo infallibile con cui fosse possibile costruire nel mondo una società caritatevole, solidale ed egualitaria, fraternamente giusta e rispettosa della libertà di ogni persona. Non ha insegnato questo perché sapeva che, così come il suo regno non era di questo mondo, anche libertà, eguaglianza, giustizia non potessero essere di questo mondo se non, contrariamente ai solenni ed ipocriti proclami dei rivoluzionari veri o finti di ogni epoca, in forme e modi sommamente imperfetti. Gesù non entra mai nel merito di questioni specifiche, per esempio di natura ereditaria, o specificamente economica e finanziaria, o ancora politico-istituzionale, e via dicendo, ma è molto preciso circa i criteri morali e spirituali che devono presiedere al comportamento dei singoli e al loro modo di agire verso gli altri e verso Dio. Perciò, certi slogan accattivanti che andavano molto di moda negli anni sessanta, secondo cui Gesù sarebbe stato il primo socialista o il primo rivoluzionario della storia e sarebbe stato una volta per tutte, in senso sociologico, dalla parte dei poveri e contro i ricchi, devono essere considerati per quel che furono e sono, ovvero, termini e frasi adoperati in modo del tutto strumentale e ideologico.

E’ certamente vero che al giovane ricco che gli esprime il desiderio di seguirlo Gesù pone la condizione di dare tutte le sue ricchezze ai poveri, ai non abbienti, agli indigenti, ma è del tutto comprensibile che chi voglia arricchirsi di Cristo, addirittura affiancandolo fisicamente e condividendone difficoltà e privazioni, non possa che liberarsi caritatevolmente di tutti i suoi beni materiali: anche oggi sarebbe un controsenso evangelico che un cardinale, un vescovo, un parroco, un presbitero, vivessero comodamente tra agi e portafogli o casse piene di denaro da cui attingere liberamente per proprie necessità personali. Non è, quindi, quella di Gesù una critica alla ricchezza e al ricco: infatti, non gli dice “non ti voglio perché sei ricco” ma semplicemente “se vuoi seguirmi non hai più bisogno della tua ricchezza materiale, perché per chi voglia stare con me a stretto contatto di gomito io sono fonte di una ricchezza infinitamente superiore”; Gesù non critica né la ricchezza né il ricco pubblicano Zaccheo quando questi annuncia pubblicamente, al cospetto di Gesù, di voler fare ammenda della sua trascorsa avidità e insensibilità condividendo buona parte dei suoi averi con chiunque fosse stato precedentemente danneggiato dal suo comportamento immorale; né la ricchezza di colui che possieda raccolti abbondanti e grandi quantità di beni.

In quest’ultimo caso, Gesù definisce “stolto” questo ipotetico ricco agricoltore non per i beni che possiede ma per la sua ristrettezza mentale e spirituale, per il fatto che pensa ai suoi beni come a qualcosa di cui debba godere esclusivamente lui e nessun altro, come ad un fine assoluto radicato nel suo impenitente egocentrismo e non come ad un mezzo di benessere personale ma anche comunitario o collettivo. Gesù, ancora, non disdegna di essere sepolto nel sepolcro nuovo di zecca offerto per la sua sepoltura dal ricco membro del Sinedrio, Giuseppe d’Arimatea, tanto che né Maria, né l’apostolo Giovanni, né le poche donne presenti sotto la croce, avrebbero avuto alcunchè da ridire o da obiettare. Quindi, bisogna stare attenti a quel moralismo ipocrita e ricattatorio che affiora ancora oggi da certe prediche o omelie sul tema della ricchezza, fortemente condizionate da una certa, inammissibile contiguità dei loro autori rispetto a taluni diffusi e non innocenti pregiudizi popolari o rispetto a correnti o movimenti di opinione prevalentemente ideologici e politici. Si può aggiungere che parlare male della ricchezza e dei ricchi in quanto tali, specialmente nella società globalizzata, oggi, a differenza di altre epoche storiche, procura a chi, a diverso titolo, è impegnato in una pubblica attività di carattere culturale e politico o spirituale e religioso, molta maggiore visibilità mediatica di quella di cui può beneficiare chiunque provi a parlare bene prevalentemente della povertà evangelica, che corrisponde a forme di indigenza o di sobrietà materiale ma soprattutto a forme di povertà spirituale coincidenti con pratiche volte alla condivisione comunitaria di beni materiali e immateriali. 

Al di là di questo, il ricco proprietario di beni di cui parla Lc 12, 13-21, viene biasimato  perché non solo non mostra alcuna propensione a relazionarsi con gli altri, ad aprirsi alle necessità del suo prossimo bisognoso, ma non avverte neppure il bisogno di relazionarsi con Dio, quanto meno per invocarne il perdono, ritenendo che tutto quel che si può ottenere per la propria felicità riguardi esclusivamente questa vita terrena ma ignaro che il conto corrente su cui ognuno di noi dovrebbe investire i suoi risparmi o le sue ricchezze non è tanto quello terreno quanto soprattutto, anzi unicamente quello celeste. Tale atteggiamento di chiusura alla dimensione comunitaria o sociale non può lasciare peraltro indifferenti sotto il profilo civile e politico gli Stati che, avendo ricevuto da Dio l’autorità ad esercitare il potere per l’amministrazione della cosa pubblica, saranno altresì legittimati ad adottare leggi e provvedimenti finalizzati ad impedire che determinati interessi privati possano confliggere con il perseguimento del bene comune, e, più in generale, a garantire la sicurezza e il benessere dei propri amministrati. Sotto quest’ultimo aspetto, non è forse poco pertinente ricordare qui che quei vescovi cattolici nostrani che, nel nome del vangelo, pretendono oggi dallo Stato italiano un’accoglienza indiscriminata verso gli immigrati di tutte le parti del mondo, non solo prevaricano nei confronti dello Stato, della sua autonomia legislativa e del suo obbligo costituzionale di rispettare e garantire la sovranità popolare, ma vengono facendo soprattutto un uso manipolatorio della lettera e dello spirito evangelici, che non prevedono affatto che lo Stato debba essere dotato di risorse e capacità ricettive illimitate persino in relazione a fenomeni di portata epocale come quello migratorio.

La ricerca del protagonismo e della visibilità a tutti i costi non è molto diversa da una ricerca della ricchezza fine a se stessa, nè meno grave di una ricerca egocentrica o esasperata della ricchezza o del benessere materiale, anche se la prima venga esercitata illusoriamente nel nome di Dio e di uno specifico servizio ministeriale, mentre la seconda evidentemente non possa essere esercitata che in chiave manifestamente irreligiosa e antievangelica.  

Francesco di Maria

Lascia un commento