Non è che l’eucaristia, il rendimento di grazie e l’azione sacrificale con cui vengono offerti il pane e il vino a Dio e trasformati per opera dello Spirito Santo nel corpo e nel sangue offerti da Cristo sulla croce in espiazione e remissione dei peccati del mondo, sostituiscono il normale pasto alimentare con cui gli esseri umani si nutrono quotidianamente. Le creature hanno bisogno di alimentarsi con due pasti di diversa natura: uno è quello alimentare di cui necessita il sostentamento corporale, l’altro è quello eucaristico di cui necessita il sostentamento spirituale che non si contrappone al primo ma con esso si integra ed è funzionale al conseguimento del benessere spirituale e della salvezza eterna allo stesso modo di come gli alimenti, i cibi e le bevande servono al benessere fisico e mentale e alla buona salute degli individui, soggetti tuttavia alla morte.
Gesù non sottovalutava affatto il nutrimento fisico, il buon cibo, e alimenti essenziali come il pane e il vino che sono anche simbolo di convivialità, di amicizia, di comunione umana, ed è per questo che, quando gli apostoli cercano di convincerlo a congedare una folla stanca e affamata in una zona priva di alloggi e punti di ristoro, essi si sentono invitare da lui a provvedere alle necessità materiali di quella gente. Poi è Gesù stesso, ben consapevole che i suoi seguaci non avrebbero potuto sfamarla, a compiere il noto miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, ma quello che emerge in questa scena evangelica non è tanto il miracolo, uno dei tanti prodigiosi miracoli dell’Uomo-Dio, quanto la sua preoccupazione per l’impellente bisogno di alimentazione di uomini, donne e bambini affamati, che si trovavano peraltro in quel luogo, in “una zona deserta”, proprio per aver voluto seguirlo e ascoltare la sua parola.
I sacrifici utili al conseguimento della vita eterna non sono di natura penitenziale, se si abbia a che fare con persone e masse che versino in condizioni di improvvisa o stretta necessità alimentare, ma piuttosto il predisporsi a servire, nei limiti delle proprie possibilità, il prossimo bisognoso, affamato e assetato, percosso e ferito o derubato, colpito in qualunque modo nella sua integrità fisica e nella sua dignità morale. Ciò premesso, il vero benessere, la vera salvezza, l’uomo può raggiungerli solo se, non impedito da niente e da nessuno, egli non dimentica di partecipare ad un altro raduno, ad un altro banchetto, ad un’altra cena, vale a dire alla cena eucaristica dove si tratta di alimentare continuamente la propria vita spirituale, con buona pace di quei miscredenti che in essa vedono una forma di cannibalismo, con il pane e il vino del Cielo o scesi dal Cielo, con il corpo e il sangue di Cristo, ovvero con l’umanità più intima e la divinità sofferente e liberatrice di Gesù Salvatore. Si può ben intuire come le due forme di condivisione conviviale siano in stretta correlazione: solo chi è disposto ad offrire e a condividere con altri i propri beni materiali, il proprio tempo, le proprie risorse intellettuali e morali, poche o molte che siano, è legittimato a partecipare al banchetto eucaristico, alla comunione sacramentale con gli altri e con Cristo, con gli altri nel nome e per amore di Cristo.
Francesco di Maria