Si può convenire su una definizione di laicità «come valore comune e costume sociale in una societas di uguali-nelle-differenze che non cancella le diverse appartenenze ma le pone dialogicamente l’una di fronte all’altra, favorendo un’intesa comune su princìpi e valori condivisi (e si pensi solo ai diritti umani)»1. Senonché una comune fede in questo valore e nella sua intrinseca funzione dialogica non solo non cancella le diverse identità a confronto ma non sempre è in grado di assicurare il dialogo e, ancor più, l’intesa e la condivisione di princìpi e valori condivisi: anche sui diritti umani accade che non si raggiunga sempre una unanimità di giudizi e convergenze, per così dire, sufficientemente unitarie. La laicità, nel senso più radicale ma anche più costruttivo del termine, deve essere comprensiva tanto di aperto e libero confronto civile e democratico, quanto della possibilità che, al di là del confronto più dialettico e pluralistico, permangano differenze insanabili, contrasti e conflittualità irriducibili tanto in rapporto ai poteri e alle autorità costituite dello Stato quanto in rapporto alle diverse o eterogenee visioni del mondo pure presenti nella società civile. La storia si evolve ma in essa, sia pure in forme o modi sempre diversi, permangono strutture di contrapposizione e di conflitto resistenti a qualunque processo di modernizzazione e di evoluzione storico-civile e culturale.
Nel caso del cristianesimo, in particolare, chi rifletta attentamente sulle caratteristiche costitutive del suo annuncio dottrinario, escatologico e soteriologico, non può non prendere atto di come la libērtas cristiana abbia il suo criterio fondativo e direttivo in un insieme di norme e prescrizioni che, ancor prima di assicurare fedeltà ad una qualsiasi convivenza umana e civile, sono volte ad assicurare fedeltà ad una legislazione che non è necessariamente di questo mondo storico. Donde la persistenza di uno scarto permanente tra il mondo nelle forme in cui viene realizzato e il mondo così come attende di essere realizzato; ma, poiché tale scarto può riguardare molte altre visioni del mondo, bisogna anche precisare che lo scarto cristiano passa tra un senso immanente e un senso trascendente dell’attuabilità della storia umana, mentre quello di tante altre concezioni filosofiche e politiche del mondo è tutto interno ad un orizzonte concettuale e valoriale immanente. Certo, anche altre religioni come l’ebraismo e l’islamismo sembrano ottemperare a questa stessa logica ma la differenza tra esse e quella cristiana è che il Dio di riferimento è profondamente diverso e implicante modi differenti di considerare il rapporto tra immanenza storica e trascendenza metastorica e i modi stessi di stare al mondo e vivere in società2. Là dove, rispetto ad ebrei e cristiani, l’unico Dio legittimo, per i cristiani, è il Dio-Padre rivelato da Cristo, donde derivano conseguenze pratiche molto diverse e, soprattutto in prospettiva, anche opposte.
Il Dio cristiano è un Dio che legittima ma relativizza la sovranità dello Stato, nel senso che senza pretenderne fondamenti e scopi teocratici, ne riconosce l’autonomia legislativa e l’imperatività giuridico-normativa in rapporto alle necessità temporali dei popoli e dei singoli individui, chiedendo solo che essa rispetti la fede nella volontà dell’unico e vero Dio, ovvero quello incarnatosi in Cristo. Evidentemente questo principio di laicità, che è a fondamento di uno Stato libero di legiferare e darsi gli ordinamenti giuridici, civili e culturali ritenuti più rispondenti alle sue interne necessità, ma non di proporre o avallare comportamenti e modelli sociali contrari alla legge rivelata di Dio, può fungere da principio di tolleranza e di valida integrazione civile tra tutte le fedi, religiose o non religiose, sino a quando nessuna di esse, ivi compresa quella cristiana, tenda a sopraffare eversivamente o violentemente le altre o ad esigere che lo Stato venga conformandosi indiscriminatamente ai desiderata di chicchessia. Peraltro, lo Stato è fallibile, come lo è la stessa Chiesa, e di per sé anche la sua condotta fallace e iniqua non giustifica forme esasperate di disobbedienza civile o addirittura di insubordinazione eversiva o rivoluzionaria, ma solo forme pacifiche di sia pure risoluta e perseverante resistenza civile e religiosa.
D’altra parte, quando si dice che la laicità avrà sempre fondamentalismi da combattere e da emarginare, bisogna stare attenti alla consistenza logica di ciò che si afferma, innanzitutto perché non è sempre facile stabilire cosa sia o non sia fondamentalista o settario e poi perché fondamentalista o settario potrebbe essere proprio lo Stato. Il fondamentalismo, va sempre precisato, non ha solo una natura religiosa ma può avere anche una natura politica, non solo nei paesi islamici ma nello stesso Occidente3. Chi stabilisce quali debbano essere i criteri o le condizioni, e soprattutto gli esiti, dell’incontro o del dialogo? Chi stabilisce cosa sia realmente ragionevole e compatibile con forme di convivenza civile e democratica? Si badi: civile e democratica, non incivile e demagogica. Come si può razionalmente e ragionevolmente sostenere che per laicità debba intendersi «intesa e collaborazione tra diversi e superamento di ciò che divide, rimettendo al centro del dialogo i diritti umani e il telos della democrazia»4? Ci possono essere o devono esserci per forza le condizioni di un’intesa e di una collaborazione? E da chi esse dovrebbero essere fissate o stabilite? E sui diritti umani si possono dare idee o valutazioni diverse oppure esiste un metodo infallibile e razionalmente codificato da poter essere tranquillamente assunto per fugare qualunque dubbio o perplessità? Quanto al telos democratico, esso non dovrebbe essere dato semplicemente dal fatto che a prevalere politicamente e socialmente siano ogni volta orientamenti popolari maggioritari sia pure disciplinati da norme che salvaguardino il diritto delle minoranze ad esistere e ad esprimere liberamente il proprio pensiero? Bisogna pur dirle queste cose, se non si vuole che il discorso sulla laicità diventi generico e fumoso. Certe regole della laicità e di una laicità correttamente interpretata e applicata potrebbero risultare svantaggiose anche per cristiani e cattolici, i quali dovrebbero essere tuttavia pronti a difendere ugualmente e silenziosamente la loro fede anche in caso di sconfitte politico-elettorali e di emarginazioni civili, ma non esistono forme praticabili di laicità democratica al di fuori di quella testè enunciata.
Contrariamente a quel che si viene asserendo, «dogmatismi e certezze assolute» non «fanno barriera all’incontro e al dialogo», ma ne sono parti o fattori integranti5, per il semplice fatto che anche chi muove dal presupposto che si diano esclusivamente verità razionali puramente storico-immanenti e unilateralmente condivisibili e certezze soggettive e intersoggettive di carattere universale ma non anche dotate di fondamento assoluto, viene esprimendo una posizione dogmatica e una certezza assoluta. I problemi della vita e della storia, e dello stesso sapere universale dell’uomo, non si risolvono rifugiandosi in termini come dogmatismo, assolutismo, fondamentalismo o totalitarismo, ma semplicemente proponendo le proprie idee e le proprie argomentazioni e cercando di coinvolgere quanta più gente possibile per ottenerne l’adesione anche sul piano politico ed elettorale, in base ai cui esiti poi lo Stato laico venga realmente operando di conseguenza. Peraltro, la tendenza ad individuare modelli forti e autorevoli di laicità nella Chiesa cattolica e nel pensiero democratico in genere, semplicemente per dire che la Chiesa attuale non è più «autoritaria e dogmatica» come quella preconciliare ma dialogica e culturalmente più aperta ed evoluta, nonché più disposta alla logica globalizzante del «reciproco riconoscimento»6, e per tessere un solenne elogio degli ideali democratici del libero pensiero e dei connessi valori emancipativi di segno “progressista”, appare piuttosto risibile e grottesca, perché semmai questa operazione teorica può coincidere con una ben definita e particolare idea, seppure legittima, della laicità, non già con un’idea larga e regolativa di laicità e come tale realmente funzionale ad un pieno e vitale dispiegamento democratico di forze intellettuali, etico-civili e spirituali7.
La Chiesa è o deve essere per sua natura non autoritaria ma autorevole, in parte dogmatica sul piano dottrinario e teologico e in parte aperta al confronto critico-culturale oltre che tollerante e caritatevole ma non cedevole in un’ottica pastorale, mentre non può essere democratica essendo costitutivamente gerarchica, come appare ben chiaro anche sotto il pontificato di papa Bergoglio, che in vero ne sta determinando una vistosa perdita di autorevolezza almeno dal punto di vista strettamente spirituale e religioso. Ora, identificare la laicità con una forma mentis del tutto antitetica al possibile ritorno di un ripugnante “medievalismo”8, secondo una percezione storiografica verosimilmente riduttiva e volgare del Medioevo, significa non capire probabilmente che la laicità, comunque la si venga rappresentando o idealizzando e lungi dall’essere la panacea dei mali e delle involuzioni storico-civili del mondo, potrà certo favorire e potenziare la libertà di pensiero e di religione e il confronto culturale tra visioni diverse ma non potrà mai consentire di superare contrapposizioni e conflitti ricorrenti tra le idee, i valori e le passioni degli uomini. Chi non capisce questo, della laicità continuerà a parlare solo come di un mito, come di un grido di battaglia fine a se stesso e non suscettibile di tradursi in concreta e proficua opera di rinnovamento civile e democratico, come di un falso valore destinato a dissolversi ad ogni vero impatto con la realtà drammatica della vita e della storia veramente vissute e sofferte degli uomini. D’altra parte, cattolici e “laici integralmente cattolici” come lo scrivente non esitano a raccogliere la provocazione dell’accusa di medievalismo per affermare in tutta serenità, in compagnia del clero cattolico degli anni sessanta, che quelle forme di laicismo —ateismo militante, agnosticismo e storicismo, laicità cattolica portata a censurare qualsiasi intervento del ceto ecclesiastico nell’ordine temporale — che in quegli anni serpeggiavano anche nelle comunità cattoliche, hanno anch’esse diritto di cittadinanza nella odierna società laica ma non uguale diritto di cittadinanza all’interno del mondo cattolico9.
Non è che, come molti laici irreligiosi sostengono, un’assoluta fedeltà a Dio e alla sua Chiesa debba necessariamente compromettere una fedeltà profondamente umana e civile alla terra, agli impegni di giustizia, di liberazione e di pacificazione che da essa costantemente scaturiscono. L’attenzione verso l’assoluta alterità, la fede nell’assolutamente Altro, non è un impedimento ma un incentivo all’attenzione verso gli altri, al rispetto delle ragioni altrui anche quando non siano in parte o in toto condivisibili e richiedano eventualmente di essere combattute per il bene comune. E il cattolico, nell’assumersi specifiche responsabilità mondane di natura affettiva, intellettuale, politica o economica, non sa mai fino a che punto esattamente egli venga operando nel rispetto della volontà divina e degli insegnamenti evangelici, non perché l’una e gli altri non gli siano ben chiari ma perché applicarli alle concrete e mutevoli circostanza della propria quotidianità è ben più impegnativo di quanto si potrebbe pensare: specialmente se non si sia inondati di grazia e di spirito divini. Peraltro, come diceva Pascal, quando si agisce non si può mai sapere se le nostre azioni saranno coronate da successo o insuccesso, se produrranno esiti positivi o negativi, utili o dannosi per sé e per coloro nel cui nome siano state intraprese, perché le azioni implicano pur sempre un margine di rischio e un atto di fede10. Ma questa è laicità, anche questa è laicità, fede nella laicità: la fede nell’assoluto e la coscienza della fallibilità dei nostri pensieri e delle nostre opere, per quanto concepiti in spirito di verità, di giustizia e di obbedienza ai comandi di Dio11. Anche gli atti laicamente compiuti con fede e per fede sono fallibili e sempre bisognosi di correzione umana e soprattutto divina. Da questo punto di vista non si correrà mai il rischio di essere troppo laici, così come non si correrà mai il rischio di essere troppo mistici12. Non è da escludere che «solo il credente» possa «essere autenticamente laico … Non è forse la fede il luogo autentico della critica dei sacri rinascenti? Non è forse vocazione biblica del credente (dell’uomo di fede maturo) purificare, anziché incentivare i revivals religiosi? Solo una fede incrollabile, eppure trepida non consolatoria ma che conosce la gioia della ricerca, dà luce e forza … per lavorare, con lena competente e intenzione spirituale, nell’incerto quotidiano»13.
Questo, naturalmente, non vuol dire che quanti non abbiano una formazione religiosa e una sensibilità cristiano-cattolica non possano contribuire efficacemente alla costruzione del regnum hominis e, indirettamente, a quella del regnum Dei, dal momento che lo Spirito soffia dove vuole e in modi non di rado sorprendenti e sconvolgenti. Chi, a diverso titolo, è membro sia della società religiosa che della società civile, cercherà di testimoniare anche sul piano civile la fede nei valori spirituali e religiosi di cui consta la sua complessiva identità personale, pur senza pretendere di imporli alla totalità dei cittadini, mentre coloro che, per formazione e convinzione, appartengano solo alla società civile cercheranno di dare contributi conformi ad un principio di razionalità teorico-pratica, sia pure non sostenuta, implicitamente o esplicitamente, da alcuna fede religiosa e, più segnatamente, da una fede cristiana e cattolica. Non è affatto detto che gli apporti intellettuali, etici e politici, dei laici cattolici debbano risultare sempre o necessariamente più ispirati, attendibili e incisivi, rispetto a quelli provenienti dai laici non credenti, per il semplice fatto che la fede non accresce le capacità intellettive e conoscitive e le abilità specialistico-professionali degli individui che ne dispongano, anche se può fortificarne il pensiero e le convinzioni e irrobustirne la volontà di scelta e di azione. Può anzi accadere che, in determinati contesti esistenziali e in determinati contesti storico-sociali, i laici non credenti siano più in grado di muovere creativamente la storia e il sapere. Tutti, indistintamente, seminano nel campo della vita e della storia a volte grano e a volte zizzania, chi più grano e chi più zizzania, talvolta anche in contrasto con i ruoli di soggetti credenti o di soggetti non credenti14. Può accadere certo, durante la semina, che gli uni e gli altri si scambino i ruoli ed è anche per questo che il Signore comanda ai servi di non sradicare la zizzania fino alla mietitura (Mt 13, 24-30): perché ogni singola persona abbia il tempo, attraverso le sue esperienze interiori ed esteriori di vita, di riconsiderare se stesso, il proprio pensare e il proprio sentire, le proprie convinzioni e le proprie azioni, e di scegliere, con sempre più piena cognizione di causa, tra il buon seme della dipendenza dal Logos divino o il cattivo seme della subordinazione a false, parziali e transitorie verità terrene.
Dunque, in questo senso, emerge chiaramente come la laicità non sia esclusivo appannaggio né dei non credenti, né dei credenti, né dei fautori del più radicale materialismo, né dei fautori di forme altamente mistiche di spiritualità, ma quello che va sempre ricordato è che, come già rilevato, la distinzione tra società civile e società religiosa è nata con il cristianesimo15, ed è ciò che, dunque, viene implicando una fede cristiana coerentemente vissuta. Ma allora a cosa si deve il proliferare di significati spesso diversi e difformi del termine laicità, a cosa si deve cioè il suo significato polisemico? Oggi sembrano non sussistere più dubbi al riguardo, nel senso che tale polisemia deriva «dalla trasmigrazione del termine dall’ambito linguistico della Chiesa a quello del saeculum. In buona sostanza, mentre il sostantivo “laico” (laicus nella lingua latina), ed il derivato “laicità”, nel linguaggio dei teologi e dei canonisti aveva mantenuto, almeno a partire dal II secolo, un ben preciso significato, nel linguaggio secolare era venuto assumendo una pluralità di accezioni passando attraverso le temperie della politica nel medievale conflitto tra papato ed impero, dell’umanesimo nel Rinascimento, del seicentesco avvio delle scienze naturali e, infine, del pensiero politico-giuridico dell’età dell’illuminismo»16. Proprio da questo sarebbe derivato una Babele delle lingue e delle interpretazioni per cui, in sostanza, se da una parte ne sarebbe conseguito lo sforzo della Chiesa di elaborare una dottrina cattolica della laicità, in linea con le origini evangeliche di questo principio-valore, dall’altra si sarebbe tentato, attraverso una pluralità solo in apparenza variegata ed eterogenea di voci e di proposte, di tracciare una netta linea di demarcazione tra un univoco agire civile laico, che richiederebbe un’assoluta autonomia di coscienza e una totale autonomia di giudizio rispetto a tradizionali princìpi di autorità e a presupposti metafisici e/o religiosi, e un agire religioso e cattolico che dovrebbe poter valere solo in ambito privato e, in nessun caso, in ambito pubblico o politico.
Ma non la Chiesa preconciliare, bensì la Chiesa conciliare e postconciliare, riprendendo l’antico insegnamento contenuto nella lettera A Diogneto, avrebbe concepito se stessa «non come una società diversa e distinta dalla società civile, addirittura ad essa contrapposta, ma come una comunità di persone che è nella società civile e come fermento la fa crescere secondo il progetto di Dio. Si legge, infatti, in quel testo della letteratura cristiana antica, che “i cristiani svolgono nel mondo la stessa funzione dell’anima nel corpo”»17. I cattolici, pertanto, devono operare nelle realtà temporali, autonome anche se non indipendenti da quelle specificamente spirituali e religiose, tendendo a far avanzare in esse il Regno di Dio, a migliorarle, a farle progredire, a santificarle per il bene dell’intera collettività, ivi compresa quella parte non credente di essa che lavora al miglioramento delle realtà temporali a prescindere da qualunque fede religiosa. Da una parte, allora, si ha una laicità cattolica che prevede la distinzione tra Stato e Chiesa, dall’altra una laicità secolaristica che, a partire dall’illuminismo e dalla rivoluzione francese, viene autonomizzandosi e anzi contrapponendosi al cristianesimo e alla Chiesa cattolica, sino a diventare eterogeneo rispetto ad entrambi come espressione di una mentalità ormai emancipatasi dalla bimillenaria religione cristiana. Questi due modelli di laicità da poco più di due secoli si fronteggiano, talvolta risultando più collaborativi talvolta più conflittuali, ma il problema è che, stando così le cose, si rende sempre più necessaria la ricerca di un’idea di laicità capace di superare la contrapposizione per risultare democraticamente comprensiva tanto delle istanze religiose e segnatamente cattoliche quanto delle istanze non religiose e, ancor più marcatamente, non cattoliche. Ma bisogna ancora precisare che non si tratterebbe di voler rendere sotto sotto confessionale e/o decisamente cattolico lo Stato repubblicano e democratico italiano, così come fuori dell’Italia non si tratterebbe di pretendere, solo per fare un esempio, una trasformazione del confessionalismo comunista dello Stato cinese in qualcosa di almeno più prossimo alle laiche democrazie occidentali, ma di lottare in tutto il mondo civile per sperare di assistere ad una graduale, pur se lenta, evoluzione verso forme laiche di organizzazione statuale in cui possano confrontarsi e prevalere democraticamente, in sede elettorale e politico-legislativa, ora programmi areligiosi o irreligiosi ora programmi religiosamente e cristianamente ispirati, sempre naturalmente facendo salvo il diritto delle mutevoli minoranze ad esistere in condizioni di sicurezza e ad esprimere liberamente idee e convinzioni18.
In sostanza, lo «Stato autenticamente laico … assicura la piena libertà religiosa: individuale, collettiva e istituzionale; una libertà intesa non solo in termini negativi, cioè come mera immunità da coercizioni esterne in materia di coscienza, ma anche, in termini positivi, come impegno delle istituzioni pubbliche di rimuovere gli ostacoli – di natura giuridica, culturale, sociale ecc. – che in concreto dovessero impedirne l’esercizio; ancora una libertà che si riflette sul piano dell’eguaglianza, evitandosi discriminazioni dovute alla credenza»19. Ma bisogna considerare che un siffatto modello di Stato laico si troverebbe ad operare ormai nel tempo della cosiddetta postmodernità, ovvero un tempo in cui si viene esaltando l’istinto, le passioni, l’irrazionalità e rifiutando il dovere, le regole, il senso etico della responsabilità personale, nel quadro di un’atmosfera culturale il cui fulcro, almeno tendenzialmente, non è costituito dalla domanda sui modi in cui sia possibile o necessario spiritualizzare la vita biologica ma dalla propensione a ridurre la vita spirituale a poco più dei bisogni psico-biologici della vita stessa. Si ha a che fare con modelli di comunicazione sociale e con la costruzione di pubblici profili identitari generalmente basati su una pregiudiziale avversione o indifferenza anticristiane e, talvolta, persino antiumane. O meglio si continua ad evocare valori umani, morali, civili ma in modi così falsi, rozzi e strumentali e così lontani da criteri di serio e responsabile discernimento da giustificare l’indignato sospetto di chi ha come la sensazione di assistere ad una sorta di capovolgimento di prospettive anche solo in senso prettamente laico: da una prospettiva come quella di conio nietzscheano per cui si sarebbe dovuto tendere alla costruzione di un’umanità moralmente superiore (Übermensch) ad una prospettiva in cui ci si venga accontentando di un’umanità unter-mensch20, ovvero sub-umana, stanca della vita, disinteressata ai valori alti di una civiltà sviluppata, indifferente alle sorti della specie umana e semplicemente rassegnata a trovare rifugio, ove possibile, negli agi, nelle comodità, nei piaceri di una vita mai presa realmente sul serio oppure nel quotidiano e abitudinario soddisfacimento di normali bisogni materiali e sociali di vita.
Se la croce non svetta più sulle pratiche e sulle aspettative rutinarie degli uomini e delle donne di questo tempo, sembrerebbe non restare che un solo modello di laicità, il modello riduttivo e unilaterale noto come laicismo, secondo cui la vita è destinata ad essere amministrata e regolamentata più che ad essere progettata e vissuta alla luce di possibilità esistenziali radicalmente alternative. Ma, poiché quella croce, con la morte, evoca pure la risurrezione e la vita, chiunque continui a serbarla nella mente e nel cuore anche all’interno di un mondo che ne disconosca il significato salvifico o si limiti a celebrarla come un antico e rappresentativo cimelio della civiltà umana, continuerà a testimoniare la sua fede in una civiltà che non si esaurisce nella natura esclusivamente storica e nelle finalità immanenti della sua processualità. Ma se la croce dovesse definitivamente eclissarsi nell’immaginario collettivo del mondo, questo evento non potrebbe che produrre deculturazione, depoliticizzazione, manipolazione familiare, demografica e psicologica, perché, così come niente più del cristianesimo ha creato condizioni storiche di libertà, di conoscenza e vita civile, di progresso ed emancipazione umana, allo stesso modo niente più dell’eventuale scomparsa storica di Dio-Cristo, potrebbe determinare o favorire l’appiattimento delle coscienze, la tecnicizzazione e la banalizzazione delle intelligenze, la radicalizzazione di identità culturali e religiose sostanzialmente anonime e prive di peculiarità realmente distintive anche se nominalmente rivendicative di appartenenze diverse. Finirà in modo irreversibile l’egemonia cattolica ma, in pari tempo, finirà l’etica laica di matrice kantiana, la cui ragion d’essere può sussistere solo in quanto sussista l’etica cristiana come termine di confronto e possibilità di scelta21.
Se la laicità implica la salvaguardia delle appartenenze e delle differenze ponendole però tutte sullo stesso piano e quindi dotate di uguale dignità, in realtà essa risulta essere moralmente e politicamente, oltre che culturalmente e religiosamente, indifferente, ma con e nella indifferenza non può costruirsi alcuna civiltà al di là delle forme che essa sia già venuta assumendo. La laicità si fonda perciò su un paradosso: da una parte, dovrebbe contribuire a superare le contrapposizioni dogmatiche e autoritarie attraverso il libero e aperto confronto pubblico, ma dall’altra non può e non intende rivendicare alcuna specifica capacità di scelta e di indirizzo al di fuori di quella che venga imposta esclusivamente dalla necessità di garantire sicurezza e ordine pubblico per tutti i cittadini, laddove non sembrerebbe molto tranquillizzante il lasciare che la società si trasformi in una specie di calderone in cui le idee, le credenze, le opzioni e i gusti più diversi o contrastanti restino in uno stato di costante ebollizione. Tale preoccupazione vale, in modo particolare, proprio in relazione alle componenti religiose che agiscono nella vita civile di larghissimi strati della popolazione mondiale e delle stesse popolazioni nazionali. Come è stato ben rilevato, «Il fattore religioso costituisce un problema per l’uomo nel suo esercizio pubblico. La privatezza del legame con Dio è sempre più superato da un crescente impegno delle associazioni a carattere religioso nel campo sociale e culturale che viene così a penetrare — e sfidare —il campo di dominio civile e politico. La percezione del problema, oggi, sembra aumentare data la maggior presenza di diverse — e anche nuove — religioni sul nostro territorio, dovuta in parte al fenomeno immigratorio, in parte alla riscoperta del sacro come bene rifugio alla crisi economica. Il principio invocato a risoluzione della gestione del problema delle religioni sul piano giuridico e sociale è quello della laicità che, vista la difficoltà, è dichiarato principio in crisi»22. Donde la necessità che la laicità venga profondamente ripensata, a cominciare dal fatto che, nel suo nome, non possa essere più invocato un preteso diritto dello Stato costituzionale e democratico italiano a bandire dal pubblico dibattito apporti politici di segno cattolico che siano fedele espressione di princìpi e convincimenti religiosi di matrice biblico-evangelica.
D’altra parte, il principio costituzionale di laicità, emergente dagli articoli 2, 3, 7, 8, 19, 20 del testo costituzionale, non implica un disinteresse dello Stato per le religioni ma, al contrario, un’attenzione speciale per la loro libertà di espressione e di culto in un quadro di pluralismo confessionale e culturale23, anche se il grado di legittimazione costituzionale di ogni singola religione dovrebbe essere commisurato, a voler applicare una logica giuridica più stringente e rispettosa delle tradizioni di ogni popolo, all’estensione e alla profondità di radicamento storico e popolare che ogni singola confessione religiosa presenta all’interno dei territori nazionali in cui abbia trovato sede provvisoria o permanente. Ma, di fatto, laicità è il riconoscimento della differenza di ogni singola identità religiosa rispetto alle altre e del diritto di ognuna di esse a non subire limitazioni di sorta di tipo maggioritario, ma, per questo stesso motivo, ogni religione è in-differente rispetto alle altre: che, come già detto, non sembrerebbe corrispondere propriamente ad un fulgido esempio di obiettività e di razionalità giuridico-politica. La laicità, in questo modo, è il principio della differenza indifferente, cioè del niente24, donde appunto la sua problematicità o aporeticità di fondo. Ma ancor più critica e suscettibile di degenerazioni incontrollabili è la laicità nella sua accezione più rigida e dogmatica, ovvero il laicismo, portatore di un vero e proprio spirito religiofobico, in quanto rifiuta il religioso nella sfera pubblica, relegandolo alla sola sfera privata e promuovendo in questo modo la sua emarginazione, ghettizzazione, settarizzazione, terreno fertile per i neototalitarismi o parcellitarismi. La laicità rischia così di rovesciarsi nel suo contrario: in un chiuso «principio dogmatico» di separazione25 tra lo Stato e la società civile e la pluralità religiosa di cui quest’ultima costitutivamente si nutre.
Qui, però, bisogna sollevare un’altra questione su cui generalmente, anche da parte cattolica, si ritiene di non dover insistere troppo per non rischiare di creare situazioni particolarmente conflittuali e dannosi per la civile convivenza, ma che almeno i cattolici avrebbero il dovere di sollevare con forza, quanto meno sul piano civile e culturale, nel momento in cui i loro avversari ritengano di poter escludere reiteratamente che uno Stato laico, in quanto tale, non possa, né debba essere uno Stato confessionale nel segno del cristianesimo-cattolicesimo, e che quindi i suoi ordinamenti e le sue leggi non possano e non debbano conformarsi a princìpi e valori religiosi radicati nel vangelo. Fermo restando, infatti, che in una società laica deve esserci spazio per tutti e financo per cinici nichilisti, fanatici rivoluzionari e teorici dell’irrazionalismo più estremo fino a quando alla libertà di pensiero non si aggiunga l’istigazione a delinquere o a compiere atti eversivi contro lo Stato e la società civile affidata al suo governo, da un punto di vista storico la data di nascita della laicità statuale coincide — non sarà mai troppo ribadirlo — con l’avvento dell’era cristiana e dunque non risulta affatto che in origine lo Stato separato dalla società religiosa ovvero dalla Chiesa non dovesse essere confessionale, religioso e ossequioso verso la divinità. Anzi, era lo Stato che, lungi dalla tentazione di assurgere ad entità divina e a differenza dello Stato imperiale romano, non avrebbe dovuto assolutizzare se stesso né pretendere che ad esso fossero sacrificate la dignità e la libertà della persona umana. In origine, il termine “laico”, laikós, “uno del popolo”, designava proprio in ambito cristiano l’uomo di fede non ordinato e consacrato alla vita religiosa e quindi distinto dal “chierico”, da colui che appartiene al clero. Il laico era, pertanto, lo stesso cristiano non incaricato di officiare le sacre funzioni della fede, cioè il cristiano non presbitero, non sacerdote, non prete, non ecclesiastico, mentre il non cristiano, ovvero l’ateo o l’agnostico o chiunque non professasse la fede in Cristo, solo in un momento storico assai posteriore sarebbero stati inclusi nella categoria dei laici, mentre inizialmente facevano parte dei “gentili”, prima, e dei “pagani” poi.
Ora, penso che in una democrazia laica matura a tutti si dovrebbe riconoscere non solo il diritto di professare liberamente, in privato e in pubblico, la propria fede, ma anche il diritto di difendere apertamente la propria storia, la propria tradizione, il significato e il valore di atti innovativi compiuti a beneficio della civiltà umana, e infine il diritto di riproporre anche in sede giuridica e politica il tema di uno Stato laico non costitutivamente anticonfessionale o aconfessionale ma sovraconfessionale e tuttavia nel solco di un tradizionale e sempre rinnovato sentire cristiano e cattolico. Il che, peraltro, non impedirebbe l’insorgere di conflitti tra potere politico e statuale e potere spirituale e religioso, come è ampiamente dimostrato da secoli e secoli di storia nel corso dei quali non pochi re o sovrani cristiani si trovarono a confliggere con il mondo ecclesiastico e pontificio26. Anche qui, naturalmente, il popolo dovrebbe essere sovrano nei limiti del rispetto in ogni caso dovuto a tutte le confessioni religiose indistintamente.
Nel frattempo, però, l’ideale laico, riconosciuto dalla Costituzione italiana, di uno Stato “neutrale”, “equidistante”, “aconfessionale”, continua ad apparire minato da difficoltà insormontabili e dal tarlo dell’ipocrisia, perché non esiste nessun neutralismo, nessuna equidistanza, nessuna aconfessionalità etica e religiosa, che non si traduca ineluttabilmente in una sorta di indifferentismo etico e valoriale che, mentre di fatto favorisce la prevalenza o l’emergenza giuridico-legislativa di falsi diritti e false libertà, svuota di significato il concetto di bene pubblico o comune che non può corrispondere alla somma o ad un accumulo quantitativo di visioni, interessi e gusti contrastanti o antitetici ma che può essere solo salvaguardato dalla capacità di operare scelte precise che riflettano in parte un’istanza formale di uguaglianza e integrazione civile ma in parte e soprattutto una più complessiva istanza critico-selettiva di natura etico-conoscitiva idonea a conferire non generici e astratti ma solidi, chiari, inequivoci e vincolanti orientamenti giuridici e legislativi tanto alle strutture statuali quanto all’intero organismo sociale. Dalla qualità etica e razionale delle scelte effettuate e dei criteri direttivi preposti alla complessiva attività dello Stato dipende la sua maggiore o minore efficacia di governo. In altre parole, sarebbe necessario che lo Stato democratico si dotasse di princìpi non negoziabili conseguenti ad un lavoro di serio e profondo discernimento anche a costo di scontentare settori o gruppi di società civile non sufficientemente rappresentativi di ideali universalistici di umana e civile convivenza27. Presumo che un siffatto lavoro di discernimento e scelta non potrebbe prescindere dagli apporti di un cattolicesimo rigoroso, equilibrato e coerente, pena il concreto e ravvicinato rischio di implosione dello Stato laico e democratico.
Ma, purtroppo, la laicità è uno di quei temi che, più di altri, si presta ad essere trattato più in modo retorico che in modo rigorosamente logico e sia pure nei limiti di una soggettività umana largamente e proficuamente esercitata nell’arte del ragionamento e dell’argomentazione28. La laicità è spesso trattata retoricamente ma, a dire il vero, non in un’unica direzione: anche i cattolici, talvolta, non si accorgono di difendere concreti e specifici interessi finanziari e temporali dello Stato Vaticano e di tutta una serie di organizzazioni associative e caritative che vi ruota attorno più che la libertà religiosa della loro Chiesa intesa come comunità ecclesiale fatta di ecclesiastici e fedeli laici, ovvero il loro diritto a far valere, secondo le regole democratiche, anche in sede pubblica, politico-legislativa e culturale, i princìpi e i valori della propria fede specialmente in relazione a tematiche etico-civili particolarmente rilevanti. Ma non meno retoriche sono le considerazioni di quegli esperti di diritto costituzionale che, nutrendo in realtà inconfessato pregiudizio o avversione personali verso la cultura religiosa cattolica, fingono di essere super partes quando eccepiscono che l’appartenenza maggioritaria ad una determinata confessione religiosa, come ad esempio quella cattolica, non debba determinare giuridicamente particolari aperture di credito a suo favore, ma debba contare tanto quanto contano le minoranze religiose29. Questa, a mio parere, è un’argomentazione retorica, speciosa, demagogica, perché un giurista non può trattare egualitariamente le religioni prescindendo dalla loro specificità storica oltre che strettamente dottrinaria e socio-culturale, come se tutte avessero esercitato, esercitino o possano esercitare il medesimo peso sui destini dell’umana civiltà. A volte, viene da chiedersi se certi filosofi, giuristi, sociologi e politologi, abbiano abbastanza cervello per chiedersi se sia realmente giusto, laico, democratico, trattare nello stesso modo comunità religiose che abbiano inciso sulla storia del mondo e, nel caso specifico, sulla storia nazionale italiana, in modi e misura profondamente diversi.
Non si tratta di discriminare, ma semplicemente di riconoscere ad ognuno il suo e di concedergli quel di cui necessita per reiterare la sua opera di civilizzazione. Il problema è che troppi giuristi, magistrati, professionisti a vario titolo della legalità, muovono da concezioni astrattamente e genericamente egualitarie e livellatrici del diritto, senza pensare che si danno questioni e situazioni storico-civili, riguardanti non già singoli individui ma interi gruppi o movimenti sociali, culturali o appunto religiosi, che non possono e non devono essere trattati in modo genericamente egualitario ovvero prescindendo dal loro valore associativo e dalla loro specifica funzione civile e religiosa, se non si voglia compiere, malgrado ogni contraria intenzione, ingiuste e incomprensibili discriminazioni. E’ vero che il diritto non dovrebbe tener conto delle differenze intercorrenti tra i diversi sistemi giuridici del mondo, ma questo può farlo non certo fino ad estraniarsi completamente dalla realtà, dal fatto, per esempio, che in Russia o in Cina l’ateismo di Stato sia di gran lunga più avvantaggiato su un piano giuridico-costituzionale rispetto a qualsivoglia altro e più canonico indirizzo religioso o confessionale. Allora che cosa si vuol fare nel nome dell’universalità del diritto? Lasciare che gli atei abbiano possibilità molto più estese e incisive dei credenti di incidere sull’evoluzione anche politica del mondo? Un giurista italiano o europeo non sprovveduto e realmente integro per intelletto e coscienza dovrebbe o non dovrebbe riflettere su problematiche di questa natura?30.
Contrariamente alle sofisticate e contorte disquisizioni di tanti legulei più o meno illustri, i sentimenti maggioritari ivi compresi quelli religiosi, ove non palesemente contrari a criteri di ragionevolezza e comune moralità, vanno anch’essi rispettati e tutelati in modo adeguato in quanto componenti costitutive essenziali dell’ethos che un popolo intende dare agli ordinamenti istituzionali su cui venga basandosi la sua vita economica, sociale, culturale e religiosa. In particolare, quei giudici che ritengano dover essere il diritto indifferente alle maggioranze democratiche si ingannano perché non capiscono che essi non operano in uno Stato altro e sovraordinato allo Stato di appartenenza ma, appunto, in uno Stato determinato, delle cui tradizioni, usanze, credenze religiose, bisogna tener doverosamente conto non solo in sede politica ma anche nella elaborazione delle teorie giuridiche e nell’emanazione delle sentenze giudiziarie e, soprattutto, nelle applicazioni di leggi che ai giudici non spetta di deliberare e approvare ma solo eseguire. A volerla pensare diversamente, si è condannati ad essere casta, a vivere di casta, in nome e in funzione della casta, che però in democrazia e in ogni società laica che si rispetti non è né ammessa né tollerabile. Donde, certamente, per l’Italia laica e democratica di questo tempo sarà del tutto normale pensare che «il crocifisso è simbolo dal tenore storico e culturale, “dotato di una valenza identitaria riferita al nostro popolo” ed espressione di valori che – come la tolleranza, la libertà di coscienza e la solidarietà – “hanno impregnato di sé tradizioni, modo di vivere, cultura del popolo italiano»31.
D’altra parte, in questa Italia anche una fede laica d’intonazione crociana nella cosiddetta “religione della libertà” non solo emette uno sgradevole suono retorico ma, pur dovendo essere accolta quale confessione tra altre confessioni, non può, per il momento, giuridicamente e democraticamente competere con l’importanza storica, civile e religiosa del cattolicesimo. E, in questo senso, mi pare anche patetico parlare di “tradimento dei laici” ogni qual volta le culture religiose, ma in modo preminente il cattolicesimo, tornano a rivendicare il riconoscimento del loro ruolo pubblico tanto nelle aule parlamentari quanto nelle sedi più qualificate del dibattito culturale: «come scongiurare», ci si viene chiedendo con incomprensibile aria di afflizione, «un nuovo “tradimento dei laici” nel momento in cui le religioni tornano a reclamare con insistenza un ruolo pubblico e una funzione politica, intervengono nei dibattiti parlamentari, nelle discussioni sui temi di bioetica, rivendicano il riconoscimento ufficiale delle “radici” dell’Europa nei progetti di costituzione?»32. Non si comprende perché si dovrebbe delegittimare l’interesse religioso e culturale dei cattolici, suffragato non da semplici e secondari indizi storici ma da interi e interminabili secoli di storia europea, a sottolineare le radici cristiane della civiltà europea. Che poi, accanto ad esse, vi siano anche radici greche o romane o di altra natura, è probabile, ma questo non toglie che principalmente cristiane siano le radici europee. Ci si scaglia poi contro la critica cattolica del contemporaneo relativismo culturale, senza preoccuparsi di capire se con questa espressione si alluda ad un relativismo logico-metodologico, ad un relativismo conoscitivo e scientifico, ormai principio universalmente riconosciuto di tutti i comparti del sapere novecentesco e postnovecentesco, oppure ad un relativismo scettico meramente decostruttivo, demolitivo e privo di oggettiva universalità epistemica, che, attraverso una esaltazione strumentale e unilaterale della “storicità” di qualunque ordine di princìpi e norme morali e religiose, venga introducendo ad un sostanziale indifferentismo in materia di valori e di scelte etico-morali con conseguente banalizzazione degli stessi ultrasecolari valori religiosi della storia e della tradizione cristiano-cattoliche33.
Ecco: la critica ratzingeriana al relativismo era rivolta principalmente a questa seconda accezione del relativismo laicista, perché è alla luce di tale accezione che poi si perviene a legittimare una pluralità sconfinata e indiscriminata di diritti, di valori, di fedi, di affetti, senza minimamente preoccuparsi di verificare se, in tal modo, non si spalanchi in realtà davanti all’uomo contemporaneo una voragine senza fondo di incontrollata istintualità, di incomunicabilità, di conflittualità, di frenetica e irrazionale corsa esistenziale verso una illusoria felicità. Donde poi, e di conseguenza, la pretesa di espellere i cattolici dalla vita pubblica e di ricacciarli nelle catacombe di una fede privata e priva di effetti su forme di pensiero e modi di vita presenti e circolanti nella società e nel mondo civile. C’è chi, apostolo convinto di laicità o laicismo, non ravvedendo alcuna sostanziale differenza tra i due termini, ha notato che «i grandi maestri di laicità (o di laicismo) sono stati spesso spiriti religiosi, taluni addirittura di comprovata fede cattolica. A nessuno è precluso l’ambito della laicità, ma per accedervi non bisogna barare. È certamente vero che il sentimento religioso è stato, in molti casi, il maggior sostegno della lotta per la libertà, poiché esso è incompatibile con ogni forma di autoritarismo spirituale e, quindi, politico. Ma il sentimento religioso non può essere confuso con l’ossequio passivo alle ingiunzioni di una qualche autorità ecclesiastica o con il cinismo di chi, pur di conquistare Parigi, è pronto ad ascoltare una messa nella quale non crede»34. Bene, ma quali sarebbero i cattolici che barano? E, se ci sono, non ci si può limitare semplicemente a dire che sbagliano? Quale bisogno c’è di lanciare una crociata civile e culturale contro il cattolicesimo? Ossequio passivo, cinismo politico-religioso funzionale alla conquista del potere? Tutto vero, ma che c’entrano con tutto questo il cattolicesimo, la sua funzione civile e religiosa, il suo ruolo pubblico e quindi anche politico? Non è che la convinzione che la libertà possa essere usata in qualunque modo e per qualunque scopo esistenziale e messa persino al servizio di tutti gli umori e le voglie del mondo sia civilmente e politicamente più solida e persuasiva di quella per cui essa, pur non soggetta a limiti nel quadro di pratiche strettamente private di vita, debba essere tuttavia regolamentata sul piano sociale e giuridico-istituzionale.
Dà fastidio che i cattolici intervengano pubblicamente sui cosiddetti “diritti civili” o sui problemi posti dalla bioetica? Pazienza, è un fastidio che andrà contenuto laicamente e democraticamente, allo stesso modo di come il fastidio cattolico verso tanto laicismo dilagante non dovrà mai trascendere in una guerra di religione, ma, insomma, si tratta di capire che laicità significa proprio questo: pubblico confronto anche tra posizioni diametralmente opposte e ordinata competizione politico-elettorale per l’affermazione delle proprie idee in sede civile ed istituzionale, senza che ciò debba venire minimamente implicando una riduzione degli spazi di libertà di parola e critica per la o le minoranze di turno. Dove sarebbe il problema? Forse che, nella storia dell’umanità, i cattolici hanno sempre rappresentato o rappresentano posizioni maggioritarie? E’ invece abusivo e arbitrario il punto di vista di chi pensa che il diritto debba essere impermeabile agli orientamenti più persistenti della volontà popolare e delle stesse maggioranze politico-parlamentari e governative e che tutto sia consentito di cambiare tranne che le interpretazioni giuridiche e le costruzioni normative di esperti totalmente e aristocraticamente indifferenti al cosiddetto “spirito del popolo”, anche se questa critica non implica l’abdicare ad un principio di razionalità e, ancor meno, alla propria autonomia di coscienza o indipendenza di giudizio, quanto piuttosto l’obbligo morale di capire preliminarmente che una collettività non si serve piegando ideologicamente la propria scienza giuridica alle esigenze di minoranze funzionali a ipocrite narrazioni umanitarie ma ad oggettive necessità di sicurezza e ordine sociali di masse maggioritarie di popolo che al proprio Stato, ivi comprese le relative strutture giurisprudenziali e giuridico-giudiziarie, chiedono forme concrete ed efficaci di assistenza e protezione.
La tendenza filosofico-giuridica a caratterizzare la laicità in modo univoco e pressoché definitivo nell’epoca postmoderna della frammentazione e della provvisorietà è già in se stessa contraddittoria ma, più in generale, il pretendere di fissare un’idea immobile di laicità è indicativo di una mentalità chiaramente dogmatica e aprioristica da respingere tanto sul piano logico-razionale quanto sul piano politico ed etico-civile. La laicità, come tutto ciò che è storico, non è infatti un principio invariabile, un assoluto atemporale ma il risultato di processi storici per niente lineari e di orientamenti filosofici e giuridici differenti per via dei differenti presupposti o fondamenti da cui muovono35. Nel mondo esistono diversi modelli di laicità, anche se accomunati da alcuni princìpi formali di libertà e pluralismo culturale e religioso che, a seconda dei contesti nazionali e culturali di riferimento, appaiono tuttavia soggetti a difformi o divergenti delimitazioni giuridico-legislative, e lo stesso presumere di poter lavorare ad una graduale unificazione dei diversi sistemi giuridici internazionali richiede non già procedure logico-metodologiche predefinite ma una grande apertura mentale e una capacità di integrazione critica rigorosa e flessibile ad un tempo. Senza ottemperare a siffatte indicazioni preliminari, qualunque teoria della laicità non può che tradursi, più che in una teoria logica della laicità, in una teoria retorica o in una retorica tout court della laicità.
In questo senso, peraltro, non è affatto detto che, alla luce dei numerosi e destabilizzanti fenomeni del postmoderno, tra cui la globalizzazione, i fenomeni immigratori, le guerre regionali in atto virtualmente suscettibili di accendere conflitti sempre più estesi, l’incidenza del multiculturalismo anche o soprattutto religioso sulle tradizionali strutture civili e istituzionali delle società e dei sistemi democratici occidentali, la laicità debba conservare in modo indefinito uno dei suoi più caratteristici capisaldi storici qual è quello della divisione tra potere temporale e spirituale36. Se è stato possibile secolarizzare il “religioso” ovvero l’egemonia del religioso, non si vede perché anche il “politico” o l’egemonia politica e culturale laica, dovrebbe rimanere necessariamente immune da processi di secolarizzazione. Non è vero che nella storia non c’è mai nulla di definitivo? Quale potrà essere dunque la laicità di domani, la laicità di cui potranno sentire la necessità le future generazioni? Quali saranno le nuove forme di impegno civile cui esse potrebbero essere chiamate nel quadro di imprevedibili scenari storici di civile o incivile convivenza umana? Si avrà ancora a che fare con una laicità retorica sostanzialmente coincidente con una retorica della sacralità giuridico-politica di minoritarie, corporative e settarie libertà individuali o di gruppo, ivi comprese quelle intellettuali di giuristi e giudici sempre più convinti di poter subdolamente dettare, su temi non irrilevanti della vita sociale, l’agenda della politica statale, a scapito degli interessi unitari del corpo sociale e dei loro stessi interessi religiosi? Si verrà insistendo su forme laiche di multiculturalismo e di comunitarismo civile libere di coltivare privatamente fedi e culti religiosi di tipo confessionale ma rigorosamente obbligate a rispettare negli spazi pubblici le leggi dello Stato, come accade specialmente in Francia? Il sociologo francese cui sopra si è fatto riferimento ritiene che «né repubblicanesimo né multiculturalismo sembrano essere in grado di rappresentare una soluzione completa alle sfide dell’oggi»37.
Ma, per il momento, la dominante retorica laica o laicista vuole che non siano accettati né “il pensiero scorretto”, né un pensiero che esprima semplicemente una visione tradizionale delle cose, proprio mentre «la postmodernità è … innalzata e resa obbligatoria come registrazione di uno sfrenato soggettivismo, e come idolatria di stato della coscienza indivisa, che non riconosce la differenza, specie di genere tra maschio e femmina, che fa appello alla nozione più triste e vana di progresso scientifico. Tutto è diritto e desiderio, tutto ciò che non si riconosce in quel circuito è discriminazione, è reato, è sedimento culturale da sradicare con pedagogica violenza di stato»38.
La laicità è la nuova religione del mondo, religione idolatrica che sopporta a mala pena le religioni e che coltiva una particolare avversione per il cattolicesimo, che ricorda continuamente ai suoi apostoli che né il vecchio, né il nuovo Cesare potranno impunemente regnare o governare senza il rispetto della legge di Dio. Nei tempi in cui, almeno in Italia, era in atto la rivalità tra la laicità comunista di Togliatti e la laicità cattolica di De Gasperi, non sarebbe stata mai posta all’ordine del giorno del dibattito politico-culturale la questione di un’emarginazione della fede religiosa dall’orizzonte laico dello Stato italiano. E questo deve far riflettere. Proprio Togliatti, che della laicità del nuovo Stato repubblicano e democratico avrebbe sempre dato un’interpretazione rispettosa del diritto dei cattolici a manifestare liberamente e pubblicamente la propria fede, avrebbe espresso pesanti perplessità sul testo costituzionale approvato alla fine del 1947 e alla cui elaborazione egli stesso aveva contribuito. Infatti, pur salvando la prima parte della Costituzione, in quanto «parla non più soltanto degli astratti diritti di libertà dell’uomo e del cittadino, ma del nuovo diritto di tutti gli uomini e le donne al lavoro, a una retribuzione sufficiente ai bisogni dell’esistenza, all’educazione, al riposo, all’assistenza sociale», lamentava che nella seconda parte fossero state introdotte misure «con l’esclusivo intento di porre ostacoli e barriere all’azione di quell’Assemblea di rappresentanti del popolo la quale volesse veramente e speditamente marciare sulla via di un profondo mutamento del Paese, applicando nei fatti le promesse della Costituzione»39.
Francesco di Maria
NOTE
1 F. Cambi, Attualità e valore della laicità … aperta. Qualche riflessione, in Rivista “Studi sulla Formazione”, 2022, n. 2, p. 189; S. Prisco, Laicità. Un percorso di riflessione, Torino, Giappichelli, 2009; C. R. Luzzati, Il cristallo della laicità. Contro la teologia politica, Torino, Giappichelli, 2024; c’è chi si chiede, non in modo astorico e irrealistico, se a dover essere relativizzati non siano, oltre che etiche, ideologie, religioni in competizione nell’arena laico-democratica, il principio e il valore stessi della laicità: L. Diotallevi, Una alternativa alla laicità, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2009.
2 La distinzione tra ambito religioso e ambito secolare nasce col cristianesimo, mentre per la religione ebraica il rapporto tra religione e diritto è sempre stato indissolubile almeno fino alla nascita dello Stato ebraico nel 1948 e, infine, nella religione islamica l’ordine statuale e politico è un fedele rispecchiamento, anche al di là di qualche opportunistico ammodernamento, dell’ordine religioso e coranico: G. Sole, Laicità dello Stato e religioni monoteiste, in “La Civiltà Cattolica”, 2019, Quaderno 4061, pp. 345-359.
3 Cfr. D. Losurdo, Il fondamentalismo occidentale, in “Marxismo oggi” on line, 14 luglio 2018.
4 F. Cambi, Attualità e valore della laicità … aperta. Qualche riflessione, cit., p. 190.
5 Ivi.
6 Ivi, p. 191.
7 Un’idea larga e non provinciale di laicità, un’idea di laicità antitetica a vecchi e nuovi clericalismi non semplicemente religiosi, è quella che ha tentato di tratteggiare, non senza qualche eccedenza velleitaria, V. V. Alberti, Non è un paese per laici. Onestà intellettuale e politica per l’Italia della crisi, Torino, Bollati Boringhieri, 2020.
8 F. Cambi, Attualità e valore della laicità … aperta. Qualche riflessione, cit., pp. 191-192.
9 M. Al Kalak, «Questa eresia odierna che si chiama laicismo». La lettera collettiva dell’episcopato italiano al clero (25 marzo 1960), in “Rivista di storia del cristianesimo”, 2010, n. 7, pp. 519-520.
10 Più in generale, per Pascal la ragione ha di fronte a sé un indefinibile margine di impenetrabilità conoscitiva e in tale consapevolezza trova fondamento la fede: cfr. G. Giorello, Pascal e il pensiero tra fede e ragione, Roma, La Repubblica, 2019,
11 Significativi punti di contatto tra fede religiosa e laicità si trovano in P. Grassi, Fede e laicità nel passaggio d’epoca, Roma, AVE, 2017.
12 G. Bianchi-R. Salvi, Laicità. Percorsi antichi e nuovi nel mondo e per la Chiesa, Sesto San Giovanni, Eremo e Metropoli Edizioni, 2015, p. 78.
13 Ivi, p. 79.
14 A. Angenendt, «Lasciate che crescano insieme…». La tolleranza nella storia del cristianesimo, Brescia, Queriniana, 2024; A cura di G. A. Nigro, La parabola del grano e della zizzania, Firenze, Nerbini, 2019.
15 Come sostiene anche, tra molti altri, P. Prodi, Una storia della giustizia. Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza e diritto, Bologna, Il Mulino, 2000, in part. pp. 21-25.
16 G. Dalla Torre, Sana laicità o laicità positiva?, in Rivista telematica “Stato, Chiese e pluralismo confessionale”, 2012, n. 34, p. 2.
17 Ivi, p. 3.
18 Al di là della dimensione formale, istituzionale, degli Stati, sembra ormai che, a livello planetario, un più o meno confessionalismo ateo di stato, pur non sempre pubblicamente dichiarato o professato, tenda a soverchiare il confessionalismo religioso e cristiano o cattolico, pure da alcuni di essi ufficialmente rivendicato: S. Fergola, Dallo Stato confessionale allo Stato ateista. I percorsi storici di una nuova religione di Stato, in Rivista internazionale di storia delle dee “Il Pensiero Storico”, luglio 2016, n. 1, pp. 115-140.
19 G. Dalla Torre, Sana laicità o laicità positiva?, cit., p. 9.
20 Di ünter-mensch parla, sia pure non nell’accezione sprezzante della pubblicistica e della propaganda naziste, lo stesso Nietzsche nella sua celebre opera Così parlò Zarathustra. Su Nietzsche non solo come teorico dello Übermensch ma anche, in qualche misura, come ispiratore dell’Üntermensch, si può vedere D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico. Biografia intellettuale e bilancio critico, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, p. 886 e sgg.
21 V. Possenti, Le ragioni della laicità, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007; L. Pedrazzi-P. Pombeni-V. Possenti, A proposito di laici e cattolici, in Rivista “Il Mulino”, Fascicolo 6/2000, novembre-dicembre, pp. 1141-1158; A. Rizzi, L’etica tra fede e laicità, Assisi, Cittadella, 2014; H. Seidl, Il laico davanti a Dio. Risposta filosofica al laicismo contemporaneo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010; Intervista a Massimo Cacciari. Etica e laicità, in “Aggiornamenti sociali”, 3/2009, pp.171-176. Sempre valide le indicazioni contenute in libri come Ph. E. Hughes, Christian ethics in secular society, Michigan, Baker Book House, 1983 e Ian T. Ramsey, Etica cristiana e filosofia contemporanea, Bologna, EDB, 1971; G. Lunati, Laicismo e religiosità, Genova, Casa Editrice Marietti, 2000.
22 F. Pepe, La laicità, ovvero il principio del niente, in Rivista di Studi Geopolitici “Eurasia”, 10 febbraio 2017.
23 Corte Costituzionale, sentenza n. 203 del 1989. Lo stesso ateismo, in quanto negazione delle religioni positive, sia pure non senza forzature interpretative, è tutelato costituzionalmente (art. 21): F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, Bologna, Zanichelli, 2009, pp. 110-111.
24 F. Pepe, La laicità, ovvero il principio del niente, cit.; si veda anche G. Zagrebelsky, Nichilista o spirito laico? Zagrebelsky interpreta Qohélet, in “La Repubblica” del 24 settembre 2012.
25 F. Pepe, La laicità, ovvero il principio del niente, cit.
26 P. Dubolino, Dallo Stato laico alla sua caricatura. Il laicismo di Stato, in “Centro Studi Rosario Livatino”, 21 giugno 2021.
27 Sulle contraddizioni interne e apparentemente insanabili del contemporaneo Stato laico e democratico esiste ormai un’ampia letteratura di cui si indicano qui solo alcuni delle ricerche più significative: S. Petrucciani, Democrazia, Torino, Einaudi, 2014 e Democrazia deliberativa e conflitti culturali, in Democrazia. Storia e teoria di un’esperienza filosofica e politica, a cura di C. Altini, Bologna, Il Mulino, 2011, pp. 325-339; J. Habermas, Tra scienza e fede, Roma-Bari, Laterza, 2006, J. Habermas e Ch. Taylor, Multiculturalismo, Milano, Feltrinelli, 1998; M. Sandel, Il discorso morale e la tolleranza liberale: l’aborto e l’omosessualità, in A. Ferrara (a cura di), Comunitarismo e liberalismo, Roma, Editori Riuniti, 1992, pp. 251-273; J. Rawls, Liberalismo politico, Milano, Edizioni di Comunità, 1994; J. Bohman, Public Deliberation. Pluralism, Complexity and Democracy, Cambridge (Mass.), Mit Press, 1996; S. Ceccanti, Laicità e istituzioni democratiche, in G. Boniolo (a cura di), Laicità. Una geografia delle nostre radici, Torino, Einaudi, 2006, pp. 27-46.
28 A. Rizzi, Esperienza morale e laicità, in Rivista “Aggiornamenti sociali”, 11/2008, pp. 651-660, in cui si avanza una richiesta preliminare di “pulizia semantica” da praticare sul termine laicità.
29 Per esempio, E. Olivito, La laicità degli altri, in Rivista “Magistratura e costituzione/Costituzione e laicità”, 19 febbraio 2007, fasc. 1, pp. 1-7.
30 Un punto di vista equilibrato sul senso della laicità democratica è quello espresso da J. Maclure – Ch. Taylor, La scommessa del laico, Roma-Bari, Laterza, 2013.
31 Questo dispiace alla professoressa di diritto pubblico Elisa Olivito, La laicità degli altri, cit., p. 3, ma più lucidi e lungimiranti, in questo specifico caso, sono stati rispettivamente il TAR Veneto, sentenza 1110/2005 e il Consiglio di Stato, sentenza 556/2006.
32 R. Peluso, Dove vanno i laici. Note sull’etica di Paolo Bonetti, in «Diacritica» per Paolo Bonetti (2020), Roma, Diacritica Edizioni, 2022, a cura di Maria Panetta, pp. 42-51.
33 Peraltro, significativa fu, a suo tempo, la critica del relativismo di uno studioso laico non religioso e non cattolico come J. Jervis, Contro il relativismo, Reggio Emilia, Thedotcompany, 2022. Quando uscì nel 2005, questo libro suscitò scalpore per la presa di posizione, nel quadro del dibattito laico sul multiculturalismo, contro il postmoderno relativistico e soggettivistico e in linea con la migliore tradizione laica e razionalista della cultura occidentale. Ma si vedano anche AA.VV., Il bello del relativismo. Quel che resta della filosofia nel XXI secolo, a cura di E. Ambrosi, Venezia, Marsilio, 2005: R. Boudon, Il relativismo, Bologna, Il Mulino, 2020. Non è possibile esaltare relativisticamente la diversità senza considerare l’identità, la soggettività senza l’oggettività, la molteplicità senza l’unità, la libertà senza la verità, il bene comune senza la persona. Altra cosa è invece il pluralismo che, pur in una grande varietà di posizioni, cerca di tenere insieme i termini di tali sequenze concettuali: si veda AA.VV., Pluralismo contro Relativismo. Filosofia, religione, politica, a cura di R. Di Ceglie, Milano, Edizioni Ares, 2004.
34 P. Bonetti, Il purgatorio dei laici. Critica del neoclericalismo, prefazione di E. Marzo, Bari, Edizioni Dedalo, 2008, p. 11.
35 J. Baubérot, Le tante laicità del mondo. Per una geopolitica della laicità, Roma, Luiss University Press, 2008.
36 Ivi, pp. 9-11. Uno sforzo, anche se forse non ancora particolarmente significativo, di allargamento del tradizionale orizzonte teorico della laicità, è stato compiuto da AA.VV., Laicità. Una geografia delle nostre radici, a cura di G. Boniolo, Torino, Einaudi, 2006.
37 J. Baubérot, Le tante laicità del mondo, cit. p. 110.
38 G. Ferrara, Il fanatismo al potere, in “Il Foglio” del 30 agosto 2013 e Non dubitare. Contro la religione laicista, Chieti, Solfanelli, 2005: P. G. Liverani, Ma laicismo è uguale a totalitarismo, in “Avvenire” del 29 novembre 2004.
39 P. Togliatti, Relazione al VI congresso del Pci, Milano, 5-10 gennaio 1948.