Pensiero della settimana

Chi è il Figlio dell’uomo, chi è colui che è nato da donna, da una donna di nome Maria? E’ la domanda che Gesù rivolge ai suoi discepoli. Questa espressione biblico-profetica, ricorrente molte volte nel libro di Ezechiele ma particolarmente significativa nel libro di Daniele, nella cultura religiosa del popolo d’Israele, denotava una figura messianica, un essere umano designato da Dio quale salvatore del popolo bisognoso di riconciliarsi e rinnovare la sua alleanza con l’Altissimo e quindi la stessa vita personale dei suoi membri. In sostanza, il Figlio dell’uomo era un inviato da Dio per liberare il popolo da situazioni particolarmente complicate e tortuose e, tuttavia, un inviato dalla natura umana e non divina, benché a Dio molto vicino e da Dio molto amato. E’ molto probabile che, nel fare quella domanda, il Signore avesse in mente principalmente la descrizione che di tale figura messianica aveva dato il profeta Daniele: «Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (Dn 7, 13-14).

Ora, però, la natura di questa figura, pur nella sua profonda misteriosità, non veniva precisata in modo chiaro e inequivoco. Oggi, noi sappiamo che essa preannunciava profeticamente l’avvento di Cristo in terra, ma allora i dottori della Legge, i sapienti dell’epoca, si affannavano a capire come potesse essere meglio identificata per evitare che il messia, l’unto di Dio, potesse essere confuso con qualche impostore. Ecco perché Gesù domanda ai discepoli cosa ne pensasse la gente comune e, subito dopo, cosa ne pensassero loro stessi. I discepoli rispondono che, per quanto riguardava la pubblica opinione ebraica, molti erano inclini a pensare che Gesù fosse una delle speciali personalità della storia ebraica, uno dei grandi profeti incaricati da Dio a liberare il suo popolo dall’empietà e dall’ingiustizia. Quanto, invece, all’idea stessa che essi si erano fatti di Gesù, solo Pietro risponde con tono convinto e deciso: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», ovvero tu sei Dio in carne e ossa, tu sei il Dio incarnato di noi tutti, per cui il Figlio dell’uomo quale tu sei non è altro che il Figlio unico generato direttamente da Dio e nato da donna per sua volontà. Il Figlio dell’uomo è il Dio, l’unico, vero ed eterno Dio, dell’uomo.

Gesù comprende che quella risposta non poteva essere la semplice conseguenza di una supposizione, di un ragionamento, e ancor meno di uno studio accurato delle Sacre Scritture, comprende che quella risposta era stata letteralmente suggerita a Pietro dal Padre celeste, e, per questa ragione, per la natura rocciosa della sua fede, egli avrebbe fondato la sua Chiesa su una fede rocciosa, resistente e autorevole come quella di Pietro. Il Signore qui non intende dire semplicemente e semplicisticamente che tutti coloro che fossero stati designati quali successori di Pietro, quale guida spirituale della sua Chiesa, avrebbero, per ciò stesso, posseduto la fede rocciosa, granitica, adamantina, di Pietro, ma che la fede petrina sarebbe stata la fede paradigmatica della Chiesa, cui tutti i successori di Pietro avrebbero dovuto attenersi non solo formalmente, burocraticamente, ma intimamente, esistenzialmente, anche se non particolarmente ferrati sul piano strettamente biblico-teologico o esegetico-scritturale. Pietro non era una persona colta, non poteva essere annoverato tra i sapienti dell’epoca, non si sarebbe potuto mettere a discutere di tutto e di più con i sacerdoti del Tempio o con i dottori della Legge, era una persona intuitiva, sincera, onesta, umile e fedele alla volontà del suo Dio.  Gesù non fonda la sua Chiesa sulla cultura, sul sapere, sulla teologia, di cui non per questo disconosce la funzione e il valore, ma sulla fede, cioè sull’apertura spirituale alla vera, più profonda e decisiva conoscenza, che è la conoscenza del Verbo divino. La Chiesa avrebbe dovuto certo favorire anche il progresso culturale, il progresso delle arti e delle scienze, ma sulla base della fedele e rigorosa osservanza della Parola salvifica di Dio.

Tutte le volte che a guidare storicamente la Chiesa è un pontefice superficiale e non morigerato nei costumi, arrogante o ipocrita e non interiormente disciplinato e soggetto ad un continuo processo di conversione personale, anche se molto erudito ed esperto in materia teologica o scritturale, la Chiesa di Cristo non viene onorata, non risulta fondata sulla roccia petrina, ma sulla sabbia del vaniloquio e della stoltezza, sull’effimero e sull’instabilità degli umori e dei pensieri umani. Gesù non dà «le chiavi del regno dei cieli» a chiunque succeda a Pietro sul trono pontificio ma solo a chiunque accetti di succedere a Pietro per rimanere fedele a Dio, là dove non è scritto da nessuna parte che i successori di Pietro ne ereditino di fatto la stessa solidità spirituale e la stessa fede a Dio in virtù dell’aleggiare costante dello Spirito sull’intera storia della Chiesa, perché non è dato a nessuno sapere aprioristicamente in che modo e a quali scopi lo Spirito aleggia, volteggia e soffia sulle complesse e drammatiche vicende della Chiesa voluta da Cristo.  

Francesco di Maria

 

 

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