Jacques Ellul, un cristiano “anarchico” al servizio di Dio

Gli anarchici sono atei e nemici dello Stato, i cristiani sono credenti e non demonizzano lo Stato se non nel caso in cui esso, travalicando i legittimi poteri istituzionali che è tenuto ad esercitare nell’ordine delle cose temporali e quindi per il soddisfacimento delle necessità materiali e civili della collettività amministrata, intenda infrangere legislativamente i comandamenti di Dio e imporre pratiche sociali e condotte di vita contrarie alla fede e al culto, interferendo direttamente o indirettamente nella vita spirituale dei sudditi o dei cittadini. D’altra parte cristiani e anarchici, da un punto di vista storico-dottrinario, si detestano reciprocamente. Ma il filosofo francese Jacques Ellul, convertitosi al cattolicesimo dopo una prima, giovanile esperienza marxista e antifascista, in una delle sue ultime opere avrebbe ritenuto di poter trovare significativi punti di contatto tra pensiero anarchico e pensiero cristiano nella opposizione di entrambi alle autorità storiche costituite e nella loro avversione al potere politico-statuale1. Verso la fine degli anni ’30, il giovane professore universitario di diritto, si sentiva ancora marxista o, almeno, vicino alle posizioni di Marx, in particolare alla sua teoria dell’estinzione dello Stato, benché il pensatore di Treviri, diversamente da quel che molti suoi epigoni, anche in pieno novecento, avrebbero inteso, e da quel che allo stesso Ellul parve allora di capire, non all’estinzione dello Stato amministrativo o Stato dei servizi avesse fatto riferimento ma a quella dello Stato politico2.

Ellul si sentiva marxista ma, avrebbe scritto, «i miei rapporti con i comunisti erano pessimi: per loro ero un intellettuale piccolo-borghese perché non avevo un totale e pronto rispetto per le parole d’ordine di Mosca, e io li giudicavo negativamente perché non conoscevano bene il pensiero di Marx», tanto da trasformare la marxiana dittatura del proletariato in «una dittatura sul proletariato. E posso garantire che nel 1935-36 chiunque avesse voluto aprire gli occhi avrebbe potuto vedere quello che fu denunciato venti anni dopo. Oltretutto, nulla rimaneva di una tesi per me fondamentale, e cioè l’internazionalismo e il pacifismo, che a mio avviso avrebbero dovuto sfociare in un antinazionalismo»3. D’altra parte, anche Proudhon, per quanto di statura intellettuale inferiore a quella di Marx, avrebbe meritato a suo giudizio di essere tenuto in considerazione da quest’ultimo che invece, in modo del tutto ingiustificato, lo avrebbe disprezzato: «Ma quello che finì per portarmi a detestare i comunisti fu il loro comportamento durante la guerra civile spagnola e soprattutto gli orribili massacri degli anarchici di Barcellona. Molte cose (fra cui i contatti diretti che avevo all’epoca con gli anarchici spagnoli) mi avvicinavano all’anarchismo… ma c’era un ostacolo insormontabile: ero cristiano»4. Ma come conciliare l’anarchismo con la sua fede cristiana? C’era storicamente qualche precedente di convergenza tra socialismo moderato e cristianesimo, ma non certo tra quest’ultimo e l’anarchismo. Tuttavia, studiando la Bibbia, Ellul sarebbe venuto gradualmente convincendosi dell’«impossibilità di un’ubbidienza servile allo Stato e» dell’esistenza implicita in essa di un orientamento biblico in qualche modo anarchico5.

Di fatto, egli avrebbe finito per considerare l’anarchismo come la forma più coerente e compiuta di socialismo, ma questa interpretazione si sarebbe prestata a tutta una serie di obiezioni e contestazioni in sede teorica e politica. Si può presumere che, alla base di questo giudizio, si trovi la condivisione elluliana della critica bakuniniana di fondo al marxismo: quella per cui, in Marx, sarebbe riscontrabile una mancata saldatura tra piano filosofico e piano politico. Per Bakunin, infatti, Marx, pur ponendo al centro della propria indagine il grande tema dell’emancipazione integrale degli uomini e affidando alla scienza la funzione di togliere alle cose il velo della mistificazione, non sembra capace di attenersi rigorosamente, sotto il profilo specificamente teorico-politico, tattico e strategico, a quello stesso principio di liberazione totale cui Marx giunge attraverso una analisi «filosofica» non generica ma esemplare anche se forse un po’ dogmatica e pretenziosa. E’ proprio sul piano teorico che Bakunin avrebbe cercato di correggere, dunque, la rotta marxiana della concezione rivoluzionaria, ponendosi il fondamentale problema di quali fossero le condizioni di una rivoluzione antiautoritaria e, quindi, di indicare i pericoli cui va incontro la rivoluzione socialista quando viene impostata autoritariamente6. Quali sono le condizioni di un processo realmente e non solo ideologicamente liberatorio, come potrebbe una società egualitaria e libera scaturire da un’organizzazione autoritaria7, come sarebbe possibile «sottomettere i governi, anche quando questi» escano «dalla rivoluzione e dall’elezione popolare, a un controllo per quanto possibile severo», e infine cosa bisognerebbe fare per evitare che la rivoluzione venga sacrificando, prima o poi, «le autonomie e le libertà locali alla centralizzazione dello Stato»8?

Queste osservazioni critiche viene facendo Bakunin nei confronti del marxismo tenendone ben presenti sia le grandi lezioni teoriche e politiche, sia le non meno significative «oscillazioni». Pur non disconoscendo gli enormi meriti del rivoluzionario di Treviri, Bakunin non riesce a rimuovere il dubbio che il marxismo sia filosoficamente una teoria della trasformazione che politicamente non trasforma, ma anzi rischia di innescare processi degenerativi. E l’amara osservazione bakuniniana del 1848 potrebbe riferirsi, in qualche misura, allo stesso Marx: «… c’è disgraziatamente ancora un gran numero di persone che … nel più profondo del cuore non crede alla libertà»9, quella libertà che difficilmente può essere salvaguardata se si pensa di poter anticipare e chiudere gli sviluppi della pratica e della storia col «pensiero», e più precisamente con il dogmatico assunto che il raggiunto dominio politico proletario si configuri come condizione primaria di un processo di socializzazione e democratizzazione senz’altro funzionale alla graduale estinzione dello Stato popolare10. Né Marx, né Bakunin si pongono il problema di come si governa in una società post-rivoluzionaria e socialista, ma mentre il primo cede alla tentazione di vedere nella dittatura proletaria un passaggio obbligato della transizione al socialismo, il secondo sostiene la non edificabilità del socialismo sulla base di modelli aprioristici e precostituiti di governo politico: «Nessun sapiente è … in grado di insegnare al popolo, o di definire per lui, ciò che sarà o dovrà essere il modo di vita del popolo all’indomani della rivoluzione sociale. Questo modo di vita sarà determinato, in primo luogo, dalla situazione di ogni popolo e, in secondo luogo, dai bisogni che nasceranno in ciascuno e si manifesteranno con più forza, dunque non attraverso direttive o attraverso note esplicative provenienti dall’alto e in una maniera generale attraverso teorie, anche se concepite alla vigilia della rivoluzione»11.

La preferenza di Ellul per il socialismo meno predeterminato e meno burocratico di Bakunin piuttosto che per quello più univoco e organizzato di Marx, dipende dalla sua convinzione che le correzioni o integrazioni teoriche apportate dal primo alla strategia rivoluzionaria marxiana fossero funzionali alla costruzione di un socialismo più sensato e pragmatico, di un socialismo cioè già in origine pensato come politica di liberazione dall’oppressione e non come politica di riproduzione dell’oppressione sia pure nel nome di determinati ideali di libertà. Forse oggi si potrebbe riconoscere che Bakunin «fu il primo a dedurre in un certo senso il leninismo dal marxismo» e che non senza ragione Marx, pur non essendo intenzionalmente «un sostenitore del dispotismo …» non ne avrebbe respinto la critica, quasi intuendo che il teorico del moderno anarchismo «aveva scoperto il germe di un nuovo dispotismo nella sua dottrina»12. Ora, Ellul sostiene che l’anarchismo abbia origine nel cristianesimo delle origini e che quindi tra l’uno e l’altro esistono significativi punti di contatto, al di là delle divergenze che pure sarebbero venute prendendo corpo o accentuandosi nel corso dei secoli.

Per lui, beninteso non si tratta di convincere gli anarchici a diventare cristiani e i cristiani a diventare anarchici, ma solo di chiarire, a beneficio di quest’ultimi, che l’anarchismo, in sede politica, costituisce l’opzione più prossima al pensiero biblico. Naturalmente, egli, nel fare una proposta del genere, è altresì consapevole di come la fede possa rischiare facilmente di essere ideologizzata. Quei cristiani, per esempio, che a tutti i costi vorrebbero dialogare ed entrare in comunione con ebrei e islamici condividendo il significato e il valore spirituale di determinati passi biblici o evangelici, non si rendono conto che nel loro rapporto con gli uni e con gli altri sussiste un insuperabile motivo di conflitto, ovvero Gesù Cristo, e che è perfettamente inutile pretendere di trovare condivisione là dove questa figura, se non accettata integralmente, non può che essere irrimediabilmente divisiva. Efful lo riconosce apertamente: «in un dialogo con qualcuno di idee diverse, se si vuole essere onesti bisogna restare interamente se stessi, senza celarsi, né dissimularsi, né abbandonare ciò che si pensa»13.

Tuttavia, si tratta anche di rimuovere un errore, «un immenso malinteso», cui avrebbero dato luogo le diverse confessioni religiose cristiane, ad opera delle loro ambigue avanguardie clericali nel corso della loro storia, e ambigue perché non “di servizio” (secondo il dettato evangelico) ma “di potere”, ovvero quello per cui esse sarebbero venute erroneamente interpretando il messaggio biblico ed evangelico come rispettoso dell’«autorità dello Stato», facendo così «del conformismo una virtù maggiore», tollerando «le ingiustizie sociali e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo» col sostenere che, da una parte, l’esistenza dei servi e dei padroni corrispondesse alla volontà di Dio, e, dall’altra, che proprio il successo socio-economico di quest’ultimi fosse un segno della benedizione divina, e trasformando infine un messaggio di liberazione in una morale normalizzante di sottomissione14. In sostanza, secondo Ellul, in tutte le forme storiche di fede cristiana professata, la religiosità avrebbe conosciuto una sorta di biforcazione: da una parte, si sarebbe avuta una religiosità ufficiale, quella controllata e imposta alle masse dalle gerarchie ecclesiastiche e comprensiva di un atteggiamento remissivo e subalterno nei confronti del potere costituito, dall’altra una religiosità sotterranea, una chiesa invisibile che si sarebbe fatta e continuerebbe a farsi nel tempo portatrice della originaria parola di Cristo sia all’esterno che all’interno delle diverse e riconosciute istituzioni religiose, fungendo così, in qualche modo, da contrappeso al “tradimento” dei sacri testi che quest’ultime, ormai inavvertitamente, verrebbero costantemente operando15.

In questo senso, per Ellul, la vera fede cristiana è quella che rimane “sotterranea”, invisibile, nei secoli, e che viene silenziosamente e dolorosamente testimoniata in ogni secolo, di contro all’autoritarismo e al conformismo religioso delle Chiese ufficiali e delle masse che ad esse, più che al Cristo, restano fedeli: «Il resto – i fasti, lo spettacolo, le dichiarazioni ufficiali, il solo fatto di organizzare una gerarchia (mentre Gesù non ha palesemente mai creato alcuna gerarchia), o un potere costituito (mentre i profeti non l’hanno mai avuto), o un sistema giuridico (mentre i veri rappresentanti di Dio non hanno mai fatto ricorso a un diritto) – è la parte visibile che costituisce il carattere sociologico e istituzionale della Chiesa. Ma non è la Chiesa! Eppure, per coloro che ne sono all’esterno, è proprio questa che appare come la Chiesa, e di conseguenza non li si può “giudicare” quando a loro volta giudicano questa Chiesa. In altre parole, gli anarchici avevano ben ragione di rifiutare questo cristianesimo, che un cristiano indiscutibile come Kierkegaard attaccava ancora più violentemente di loro»16.

Ma qui si intende bene che il bersaglio polemico del sociologo, giurista e teologo protestante francese, è principalmente il cattolicesimo, accusato di essere venuto sempre a patti con i poteri e i potenti del mondo. Ellul muore nel 1994. Se la società, la civiltà, la cultura ormai prossime ad entrare nel terzo millennio, apparivano così conformiste, così prive di vitalità valoriale e spirituale, così corrotte e perverse, la maggiore responsabilità per lui, in un libro pubblicato nel 198417, era da attribuire proprio alla Chiesa cattolica, i cui frequenti tradimenti del messaggio biblico-evangelico ne avrebbero pervertito totalmente la carica antiautoritaria e sovversiva. Manifestazioni evidenti di tale perversione sarebbero le conversioni sempre più abitudinarie o formali alla fede, il cosiddetto ritorno del sacro il quale ultimo resterebbe però abbastanza marginale nei processi interiori più profondi e decisivi delle persone e delle grandi collettività e inidoneo ad incidere in modo significativo sulle grandi scelte culturali, morali e politiche degli individui e dei popoli, e poi, come detto, la compromissione o la collusione organica con la politica, la soggezione nei confronti dell’islam, la riduzione della donna a funzioni subalterne se non a mero strumento di piacere, un periodico irrigidimento moralistico di natura farisaica. In altri termini, tutto il contrario dello spirito anticonformista, eversivo e liberatorio del vangelo.

Per il filosofo francese, tutta la Bibbia è percorsa o attraversata da un sentimento antimonarchico e, tendenzialmente, anche antistatuale: non a caso i grandi personaggi della Bibbia, più che sovrani o capi di Stato, sono i profeti, come Mosé, Sansone, Debora, Gedeone costantemente critici contro i sovrani, tanto che persino sovrani come Davide o Salomone, inizialmente osservantissimi delle leggi di Dio nel governo e nell’amministrazione dei loro regni, poi si lasciano stordire e corrompere dal potere18. Tuttavia, si tratta di comprendere, a differenza di quanto sembra incline a fare Ellul, che dai testi biblici non emerge affatto una preferenza per l’uomo apolitico o addirittura anarchico, in quanto i regni come gli Stati e la politica, vengono in realtà concepiti da Dio come funzionali alle necessità organizzative, sussistenziali, giuridico-associative e produttive degli individui e dei popoli, ma solo per l’uomo retto, integro, che, in quanto tale, dovrebbe essere preposto al governo, quanto più virtuoso, illuminato e lungimirante possibile, del popolo.

D’altra parte, non è forse un Regno quello di cui sono chiamati a far parte tutte le creature fedeli a Dio e capaci di vivere in conformità ai suoi insegnamenti? Non il potere politico in sé è oggetto della critica biblico-evangelica ma il potere politico deliberatamente e indiscriminatamente violento, il potere malvagio e oppressivo, non semplicemente autorevole e giusto ma dispotico e sanguinario, corrotto e perverso, immorale, empio e sacrilego, è quello che biblicamente viene preso di mira, allo stesso modo di come viene presa di mira la forza messa al servizio della crudeltà o dell’efferatezza e non della sicurezza individuale e collettiva, del disordine e dell’odio e non della cooperazione e della pace sociali. Né è scritto in qualche remoto versetto biblico-evangelico che tra Chiesa e Stato, per quanto siano rigorosamente distinte le rispettive sfere di influenza, non debbano essere istituiti rapporti di collaborazione e scambi di natura politico-culturale.

Questo è vero anche se Ellul non intende l’opzione politica anarchica in termini di opposizione violenta al potere costituito ma come obiezione di coscienza, come contestazione di principio alle sue strutture oppressive e repressive. In tal senso egli non crede, realisticamente, che una società anarchica sia possibile, ma che, tuttavia, sia possibile lottare con spirito anarchico, mettere in discussione l’ordine di cose costituito, denunciare le contraddizioni costitutive di ogni sistema di potere19. D’altra parte, come egli rileva, gli anarchici contestano ai cristiani la pretesa di un possesso esclusivo della verità, che è un atteggiamento dogmatico da cui generalmente scaturiscono guerre e conflitti: inoltre essi pensano che l’affermazione cristiana secondo cui ogni potere provenga da Dio implichi una diretta collusione con lo Stato, a prescindere dal suo particolare assetto istituzionale e dal suo indirizzo ideologico, e che l’affermazione dell’onnipotenza divina finisca per contraddire la libertà e il male20. A dire il vero, a questi rilievi, del tutto infondati e conseguenti ad un argomentare del tutto carente sia dal punto di vista logico-teorico che da quello storico-teologico-dottrinario, Ellul risponde spesso in modo adeguato, non senza notare anche che nei secoli la Chiesa è venuta gradualmente perdendo influenza sul modo di pensare e di agire dei credenti e che quest’ultimi sono molto più consapevoli che in passato della differenza che passa tra lo Stato come necessario fondamento o principio di complessiva organizzazione comunitaria e lo Stato come esercizio autoritario del potere non finalizzato ad istanze di ordine e sicurezza sociali, bensì a obiettivi o scopi di prevaricazione e oppressione. Il che consente loro, rispetto ad epoche segnate da rapporti verticali di schiavitù o di accentuata subalternità tra vertici di governo e masse popolari, di essere anche più liberi di valutare il da farsi in rapporto alle concrete e specifiche modalità di esercizio dei poteri dati dello Stato.

Su altre questioni, però, Ellul si mostra a sua volta piuttosto sommario e impreciso: quando, per esempio, ritiene che Gesù trattasse con disprezzo il potere negandogli qualunque legittimità, che la Chiesa primitiva fosse ostile allo Stato, al potere imperiale, alle autorità, quando interpreta l’Apocalisse giovannea come radicale messa in discussione del potere politico. In tutti questi casi, la sua interpretazione appare chiaramente difettosa e superficiale, giacché basta pensare al colloquio di Gesù con Pilato per capire che condizione di legittimità del potere di quest’ultimo è proprio la volontà divina, basta tener presente che la Chiesa delle origini, più che essere ostile allo Stato e all’autorità imperiali, sarebbe stata da essi perseguitata per alcuni secoli e non avrebbe certo potuto mostrarsi consenziente nei loro confronti, e infine leggere correttamente l’Apocalisse come il tempo della vendetta e della collera divine che si abbattono anche ma non solo su un potere politico e statuale ormai diventato fonte di vergognose e immonde iniquità, in assoluta e radicale violazione dei compiti stessi ad esso affidati da Dio. Alla fine, il tentativo di Ellul di accostare lo spirito anarchico allo spirito cristiano finisce per essere indiscutibilmente invalidato dalla fin troppo celebre frase di Gesù: a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio. Il cristiano, a differenza dell’anarchico che si oppone notoriamente sia a Dio che allo Stato, deve obbedienza a Dio e deve obbedienza anche allo Stato nei limiti in cui quest’ultimo non proponga o imponga leggi che violino manifestamente le leggi di Dio21.

Quindi, la disobbedienza verso lo Stato è contemplata anche per i cristiani, ma non di principio, bensì solo nel caso in cui esso intenda contrapporre il suo volere a quello di Dio. Peraltro, Ellul, sempre nel nome di quella sotterranea e profetica religiosità della storia delle chiese cristiane di cui in precedenza si è detto, rifiuta anche ogni gerarchia all’interno stesso della Chiesa, dimenticando tuttavia che se, secondo le parole pronunciate da Cristo, la Chiesa, oltre che sulla Parola di Dio e in conseguenza di essa, si sarebbe dovuta fondare anche sulla autorità dei suoi custodi, a cominciare da Pietro e da tutti coloro che a lui fossero subentrati successivamente, l’obbedienza alla sua funzione di custode del Verbum Dei non avrebbe potuto non richiedere evidentemente anche l’osservanza di un qualche principio gerarchico, tenendo però conto del fatto che, in presenza di errori o addirittura di trasgressioni compiuti, in buona o cattiva fede, dai “ministri” del culto, ovvero da presbiteri, vescovi, cardinali e persino papi, tenuti evangelicamente ben più a servire che a comandare, qualunque altro membro della Chiesa, dal più colto e qualificato al più semplice e ingenuo, avrebbe potuto, e anzi dovuto assumersi la responsabilità di correggere i fratelli di fede erranti e di testimoniare apertis verbis la sua fede personale nelle verità rivelate da Dio. Non è certo priva di significato la circostanza storico-evangelica per cui Paolo, l’ultimo arrivato tra i grandi e storici seguaci di Cristo, non avrebbe esitato a puntare il dito verso Pietro, riconosciuto capo degli apostoli, per indurlo a riconoscere il suo errore.

Bisogna, pertanto, avere l’umiltà di obbedire all’autorità costituita, anche se, in modo altrettanto umile, occorre contestarla se o quando sia evangelicamente necessario. Ma, tutto sommato, anarchia, nel senso storico-politico del termine, e cristianesimo, nel senso eminentemente dottrinario e spirituale del termine, rinviano a condizioni esistenziali molto difficilmente compatibili, pur potendosi riconoscere, con Ellul, una qualche origine cristiana del pensiero anarchico, ma solo nel senso di identificare quest’ultimo, al pari di tanti altri orientamenti culturali sviluppatisi all’interno della civiltà cristiana, con un figlio degenere del cristianesimo, con un figlio che, dopo aver ereditato dalla tradizione cristiana il principio di una assoluta libertà interiore di fronte alle apparenti verità e ai poteri costituiti del mondo, avrebbe finito per applicarlo trasgressivamente anche nei confronti della verità divina, deturpandone conseguentemente il senso originario e il reale valore spirituale22.

Ellul, concludendo la sua analisi, esprime l’invito a «rifiutare totalmente ogni spiritualizzazione cristiana, ogni fuga verso il cielo o la vita futura (in cui credo, grazie alla resurrezione, ma che non sancisce alcuna evasione), ogni misticismo che disdegna le cose della terra, perché Dio ci ha messo su questa terra non per niente, ma con un incarico che non abbiamo il diritto di rifiutare»23: invito ben condivisibile ma solo a condizione di non dimenticare che non sarà mai evangelicamente legittimo un attivismo cristiano o un impegno pragmatico-esistenziale che possano prescindere da un retto intendimento della divina volontà, e quindi anche dall’invito da Cristo rivolto ai suoi seguaci a sottoporsi e a prestare obbedienza all’autorità dello Stato sia pure nei limiti in cui esso non calpesti i comandamenti divini. In questo senso, è altrettanto legittima l’esortazione rivolta dal filosofo protestante francese alla comunità ecclesiale e ai cristiani di tutto il mondo a non conformarsi ai modelli statuali o alle mode politiche e ideologiche del tempo, quali che esse siano, anche se è un’enorme sciocchezza ritenere, come egli non esita a fare, che, per soddisfare tale esigenza, i cristiani debbano far propria necessariamente la mentalità anarchica, visto che, semmai, come già detto e ribadito, proprio in base all’ammissione di Ellul, l’anarchismo sarebbe nato come costola del cristianesimo.

Altrettanto sbagliata è la pretesa aprioristica da lui avanzata nell’affermare che i cristiani, sul piano politico, non debbano essere né di destra, né di sinistra, né dovrebbero far proprio il punto di vista dello Stato-Nazione24: che è come dire che, al tempo di Gesù, non potesse e non dovesse esserne seguace un centurione al servizio dell’imperatore o un qualunque funzionario dello Stato imperiale, o che il popolo di Israele, nazionalista come nessun altro popolo al mondo, non potesse continuare ad essere il popolo eletto di Dio, una volta che si fosse convertito al suo Cristo. Non si intende certo dire che un cristiano possa sostenere propagandisticamente o fanaticamente uno Stato imperiale o uno Stato monarchico, uno Stato nazista e fascista o uno Stato socialista o comunista, così come, d’altra parte, un cristiano non può fare opera di proselitismo anche a favore di uno Stato repubblicano o democratico, oppure persino di uno Stato teocratico, perché in ogni caso egli sarebbe a rischio di idolatria. Ma altro è il comprensibile precetto religioso che impone al cristiano di astenersi dal parteggiare ideologicamente a favore di questa o quella fazione, di questo o quell’indirizzo politico-ideologico, di questa o quella particolare compagine statuale, altro sarebbe invece la norma imperativa, che gli si vorrebbe imporre nel nome della fede religiosa, di sottrarsi radicalmente ai suoi doveri di suddito o cittadino, sia pure nei limiti in cui come tali possano essere correttamente riconosciuti dalla sua coscienza religiosa, anche all’interno di un regime fascista o comunista o di qualunque altra natura. D’altra parte, non è detto che sinistra e destra debbano rinviare necessariamente a realtà politiche monolitiche o uniformi o univocamente e rigidamente caratterizzate, sussistendo pur sempre la possibilità che esse vengano storicamente e rispettivamente declinate in forme diverse e non aprioristicamente prevedibili.

Alla fine, quella che, per Ellul, sarebbe la lezione impartita dall’anarchismo al mondo cristiano, circa il dovere di astenersi dall’aderire a qualunque specifica opzione politica e statuale e a qualunque attività collaborativa all’interno di Stati autoritari o liberticidi, dittatoriali o capitalisti, non appare né necessaria, né tanto meno richiesta, dal momento che il cristianesimo esprime una visione etica e anche una teologia politica molto meno riduttive e molto più articolate di quelle provenienti non solo da qualunque altro orientamento religioso ma anche da qualsiasi corrente filosofica, politologica e culturale originatasi ed affermatasi nel quadro della storia della cultura universale dei popoli. Ellul conosce bene la differenza che terrà sempre separati anarchismo e cristianesimo, ovvero la mancanza nell’uno e la presenza nell’altro della fede in Dio e in Gesù Cristo, che a dire il vero non è una differenza trascurabile, ma appare troppo suggestionato del credo libertario del movimento anarchico per riuscire a trattenersi dal tentativo di proporre quest’ultimo come possibile fonte ispirativa della comunità ecclesiale cristiana. Per Ellul, lo Stato moderno è frutto della moderna società tecnologica e il suo linguaggio è quello della propaganda che, proprio nell’avvento della tecnologia applicata anche alla comunicazione sociale, trova la condizione di una sua illimitata amplificazione.

Nel ‘900, una tecnologia sempre più sofisticata è alla base di una continua evoluzione del rapporto tra la multiforme propaganda e le ideologie25. E’ in questo secolo che il fatto stesso di utilizzare i mezzi della propaganda, lungi dal rimanere confinato nell’ordine delle semplici possibilità strumentali, finisce per assurgere a valore supremo: è ciò che avrebbero ben compreso, per primi, Lenin e Hitler, che intuirono subito come ormai il vero linguaggio della politica e della ragion di Stato non fosse tanto quello di descrivere e spiegare le ragioni e i fini di determinate scelte e azioni politiche quanto quello di amplificare e, per così dire, sacralizzare mediaticamente il significato e il valore degli atti compiuti, dei programmi proposti, degli obiettivi da perseguire, in modo da condizionare psicologicamente e sociologicamente gli individui e le masse in modo sempre più massiccio per ottenerne l’adesione quanto più possibile ampia e incondizionata all’ideologia di regime o al credo politico dello Stato o anche alla stessa politica religiosa della Chiesa26.

La propaganda finiva per essere così lo strumento più progredito ed efficace di totalitarizzazione o massificazione totalizzante delle coscienze, lo strumento più pervasivo e potente di convinzione non già a pensare o a riflettere su quel che si venga facendo e sulle ragioni per le quali si venga facendo, ma semplicemente a fare, ad agire e a reagire, ad eseguire: si pensi alla propaganda produttivistica, consumistica, alla propaganda del progresso e della crescita indefiniti, forme di propaganda tanto più efficaci e dirompenti quanto più incisiva la propaganda fosse stata proprio in relazione alla fede, privando la coscienza collettiva di una protezione fondamentale contro le spinte idolatriche sempre più distruttive del sistema internazionale di potere27. Per questo motivo, Ellul avrebbe molto insistito, soprattutto in relazione al problema religioso, sulla necessità di resistere spiritualmente a quell’assalto mediatico in atto, alle sirene avvolgenti e alienanti della propaganda organizzata e alla tentazione di utilizzare anche individualmente la propaganda a scopi di proselitismo religioso, non dandosi nulla di più lontano dalla fede cristiana della meccanizzazione del sentire spirituale e religioso, della traduzione meccanica della spontaneità di fede in mera, fredda ritualità. D’altra parte, vittime della propaganda nella società democratica non sono solo i membri di quest’ultima, ma gli stessi membri delle chiese cristiane e, più segnatamente, di quella cattolica: «i membri della chiesa», scrive Ellul, «sono presi nella rete della propaganda e reagiscono più o meno come tutti gli altri. Di conseguenza, si verifica una dissociazione quasi completa tra il loro cristianesimo e il loro comportamento. Il loro cristianesimo rimane una cosa spirituale e puramente interiore. Ma il loro comportamento è determinato da vari condizionamenti, e in particolare dalla propaganda. Naturalmente, è sempre esistito un certo divario tra “ideali” e “azione”. Ma oggi questo divario è diventato totale, generale e deliberato. Questo ampliamento del divario, in particolare il suo ampliamento sistematico, è il frutto della propaganda nel dominio politico o economico e della pubblicità nel dominio privato»28.

Ma, per gli effetti psicologici che induce nelle masse, «la propaganda rende sempre più difficile la propagazione del cristianesimo. Le strutture psicologiche costruite dalla propaganda non sono propizie alle credenze cristiane. Ciò vale anche sul piano sociale. E, in effetti, essa pone la chiesa di fronte al seguente dilemma: o non fare propaganda, ma in tal modo, mentre le chiese conquistano lentamente e pazientemente un uomo al cristianesimo, i mass media mobilitano rapidamente le masse e gli ecclesiastici hanno l’impressione di essere “fuori passo”, ai margini della storia e senza il potere di cambiare nulla; oppure fare propaganda, ma in questo caso sembra che le persone manipolate dalla propaganda diventino sempre più insensibili alle realtà spirituali, sempre meno adatte all’autonomia di coscienza richiesta da una vita cristiana»29. Ma, com’è noto, tutte le volte che «una chiesa ha cercato di agire attraverso i dispositivi di propaganda accettati da un’epoca, la verità e l’autenticità del cristianesimo sono state svilite. … Quando la chiesa usa la propaganda, cerca sempre di giustificarsi in due modi: dice, prima di tutto, che mette questi media efficienti al servizio di Gesù Cristo. Ma se si riflette per un momento, ci si rende conto che questo non significa nulla. Ciò che è al servizio di Gesù Cristo riceve il suo carattere e la sua efficacia da Gesù Cristo. I media che possiedono in sé tutta la loro efficacia e contengono in sé i loro presupposti e fini, non possono essere messi al servizio di Gesù Cristo. Obbediscono alle loro regole, e questo non può essere contraddetto né dal contenuto delle loro trasmissioni né da un approccio solo in apparenza teologico, nonostante ciò che certo diffuso semplicismo può far credere ad alcuni. Infatti, affermare che la chiesa usa i media solo per metterli al servizio di Cristo, non è una spiegazione logica o etica, ma una pia formula senza contenuto»30.

Ecco, questo Ellul, critico implacabile dei mezzi di comunicazione di massa con specifico riferimento alla fede religiosa e cristiana e al suo destino storico e spirituale, appare certo più attendibile e incisivo di quello che si avventura nella proposta di una sorta di connubio tra pensiero anarchico e fede cristiana, la quale ultima, beninteso, non ha bisogno di alcun apporto teorico e culturale che non risulti saldamente radicato nella stessa tradizione cristiana e nella storia, pur complessa, articolata e differenziata, della Chiesa cattolica. Tuttavia, al di là di questo accostamento che non può non apparire obiettivamente forzato, resta la validità della critica elluliana dello Stato moderno come elefantiaco apparato burocratico che si nutre di propaganda e conformismo oltre che della sottesa «volontà di trasformare gli individui in produttori-consumatori», i quali pertanto si trovano ad essere assoggettati ad un processo di drastico ridimensionamento della loro libertà di giudizio e scelta e del loro diritto democratico a concorrere liberamente e responsabilmente al consolidamento e al progresso della vita civile. Le stesse Chiese cristiane non fanno abbastanza, a giudizio di Ellul, per opporsi a questo stato di cose, a questo stato di diffusa e persistente passività delle coscienze, e per recuperare il libertario anelito evangelico delle origini, l’originaria resistenza evangelica alle tentazioni idolatriche e peccaminose del mondo. Né il fatto che esse troppo spesso, nel corso dei secoli, siano state colluse con le diverse forme storiche di potere politico-istituzionale, deve necessariamente convertirsi in un dato di fatto ormai irreversibile ma, al contrario, deve poter sollecitare i credenti a svincolarsi da quell’etica dell’asservimento e dalla dipendenza dal potere temporale per rilanciare l’etica evangelica della liberazione spirituale dal peccato e dal male politico e sociale31.

La fede cristiana non può essere ridotta ad un’etica, se così si può dire, dell’adattamento, dell’accettazione o dell’interiorizzazione di una corrente e comune mentalità del compromesso e dello scambio mercantile. Non può essere ridotta ad un’etica siffatta neppure per compiacere quanti temono che denunciare l’utilizzazione massiccia della propaganda da parte di tutti gli Stati del mondo possa indurre alla fine le masse a diffidare della democrazia, là dove, d’altra parte, l’ipocrita o inconsapevole sottacere l’esistenza di tale fenomeno e di tale sistematica e trasversale pratica di governo significherebbe evidentemente «partecipare all’opera antidemocratica», anche se, contrariamente a quel che lo stesso Ellul sembra talvolta trascurare, non sono proprio identici gli effetti prodotti dalla propaganda di Stato in sistemi politici diversi o antitetici quali il nazismo, il comunismo o le democrazie occidentali, pur restando vero che, in ogni caso, la propaganda tende a deformare la realtà e a far passare per vere o verisimili notizie, fatti, dati, in misura maggiore o minore artefatti o contraffatti32. Certo, non è che l’uomo di fede possa o debba essere più indulgente verso l’etica democratica piuttosto che verso l’etica invalsa nel regime hitleriano e nazista o verso quella costituitasi sotto il regime stalinista, dal momento che prevaricazioni, prepotenze, vessazioni e crimini avvengono in qualsiasi regime o contesto storico-politico, ma è innegabile che egli potrebbe percepire una società democratica, almeno in linea di principio, come più compatibile con il suo bisogno spirituale ed esistenziale di libertà.

L’uomo di fede è comunque portato a smarcarsi, in generale, da tutte le etiche costituite, in quanto egli obbedisce a norme, a norme divine e rivelate, che non sono etiche ma piuttosto metaetiche, in quanto si pongono non già come negazione aprioristica delle regole date, positive, di comportamento etico, ma certo come radicale problematizzazione o messa in discussione della validità dei princìpi valoriali che ne sono alla base o su cui esse si fondano, sicché, se proprio si volesse individuare l’etica di appartenenza dell’uomo religioso e, più esattamente, del credente in Cristo, ci si dovrebbe limitare a dire che tale etica è tutta interna alla sua stessa fede e, in tal senso, coincide esattamente con i contenuti costitutivi della sua fede. Di certo, anche al di là della particolare posizione espressa al riguardo da Ellul, che tuttavia intende accostare anarchismo e cristianesimo indicandone alcuni ipotetici punti di contatto senza tuttavia pretendere di identificarli, non sarà possibile sostenere che il cristiano possa essere anche un anarchico, per il semplice fatto che le credenze del primo hanno un fondamento assoluto e inamovibile in Dio, in Cristo e in annessi e connessi comandamenti e insegnamenti di origine sovrannaturale, mentre l’anarchico è colui il cui pensiero, in senso etimologico, non ha radici, non ha fondamenti né princìpi o norme vincolanti al di fuori di quelli che hanno sede o si sviluppano unicamente nella sua stessa coscienza. La vita anarchica è priva di fondamento, mentre la vita cristiana è totalmente ed esclusivamente fondata sulla persona umana e divina di Cristo33.

Di tanto in tanto si sente dire che esistono diversi modi in cui si può essere anarchici e cristiani ad un tempo: per esempio, il pacifismo, in quanto sia i primi che i secondi rifiutano la violenza ma non senza duramente contestare chi ne sia principalmente responsabile, ma semmai questo potrebbe essere uno di quei casi in cui un anarchico, ma chiunque altro, potrebbe trovarsi a condividere un valore del cristianesimo, nato con esso e ad esso originariamente ascrivibile, senonché poi, se è vero che la non violenza è un valore eminentemente evangelico, è altrettanto vero che tale valore ha, evangelicamente, una intrinseca funzione preventiva ma non di assoluto divieto e viene evangelicamente riferito alla singola persona, alla persona che singolarmente si trovi ad essere coinvolto in una situazione realmente o virtualmente pericolosa o conflittuale per sé o per altri, e non invece agli Stati e alle collettività o ai popoli che, in caso di pericolo per la propria sicurezza interna ed esterna, sono implicitamente legittimati dalla stessa autorità divina ad esercitare la forza o la violenza: a Dio quel che è di Dio, a Cesare quel che è di Cesare!

Un altro modo è quello storicamente riconosciuto anche se non molto frequente per cui non sempre gli anarchici sono atei, a cominciare da Tolstoj, anche se, in ogni caso, è principio irrinunciabile di qualunque anarchico quello di rifiutare l’autorità costituita e ciò, anche se può ben rientrare persino nelle convinzioni  soggettive di personalità anarchiche non chiuse alla trascendenza, non è affatto in linea con la fede cristiana, secondo la quale vien fatto evangelicamente obbligo a chiunque intenda mettersi alla sequela di Cristo o, quanto meno, non contestarne la legittimità, di accettare, oltre che la Parola di Dio, almeno un’autorità storicamente costituita che ne discende, ovvero la sua Chiesa e proprio quella Chiesa universale o cattolica così lontana dalla sensibilità religiosa dello stesso Ellul. Inoltre, risulta abbastanza noiosa l’insistenza retorica di chi, come in parte quest’ultimo, viene esercitandosi nell’improbabile tentativo di dimostrare che il primo anarchico della storia umana sarebbe stato proprio Cristo, con la sua predicazione sovversiva e radicale sia contro l’autorità imperiale romana, sia contro la stessa autorità religiosa giudaica34. Peraltro, si osserva, pur essendo temuto dall’autorità politica e dall’autorità religiosa per il suo modo destabilizzante di parlare e agire, Cristo, diversamente da altre fazioni giudaiche antiromane, era un pacifista: proprio come gli anarchici, si conclude. Ecco: chi argomenta in questo modo, non si rende conto che Gesù, nel dire e nel fare tutto quel che lo ha reso simpatico anche agli avversari della Chiesa e del cattolicesimo, non era né pacifista, né anarchico, ma semplicemente cristiano.

Ma, al di là della sua propensione a civettare con il mondo anarchico, bisogna riconoscere che Ellul resta un elemento di forza a beneficio della comunità cristiana mondiale, fatta di cattolici, protestanti, ortodossi e via dicendo, specialmente quando egli viene esercitando, nel segno della profezia evangelica, una critica atipica ma particolarmente corrosiva della ricchezza, considerata, ancor più che nel suo significato materiale, nel suo valore simbolico. Come è stato osservato molto efficacemente in un articolo dedicato ad un libro postumo di Ellul sulla Lettera scritta dall’apostolo Giacomo sui ricchi e sulla ricchezza, la ricchezza qui «”rappresenta tutte le forme di potere, di dominio, di superiorità. Quello che si dice del denaro, dei ricchi, riguarda anche il ricco di intelligenza, di potere politico, di bellezza, di forza fisica. Tutte le forme di dominio e di superiorità, anche all’interno della Chiesa, sono prese di mira quando si parla del denaro. Tutti gli uomini sono presi di mira, anche quelli al servizio di Dio. Per esempio, affermare di poter mettere la propria ricchezza al servizio della Chiesa, rischia di essere un’eccellente giustificazione della propria ricchezza”. Parole che ci possono sconcertare, così come lasciarono l’amaro in bocca al giovane ricco che incontrò Gesù, ma con le quali dobbiamo severamente fare i conti. Perché, ci dice ancora Ellul, “nel suo cammino con gli uomini Dio ci mostra una legge di non-potere. Il nonpotere di Dio è ciò che è distruttivo del potere degli uomini. Dio è un meno potere che distrugge il potere dell’uomo”.

Di fronte a tutto questo sta la legge della libertà. Libertà di Dio e libertà dell’uomo. È Cristo che ci libera dal male, dal peccato e dalla morte grazie alla relazione nuova che ha instaurato con noi, non più basata sulla paura e sull’obbedienza cieca e servile. “Non c’è altra legge – ci dice Ellul -, altra morale, che una legge e una morale di libertà. Non è la libertà di Sartre o della Rivoluzione del 1789, ma un’opera che Dio crea in noi. L’effetto della Parola di Dio è di renderci liberi”»35. C’ è un aspetto della riflessione filosofica e religiosa di Jacques Ellul che varrà forse la pena di tenere particolarmente presente per i tempi difficili che già si preannunciano e di certo, se nel frattempo non verrà decretata da Dio la fine stessa dei tempi36, non mancheranno nel secolo e nel millennio che sono appena iniziati: ed è l’aspetto che si riferisce all’idea stessa che, secondo lui, bisogna avere della fede in Cristo, al modo di percepirla e di rappresentarla, di farla valere non solo nell’ordinaria quotidianità ma anche e soprattutto nei momenti più carichi di pericolo e di tensione.

La fede è probabilmente, tra tutti i doni meravigliosi elargiti da Dio agli uomini, il dono più importante e prezioso perché la sua funzione non è semplicemente di natura consolatoria ed edificante ma anche e soprattutto di natura operativa e pragmatica, utile e necessaria cioè non solo alla sfera riflessiva, meditativa, contemplativa della vita personale dell’uomo ma anche e forse principalmente alla sua vita attiva che richiede impegno, passione, spirito di lotta o di combattimento nelle vicende o nelle situazioni più critiche e drammatiche dell’esistenza. Ed è quindi in questo senso che della fede bisogna prendersi particolarmente cura: essa dev’essere esercitata non solo in relazione a problemi personali, intimi, privati, ma anche, e con pari forza, in relazione a temi e ad istanze di vita collettiva, culturale, etico-sociale, politica ed economica e anche religiosa ed ecclesiale. Se la fede dev’essere, come deve essere, testimoniata, la testimonianza non può limitarsi al chiuso della propria coscienza o della propria interiorità, ma deve esplicarsi alla luce del sole, nello spazio pubblico, in tutti gli ambiti costitutivi della vita tanto individuale quanto sociale o collettiva, perché la funzione della fede, della mia fede, è quella di illuminare non solo la mia vita ma la vita degli altri, la vita di tutti, è quella di lasciare un segno non solo su forme di spiritualità soggettiva e individuale ma anche sulla più ampia e prismatica spiritualità che si manifesta, in forme più o meno sane o più o meno deficitarie, nel lavoro, nella tecnica e nel sapere, nella politica e nell’economia, nella comunità ecclesiale di appartenenza ma anche all’interno di realtà comunitarie di diversa identità religiosa37, affinchè dappertutto sia quanto meno gettato un seme di verità e di speranza redentiva, anche quando si sia già pienamente consapevoli dell’inconciliabilità esistente tra la propria fede e altre professioni di fede38.     

La fede, per Ellul, dev’essere vissuta come strategia di vita, come strategia alternativa e insieme integrativa rispetto a tutte le altre reali o possibili strategie esistenziali, come strategia da applicare a tutti i piani dell’esistenza e della storia, e infine dev’essere vissuta come traduzione pratico-razionale del detto evangelico e divino: “lascia che i morti seppelliscano i loro morti” (Lc 9, 60). Giacché questa è la più dirompente e decisiva esortazione del Cristo: non pensate ai morti, alle cose morte, alle cose tristi del passato, alle vostre esperienze negative, ai vostri affetti violati o turbati, alle vostre speranze deluse o tradite, alla vostra stessa infelicità, e non vi attardate a compiere gesti quotidiani che alimentino il vostro pessimismo e la vostra pigrizia spirituale o che risultino funzionali ad un rituale meramente consolatorio, ma datevi da fare, prendete sul serio il mio messaggio di salvezza che vi invita ad un impegno attivo e fattivo, ad operare concretamente nel mondo anche se non a favore del mondo e di tutte le sue iniquità ma, in spirito di verità e giustizia, a favore degli ultimi, degli oppressi, dei malati, di chiunque abbia bisogno di solidarietà e d’amore. E che la vostra preghiera non sia meramente intimistica, sentimentalistica, consolatoria, priva di spirito di lotta contro il peccato e il male sotto qualsiasi latitudine storico-esistenziale, ma sia tutt’uno con la vostra disponibilità a fare sempre la volontà di Dio, che è assoluta volontà di vita, e ad eseguire praticamente al di là di ogni pur umano insuccesso gli impegnativi ma salvifici comandi di Cristo39.

Contro la sacralizzazione della tecnologia e dell’idea stessa di progresso, occorre reagire con la forza della preghiera e con la determinazione della lotta nel segno della giustizia e della carità.  Se, come il cristiano è tenuto a credere, il potere assoluto è solo quello di Dio, i poteri relativi del mondo e della storia, ivi compreso quello spirituale e religioso della Chiesa, non possono entrare in competizione o in collisione con esso senza conseguenze nefaste per il destino naturale e sovrannaturale del genere umano. Se ciò accade, bisogna pensare a forme di contropotere che contribuiscano almeno a lasciare aperta la partita tra il bene e il male e a favorire il processo di liberazione umana dal male e da ogni genere di iniquità. In questo senso, l’esistenza è e deve essere resistenza. La tecnologia è diventato il principale idolo del nostro tempo e sarebbe un fatale errore confidare ciecamente in essa o assecondarne indefiniti sviluppi, dal momento che essa tende a modificare il nostro comportamento e le nostre normali abitudini di vita sino a modellare l’esistenza stessa delle persone e delle masse, donde appunto la necessità etica, spirituale e religiosa di resistere alla tentazione di rinunciare alla nostra libertà piegandola a esigenze estranee alla nostra natura. 

Ma per Ellul il problema non è costituito dalla tecnologia in sé che, entro certi limiti, può essere certo un utile strumento di vita, quanto dal suo sviluppo incontrollato e dal suo abuso in tutti gli ambiti della vita civile, a cominciare dai centri politici, culturali e amministrativi dello Stato, con conseguente, inevitabile attenuazione della funzione critica individuale40. Per lui, in altri termini, il problema è la tecnocrazia ancor più della tecnologia. La tecnicizzazione omnipervasiva, la totale automatizzazione del sistema politico-sociale fa sì che il mondo si trovi sempre più esposto al rischio di restringere i suoi spazi di libertà e di sprofondare in un totalitarismo di diversi colori politici. Ma quei pochi che resistono a questa universale logica repressiva, non devono temere di rimanerne per sempre schiacciati: anche in questo caso, la congiura dei poteri del mondo contro la libertà degli uomini sarà sconfitta dalla risurrezione di Cristo, che sconvolgerà letteralmente gli abnormi assetti demoniaci che si saranno voluti dare al mondo. Chi crede in Dio non può non sperare che, prima o poi, egli stesso intervenga nuovamente nella storia umana per rovesciare i tavoli della profanazione e inondare di luce trasfigurante la vita degli spiriti resi liberi dall’adesione alla sua verità contro le false verità del mondo.

Il cristiano non è chiamato a muoversi o a tendere verso il più ma verso il meglio, non verso la quantità ma verso la qualità: «Identificare ciò che ci domina. Rifiutarlo. Immaginare modi di fare le cose in modo diverso, rispettando il nostro ritmo e il nostro ambiente. Unirsi ad altri che condividono lo stesso desiderio e impegnarsi, fiduciosi, mossi dalla volontà di fare e portati dallo slancio che va verso la trascendenza, oltre noi stessi. Al di là dei nostri successi e dei nostri fallimenti, con amore, amicizia e gratitudine. Questo atteggiamento verso il potere può sembrare semplice. Ma questa semplicità è forse la più difficile da raggiungere»41.   

Francesco di Maria

NOTE 

1 J. Ellul, Anarchia e cristianesimo, Milano, Elèuthera Editrice, 1993, pp. 93-99. La prima edizione di quest’opera è la seguente: J. Ellul, Anarchie et Christianisme, Lyon, Atelier de Création Libertaire, 1988. Più avanti si citerà dall’edizione anglo-americana Anarchy and Christianity, Grand Rapids (Michigan), William B. Eerdmans Publishing Company, 1991.

2 Nella teoria politico-rivoluzionaria di Marx-Engels, è destinato a sparire lo Stato in quanto Stato politico, in quanto organismo di oppressione di una classe sull’altra, non in quanto Stato amministrativo, in quanto Stato che provveda all’amministrazione dei servizi di cui anche una società comunista evidentemente necessita, F. Engels, Anti-Dühring, Roma, Edizioni Rinascita, 1955, p. 305 e K. Marx, Critica del programma di Gotha, in K. Marx-F. Engels, Il partito e l’internazionale, Roma, Edizioni Rinascita, 1948. Sulla questione resta molto importante D. Zolo, La teoria comunista dell’estinzione dello stato, Bari, De Donato, 1974.

3 J. Ellul, Anarchia e cristianesimo, cit., pp. 34-35.

4 Ivi, p. 35.

5 Ivi, pp. 36-37.

6 A. M. Bonanno, Introduzione al terzo volume delle Opere di Bakunin, Catania, Edizioni della Rivista «Anarchismo», 1976, 6 voll., p. 7.

7 M. Bakunin, Ai compagni della federazione delle sessioni internazionali del Giura (1872), in Opere, cit, III, p. 107.

8 M. Bakunin, Gli orsi di Berna e l’orso di San Pietroburgo. Lamento di uno svizzero umiliato e disperato (1870), in Opere, V, p. 86 e Lettera a Celso Ceretti (marzo 1872), in Opere, II, p. 269.

9 M. Bakunin, La reazione in Germania (1842), Catania, Altamurgia Editore, 1972, p. 31.

10 Una così centrale critica bakuniniana avrebbe costituito una delle principali critiche rivolte dalla maggior parte degli studiosi occidentali alla teoria rivoluzionaria di Marx tra la fine dell’ottocento e quasi tutto il novecento, anche se non sarebbero mancate posizioni meno univoche, come per esempio quella di alcuni studiosi italiani, tra cui U. Cerroni, Crisi del marxismo?, Roma, Editori Riuniti, 1978, p. 32 e D. Zolo, Stato socialista e libertà borghesi, Bari, Laterza, 1976, pp. 157-160, secondo cui la nozione di dittatura del proletariato non occupa «un posto chiave in Marx».

11 M. Bakunin, Stato e anarchia (1873), Opere, IV, p. 220.

12 L. Kolakowski, Nascita sviluppo dissoluzione del marxismo, Milano, Sugar Edizioni, 1980, 2 voll., vol. I, p. 272. Per un confronto Bakunin-Marx, rinvio al capitolo Michail Bakunin e il socialismo contenuto in un mio libro del 1993: F. Luciani, Solitudine militante. Scritti filosofici, Cosenza, Brenner, pp. 115-144.

13 J. Ellul, Anarchia e cristianesimo, cit., p. 41.

14 Ivi, p. 41.

15 E’ questo drammatico stato di cose che oggi sembra venir recepito da libri come quello di G. Crea e F. Mastrofini, Fede malata. Cattolicesimo e istituzioni nevrotiche, Roma, Alpes Italia, 2024 e, in senso teologicamente ancor più significativo, C. Barthe, Troverà ancora la fede sulla terra? La crisi della Chiesa dopo il Vaticano II, Verona, Fede&Cultura, 2024.

16 Ivi, p. 46.

17 J. Ellul, La sovversione del cristianesimo, Verona, Fondazione Campostrini, 2012.

18 C. Langone, Jacques Ellul con la Bibbia e contro lo Stato-diavolo, in “Il Giornale” del 25 marzo 2021, in cui ci si compiace del massimalismo esegetico di Ellul, ma il giornalista cattolico, in compagnia di quest’ultimo, forse non comprende come, biblicamente, non siano il regno, il potere politico, lo Stato in quanto tali ad essere peccaminosi o macchiati dal peccato, esercitando semmai essi la funzione, per divina volontà, di punire, reprimere, arginare, entro determinati limiti, il male e il peccato presenti nel mondo, ma gli usi corrotti e perversi che vengono facendosi del potere politico-statuale come, d’altronde, di qualunque altro potere esistente al mondo, a cominciare da quello dell’intelligenza e della volontà.

19 Cfr. Francis Richard, Anarchie et christianisme de Jacques Ellul, in “Les observateurs.ch” del 14 febbraio 2025.

20 Ivi.

21 Cfr. D. Bonhoeffer, Con i piedi per terra. Un cristiano di fronte a Dio e allo Stato, Alba, Edizioni Paoline, 2020.

22 I tentativi di sostenere la compatibilità tra anarchia e cristianesimo sono da ritenere sostanzialmente velleitari e fallimentari: un recente esempio di fallimentare velleitarismo interpretativo su questo tema è fornito dal libro di A. Babini, Tra anarchia e cristianesimo. La rivista D.M.C.D/CR.AN. e il movimento cristiano-anarchico, Doria di Cassano Ionio (CS), La Mongolfiera, 2022. Quel che non si comprende, nell’effettuare taluni disperati accostamenti, è che Dio non è un tema opzionale e non decisivo ai fini del loro esito.

23 Qui si cita dall’edizione inglese dell’opera di J. Ellul, Anarchy and Christianity, Grand Rapids (Michigan), William B. Eerdmans Publishing Company, 1991, p. 103.

24 Ivi, p. 105.

25 Si allude all’importante opera di J. Ellul, Propaganda. La formazione degli atteggiamenti degli uomini (1962), Prato, Piano B Edizioni, 2023.

26 Chiaro ed esaustivo, anche se a tratti privo di sufficiente distacco critico, è, sugli effetti manipolatori della retorica propagandistica esaminata da Ellul, l’articolo di A. Scarabelli, Propaganda!, in “Il Giornale” del 21 febbraio 2024.

27 Per Ellul critico del progresso indefinito si possono vedere alcune sue opere come: J. Ellul, La tecnica. Rischio del secolo, Milano, Giuffré, 1969 (La technique ou l’enjeu du siècle, Paris, Armand Colin, 1954); L’uomo e il denaro, Roma, Editrice AVE, 1969 (L’homme et l’argent, Paris, A. Colin, 1954); Il sistema tecnico, Milano, Jaca Book, 2009 (Le Système technicien, Calmann-Lévy, 1977). Si veda sulla elluliana critica antitecnologica l’articolo di M. Magatti, Ellul: la fede come resistenza al dominio della tecnologia, in “Avvenire” dell’11 marzo 2025, e sulla riflessione del pensatore francese intorno ai problemi esistenziali posti dal tumultuoso sviluppo tecnologico: A cura di C. Coccimiglio, Jacques Ellul, Sistema, testimonianza, immagine. Saggi sulla tecnica, Sesto San Giovanni (Milano), Mimesis, 2017. Ellul è uno dei precursori della decrescita economica ritenendo contraddittorio il concetto di una crescita illimitata in un mondo limitato: S. Latouche, Contro il totalitarismo tecnico, Milano, Jaca Book, 2014. La propaganda, è da ribadire, è per Ellul l’articolazione più raffinata della tecnica moderna. Inoltre, Ellul aveva previsto con largo anticipo sui drammatici eventi verificatisi tra fine del XX secolo e inizio del XXI secolo, come il riscaldamento climatico, le scorie nucleari e l’inquinamento dell’ambiente e delle acque, pestifere infezioni virali come il covid, ecc., i gravi pericoli cui i continui sviluppi tecnologici avrebbero esposto il genere umano: J.-Luc Porquet, Jacques Ellul. L’uomo che aveva previsto (quasi) tutto, Milano, Jaca Book, 2008.

28 Si cita qui dall’edizione inglese di J. Lellul, Propaganda. The Formation of Men’s Attitudes, New York, Random House USA Inc, 1973, Capitolo V°, paragrafo su “Effetti sulle chiese”.

29 Ivi.

30 Ivi.

31 Cfr. R. Righetto, È tempo di rivalutare l’«anarchia cristiana» di Jacques Ellul?, in “Avvenire” del 30 aprile 2021.

32 S. Jorio, Democrazia e propaganda, in sito on line “L’Indiscreto”, 15 aprile 2024.

33 In questo senso, esiste oggi una pubblicistica fin troppo, e a torto, ottimistica circa la convergenza di spirito anarchico e spirito cristiano: per esempio, L. Santoni, Cristiani e anarchici. Viaggio millenario nella storia tradita verso un futuro possibile,  Formigine (Modena), Infinito Edizioni, 2014; G. Candela-M. Mussoni, Economia e persona nel pensiero libertario e nel pensiero cristiano, Milano, Franco Angeli, 2024, F. Battistutta, Anarchismo religioso, «A rivista anarchica», anno 40, n. 352, aprile 2010 e Z. Carloni, Noterelle sui dintorni di Dio, «A rivista anarchica», anno 40, n. 352, aprile 2010 [si veda anche la lettera di A. Babini, Qualche nota a “noterelle” («A», n. 354, giugno 2010) e la replica di F. Battistutta, Di anarchia e di religione, ancora («A», n. 355, estate 2010)]; F. Battistutta, Anarchia e religione, «A rivista anarchica», anno 40, n. 358, dicembre 2010/gennaio 2011; G. Cimbalo, Comunismo anarchico e libertà religiosa, «Il Diritto Ecclesiastico», n. 1-2, 2022.

34 Appare patetico il non infrequente tentativo di fare di Dio un anarchico: A. Ceparano, Il Dio anarchico in cui credo ovvero considerazioni spirituali, Torino, Robin Edizioni, 2025; P. Massimiliano, Da Kropotkin e Tolstoj a Gesù. Una politica nuova, Villanova di Guidonia (Rimini), Aletti Edizioni, 2022.

35 J. Ellul, Una legge di libertà. Commento alla Lettera di Giacomo, Brescia, Queriniana, 2023, recensito nell’articolo di R. Righetto, Jacques Ellul. Il Cristianesimo, religione della libertà, in “Avvenire” del 17 marzo 2023.

36 L. Bertina-M. Gervais, La fin du monde n’aura pas lieu: l’apocalypse chez E. Mounier et J. Ellul, in “Fin du monde”, journée d’études, Paris, GSRL, 10 dicembre 2012.

37 L. Lugaresi, Vivere da cristiani in un mondo non cristiano. L’esempio dei primi secoli, Torino, Lindau, 2020; P. Martinelli, La testimonianza: verità di Dio e libertà dell’uomo, Alba, Edizioni Paoline, 2002.

38 Un caso eclatante di incompatibilità religiosa è costituito, per esempio, dal rapporto tra cristianesimo ed islamismo che Ellul riteneva essere irriducibilmente antagonistico: J. Ellul, Islam e cristianesimo. Una parentela impossibile, Torino, Lindau, 2017.

39 G. Maldonado, La preghiera potente. Quando Dio ascolta e risponde alle preghiere, Milano, Eternity, 2019; U. Costa, Il Credo. Preghiera e impegno, Pellezzano (Sa), Editore Dottrinari, 2003.

40 S. Bataillon, Riscoprire la voglia di agire di fronte le grandi sfide del mondo moderno. Jacques Ellul, in ““La Croix” del 30 agosto 2024; G. Chiodi e M. I. Macioti, Teocrazia e tecnocrazia, Napoli, Guida, 2019. Alla lunga, una tecnocrazia esasperata non può che risultare antitetica alla sovranità popolare e democratica, e questo deve costituire anche più di un semplice campanello di allarme: F. Antonelli, Tecnocrazia e democrazia, Roma, L’Asino d’oro Edizioni, 2019.

41 S. Bataillon, Riscoprire la voglia di agire di fronte le grandi sfide del mondo moderno. Jacques Ellul, cit. 

 

 

 

 

 

 

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