In base all’art. 3 della Costituzione italiana i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge e, pertanto, non possono essere discriminati né per sesso, né per razza e lingua, né per opinioni politiche e condizioni personali e sociali, né per religione, mentre l’art. 19 sancisce che tutti possano professare liberamente la propria fede religiosa, sia privatamente che in sede comunitaria, avendo altresì facoltà di promuoverla ed esercitarla, ovvero testimoniarla, in privato o in pubblico, all’unica condizione che qualunque manifestazione di religiosità non sia contraria al cosiddetto “buon costume” oggi corrispondente, in senso generale, a un condiviso senso di pudore, di decenza e di moralità. Ciò significa altresì che anche i cattolici abbiano tutto il diritto di far valere non solo nell’ambito della loro Chiesa ma anche politicamente e democraticamente idee, proposte, programmi, basati sulla propria fede religiosa. Chi continua a sostenere e a pretendere che i cattolici che non si astengano dal relegare i propri convincimenti religiosi nel privato siano da considerare eversivi e nemici degli ordinamenti democratici, avrebbe piuttosto tutto l’interesse a rivedere o a mitigare il suo intollerante radicalismo politico per poter sperare di sottrarsi a sua volta all’accusa di contravvenire alla logica laica e democratica della civile convivenza1. Certo: la fede può ben rappresentare un ingombro per la politica, per le sue diramazioni istituzionali e per i suoi stessi meccanismi legislativi ed esecutivi, perché la sua dimensione trascendente pone continui o costanti interrogativi alle pratiche immanenti di gestione del potere e della vita civile e democratica, ma se il dubbio, come “primo passo verso la verità” di diderotiana memoria, è un principio logico-metodologico che accomuna tutte le correnti o le espressioni filosofico-politiche e giuridiche della moderna e contemporanea laicità non confessionale o non religiosa, è difficile escludere la fede cristiana da tutte quelle fedi laiche o laiciste che fanno del dubbio il principio stesso della loro attendibilità teorica e della loro vitalità pratica. Niente, infatti, più della fede religiosa, evangelica, cristiana e cattolica, proprio mentre muove da princìpi dogmatici, che però non compromettono in nessun modo la possibilità di indagare criticamente la realtà storico-sociale e culturale, viene assolvendo la funzione di suscitare dubbi di carattere logico e metodologico, di tenere sempre aperta la ricerca, di approfondire indefinitamente il senso della verità e della giustizia tra gli uomini. E perché questo accade se non per il fatto che essa è radicata profondamente e indissolubilmente nella natura stessa dell’essere umano?
Perché, dunque, nel dibattito pubblico alla fede dovrebbe essere consentito di conservare una connotazione intimistica, privatistica, individuale o personale, ma non di esplicare apertamente anche la sua dimensione comunionale, pubblica, collettiva? Quando Mussolini, pur avendo voluto i Patti Lateranensi, diceva che «nello Stato, la Chiesa non è sovrana e non è nemmeno libera», egli veniva affermando un’idea separatista, unilateralmente rivendicativa e virtualmente ostile di laicità, ma a tale idea così riduttiva della laicità avrebbero replicato concordemente, nel corso dell’Assemblea Costituente, forze politiche tra loro lontanissime, nel nome dell’«unità politica e morale di tutta la Nazione», come ebbe a dire Palmiro Togliatti in data 25 marzo 1947, donde la necessità di riconoscere e sancire costituzionalmente come «libertà democratiche fondamentali … le libertà di coscienza, di fede, di culto, di propaganda religiosa e di organizzazione religiosa», libertà che in quanto tali « devono essere restaurate e difese contro qualunque attentato da qualunque parte venga»2. Tra queste parole e quelle del leader democristiano Alcide De Gasperi venne creandosi allora una straordinaria assonanza che avrebbe preluso a quarant’anni di accesa contrapposizione tra le due maggiori forze politico-parlamentari del Paese ma anche di leale, reciproca osservanza di quello che era sembrato un tacito patto spirituale attorno ai princìpi formalmente condivisi della Costituzione repubblicana3. In quel momento storico, si sarebbe venuta a consolidare un’idea inclusiva, compartecipativa, aperta e propositiva di laicità, quantunque ci si riservasse di metter mano solo in un secondo momento a una sua più precisa e compiuta teorizzazione giuridica e politico-culturale. Si riconosceva così che la questione religiosa fosse da interpretare quale “fatto pubblico” non identificabile come semplice manifestazione dell’identità stessa dello Stato, il quale, per ciò stesso, rinunciava a pretendere un monopolio assoluto in fatto di razionalità, moralità e spiritualità. Il pubblico non poteva più essere assolutizzato rispetto al privato, e questo significava anche che termini quali quelli di Nazione e Repubblica, Stato e Patria, non avrebbero più potuto assumere quelle configurazioni ferocemente nazionalistiche e/o astrattamente individualistiche di precedenti epoche storiche, ma avrebbero dovuto essere concepiti come spazi istituzionali di legittimazione della coesistenza, certo non generica e indiscriminata, di bisogni, aspettative, speranze diversificate di un intero popolo e di tutti i cittadini. Uno Stato non separatista ma fondato sul rispetto e la valorizzazione di identità diverse, nonché in particolare sulla collaborazione con la Chiesa Cattolica, con la quale tuttavia non sarebbero mancati momenti di attrito sotto il governo De Gasperi, avrebbe favorito l’affermazione di un’identità collettiva non più fragile e povera ma più solida e ricca4.
Naturalmente, tra le diverse identità di fede da tutelare costituzionalmente, sarebbe stata inclusa anche quella atea (secondo sentenza della Corte costituzionale del 10 ottobre 1979), anch’essa espressione di libertà religiosa pur se nel senso negativo di libertà dalla religione in genere e dalle sue credenze religiose. Anche l’ateismo, secondo la giurisprudenza più avanzata, è, in virtù del diritto costituzionale della libertà di pensiero più che della libertà religiosa, una forma di fede, di fede nell’inesistenza di un qualunque Dio, di un al di là e di annessi e connessi doveri religiosi5, e tale circostanza, secondo alcuni, dovrebbe indurre a riconoscere, anche a favore dei non credenti, magari riuniti in un’associazione, lo stesso diritto riconosciuto a tutte le confessioni religiose a vedersi erogare dallo Stato i relativi finanziamenti pubblici previsti per legge: una soluzione ritenuta “auspicabile” per quella specie di chiesa atea costituita dall’Unione degli Atei e degli Agnostici razionalisti. Ma che c’entra l’organizzazione degli atei con le comunità religiose che tali siano per storia, tradizione, cultura? Anche gli atei hanno una storia, una tradizione, una cultura da proteggere e tramandare o, per perpetuare se stessi, non devono far altro che pensare e vivere mettendosi sostanzialmente sotto i piedi qualunque ideale e valore di non effimera durata e di non equivoco senso etico? E’ anche per questo che andrebbero riconosciuti loro dei diritti?6. Non è che il pensare qualunque cosa costituisca condizione sufficiente e necessaria per vederlo recepito e tutelato in sede giuridica: c’è da temere che quella odierna sia una delle fasi storiche più critiche, forse non tanto della storia del diritto o della scienza giuridica come tale, quanto della storia della giustizia pensata, amministrata o esercitata nei tribunali internazionali e nazionali di tutto il mondo. Più che il diritto come scienza, è il diritto giudiziario applicato in questo momento a soffrire di un deficit già abnorme di razionalità7.
E tuttavia, poiché il diritto ormai non si evolve più secondo i tempi tradizionalmente lenti di evoluzione della società nel suo insieme ma secondo tempi molto più rapidi e quasi profeticamente ricettivi di tutte le istanze che un giorno anche molto lontano potrebbero scaturire, in modo pressante, in seno alla società civile; poiché il diritto, distaccandosi gradualmente dalla sua tradizionale sudditanza funzionale rispetto alla prassi politica, sembra entrare in competizione con quest’ultima fino a poter ritenere autoreferenzialmente di poter persino dettare a quest’ultima, su non poche questioni di rilevante significato civile, la sua stessa agenda d’azione programmatica, non si può realisticamente escludere un processo di lento ma inarrestabile esautoramento del potere politico proprio ad opera del potere o meglio dell’ordine giudiziario secondo un inconsapevole disegno di ribaltamento del pur consolidato equilibrio tra i poteri istituzionali e costituzionali dello Stato, come sembrerebbe potersi evincere anche alla luce di una sempre meno latente e meno contenuta conflittualità tra gli organi costituzionali dello Stato8. Per Romano Guardini non poteva esistere una laicità in quanto espressione di mero sapere profano o di assenza di fede cristiana ecclesialmente istituita e organizzata, e vocazionalmente protesa ad esercitare un ruolo pubblico9. Il che, tuttavia, non comportava una svalutazione delle conoscenze e dei valori puramente umani, ovvero di conoscenze e valori cui la ragione naturale e la coscienza morale, con le loro sole forze, avrebbero potuto accedere direttamente, ma sottolineare come quegli stessi valori potessero diventare più “visibili” e palesare pienamente il loro significato e le loro implicazioni solo per mezzo o alla luce della divina Rivelazione10.
Non si tratta di negare, per Guardini, la consistenza e la concretezza del piano naturale, ma tale piano perde la sua consistenza proprio se o quando neghi di dipendere dal piano sovrannaturale che si pone a garanzia della sua identità e della sua legittima autonomia. D’altra parte, secolarizzazione e laicità moderne fanno un uso sleale dei valori umani resi possibili dal cristianesimo, allorché li utilizzano e li esaltano contro di esso, fanno cioè, come scrive Guardini, «quel doppio gioco che da un lato rifiuta la dottrina e l’ordine cristiano e dall’altro rivendica a sé le conseguenze umane e culturali di quella stessa dottrina … La secolarizzazione separa i valori umani, nati dal cristianesimo, dal cristianesimo e conduce il discorso nelle “nebbie della laicizzazione”. La secolarizzazione “si appropria dei valori e delle forze che essa ha elaborato” e le adopera in usofrutto»11. Guardini, forse, era ancora troppo generoso nel concedere che la moderna secolarizzazione abbia coinciso con una appropriazione degli ideali e dei valori evangelici e cristiani pur decapitati della loro fonte originaria ovvero del loro divino fondamento, giacché, in effetti, non solo di quegli ideali e di quei valori si tace scorrettamente la paternità e quindi anche la vera identità, ma essi vengono anche resi oggetto di tutti i più arbitrari, distorsivi e strumentali usi ideologici. E questo avrebbe fatto sì che, data la primigenia paternità evangelico-cristiana dello stesso valore della laicità, quest’ultima venisse utilizzata sempre più marcatamente, dal ‘700 in avanti, in opposizione a qualsivoglia concezione trascendente e sovrannaturale della vita e del mondo e, nel quadro della civiltà occidentale, soprattutto in chiave essenzialmente anticristiana. In questi termini, sarebbe venuto così consumandosi un vero e proprio tradimento delle origini religiose e delle originarie finalità civili e comunitarie della laicità, della laicità tout court, perché non è affatto vero che l’immagine più accreditata e veritiera della laicità, in sede storico-critica, sia o debba essere di tipo umanistico-immanentistica, come si continua oggi a ripetere con cialtronesca ignoranza, bensì quella molto più flessibile, integrativa, pluralistica e virtualmente democratica, nata dalla rivoluzione antropologica e culturale del cristianesimo storico12.
Nonostante l’opposta pretesa che ad essere tradita sia in realtà un’immagine areligiosa o irreligiosa della laicità, ovvero quella che viene generalmente considerata come l’immagine più tipica della moderna secolarizzazione, le religioni continuano di fatto ad incidere pesantemente sulle culture politiche delle democrazie occidentali: si pensi ai fenomeni migratori globali che comportano interazioni sempre più estese e frequenti tra mondi, credenze, stili di vita, persone di religioni e culture diverse. E quali che siano le forme, positive o negative, via via assunte da questo incontro, da questo confronto spesso suscettibile di trasformarsi in scontro, la laicità democratica, anche volendo, non può eludere in nessun modo il problema di come assicurare, certamente non in modo acritico e indiscriminato, diritto di cittadinanza alle diverse fedi religiose, facendo in modo che nessuna di esse abbia mai a prevaricare sugli ordinamenti costituiti delle diverse compagini statali13. E’ vero, però, e soprattutto strano ma comunque significativo, che non tutte le religioni siano rispettate allo stesso modo nell’attuale società laica e democratica europea e occidentale, nel senso che la secolarizzazione in essa radicata viene producendo effetti profondamente diversi, a seconda che si abbia a che fare con i soggetti di fede islamica o di altre fedi di matrice non ebraico-cristiana piuttosto che con quelli appartenenti alla Chiesa cattolica. Le maggiori critiche vengono infatti espresse verso quest’ultima per via di quelle che vengono percepite come continue interferenze cattoliche su delicate questioni civili e socio-politiche, per cui proprio la laicità non credente, che nei confronti di altre religioni, probabilmente meno proficue dal punto di vista spirituale e di gran lunga meno tolleranti e meno imbevuti di spirito razionale14 sembra porsi in chiave meno ostile e più collaborativa, non di rado assume atteggiamenti dogmaticamente e pregiudizialmente antagonistici nei confronti del cattolicesimo.
Sembra, cioè, che la secolarizzazione laica venga producendo una desacralizzazione ben più marcata e aggressiva nei confronti dei cattolici che non nei confronti di islamici, indù, buddisti e persino di cristiani riformati. Il che finisce per connotare, di fatto, la secolarizzazione desacralizzante più come scristianizzazione che come eclissi complessivo del sacro, benché i cattolici vengano a giusta ragione postulando che al di fuori di un senso cristiano della vita non possa sussistere un vero senso del sacro e del divino15. Più che una desacralizzazione del sacro in generale, quel che pare essere in atto è una desacralizzazione del sacro evangelico, cristiano e più segnatamente cattolico. Non è che scompaia il cattolicesimo nelle sue forme esteriori, nei suoi aspetti e momenti istituzionali, nei suoi riti liturgici e sacramentali, ma tutto questo appare ormai come banalizzato, come svuotato della sua profonda e specifica carica profetica e spirituale, come un insieme di pratiche che si tratta di mantenere in vita per tradizione anche al fine di perpetuare una presenza o un potere della Chiesa nella storia del genere umano. Ma quel che va ribadito è che la causa della scristianizzazione sostanziale di cui si sta parlando non è la laicità in quanto tale, che a seconda degli usi che se ne facciano viene determinando modelli socioculturali più o meno sensibili o più o meno indifferenti ai valori religiosi ereditati dalla storia cristiano-cattolica, bensì per l’appunto il fatto che le forme in cui essa continua ad essere declinata presentino maggioritariamente una natura atea, non tanto in senso formale o nominale ma in senso certamente spirituale ed esistenziale.
In questo senso, non pare sufficiente ritenere che l’attuale debolezza delle società laiche nell’affrontare problematiche così gravi e urgenti quali le migrazioni, il crollo demografico, lo sfaldamento del tessuto sociale, le crisi delle istituzioni e della politica con conseguente accrescimento del malessere individuale e collettivo, potrebbe essere superata da una ripresa del dialogo tra secolarità e religione cristiana e cattolica16, giacché è di fondamentale importanza precisare che un siffatto dialogo non potrà conoscere né riprese né riattivazioni per una sorta di convergenza bilaterale della società laica e della società religiosa quanto esclusivamente per una decisa e coraggiosa iniziativa unilaterale della comunità cattolica di tornare a predicare e testimoniare il vangelo, come nei tempi più critici ma anche più eroici e gloriosi della sua storia, nel mondo e per il mondo e, ove strettamente necessario, anche contro un mondo in via di dissoluzione. Iniziativa quanto mai necessaria specialmente in un momento storico in cui masse di migranti, indipendentemente dalle cause reali che li spingono verso i Paesi europei e occidentali, chiedono non solo di poter risiedere stabilmente in essi ma di vedersi riconosciuta a tutti gli effetti di legge, non di rado con spirito confliggente con le loro leggi e i loro modelli culturali più accreditati, la propria identità religiosa e culturale17. A scanso di equivoci, si sta solo cercando di dire che la secolarizzazione non debba essere associata ineluttabilmente a un declino continuo e irreversibile della religione e, in particolare, della religione cattolica. La secolarizzazione laica genera la pluralizzazione delle chiese e della fede, non la fine dell’ecclesialità religiosa e della stessa ecclesialità cattolica; genera l’autonomizzazione delle norme del sapere rispetto ai tradizionali canoni interpretativi delle chiese, ma non una aprioristica delegittimazione del sapere religioso e di quello elaborato in particolare dal cattolicesimo, pur non potendo più quest’ultimo pretendere di essere la religione storica più universale del mondo o, più semplicemente, di un determinato Stato18.
La laicità secolare può venire assumendo declinazioni storiche diverse: ora più paganeggiante, ora più conforme all’etica cristiana; ora più materialistica, ora più sensibile ai valori della spiritualità religiosa; ora più dissacrante, ora più aperta alla dimensione del sacro. Ma il principio di laicità non trova il suo distintivo criterio di legittimazione nella prevalenza di un sentire sociale ateo o non credente rispetto ad un orientamento sociale più condizionato dai valori di questa o quella confessione religiosa, bensì nel fatto che, quali che siano le forme confessionali del sentire religioso all’interno di una comunità civile, lo Stato risulti in grado di tutelarne nello stesso modo la libertà di espressione, pur riservandosi di assorbire in totale autonomia da ognuna o da alcune di esse i contributi spirituali che, di volta in volta, appaiano più utili in vista di determinate congiunture politico-legislative19. Questo è il modo in cui la separazione, laica appunto, tra potere politico e potere religioso, era stata intesa da Cristo, che tuttavia, si badi, nel riservare a Cesare e a Dio due poteri distinti non avrebbe inteso dire che Cesare ovvero lo Stato possa agire impunemente anche contro Dio o la legge divina, ma solo che il primo è preposto ad assicurare, sia pure secondo la sua esclusiva discrezionalità di giudizio, l’ordine sociale e il benessere di sudditi o cittadini senza che i suoi atti politici e le sue disposizioni giuridico-amministrative entrino tuttavia in palese conflitto con i comandamenti divini o con l’ordine morale stabilito ab aeterno da Dio. Gesù, in altri termini, non legittima affatto uno Stato ateo ma uno Stato laico ovvero radicato nel popolo e rappresentativo di tutto il popolo, uno Stato che, pur senza sovrapporre la propria autorità a quella divina, si preoccupi coerentemente di non operare discriminazioni di sorta tra i suoi amministrati, né sul piano civile né su quello religioso, se non nei limiti in cui essi o parte di essi, sia pure nel nome di qualche fede o di qualche Dio, diano prova inequivocabile di voler attentare con mezzi eversivi all’integrità, all’indipendenza e all’unità dello Stato.
La laicità è il portato più caratteristico della secolarizzazione ovvero di quel lungo e complesso processo di transizione da forme teocratiche di sapere e di potere a forme di sapere, potere e vita associata sempre più radicate nella storia, nel tempo, nel saeculum o nella vita reale di individui concreti. Anche la Parola di Dio, la religione, il senso del sacro cominciano ad essere oggetto di secolarizzazione con Cristo, allorché concetti e precetti divini, non più relegati in una sfera di misteriose e inaccessibili verità, cominciano ad entrare nella vita e nella storia reali e concrete di uomini e donne reali e concreti, ad incarnarsi nella prassi ordinaria del popolo e nei bisogni e nelle aspettative esistenziali di un’umanità incerta e sofferente, a farsi quindi secolo e a tradursi gradualmente in crescenti libertà di coscienza e autonomia di giudizio. Quando, da passiva obbedienza ad un ordine legalistico di norme divine codificato e affidato in custodia a sacerdoti separati dal popolo comincia a trasformarsi in consapevole, spontanea e responsabile adesione individuale e comunitaria alla Parola di Dio incarnatasi nella figura storico-popolare di Cristo, la fede religiosa, prima modello stereotipato e meccanico di vita religiosa e del tutto estraneo alle pratiche ordinarie della vita quotidiana e popolare, inizia a laicizzarsi, ad essere interiorizzata nell’interiorità personale, ad essere esercitata nella vita pubblica del popolo, a radicarsi costitutivamente nella storia e nella cultura dei popoli. La fede in Cristo è, storicamente, una fede laica, una fede nata tra il popolo e per il popolo, una fede di popolo, come di origine e uso popolari sono le forme linguistiche e comunicative, le modalità relazionali e associative di vita, le leggi, le convenzioni sociali, le strutture istituzionali e statuali: una fede laica che riconosce la legittima esistenza di un ceto clericale, votato esclusivamente alla custodia e all’amministrazione liturgico-sacramentale dei contenuti stessi della fede, e quindi funzionale al servizio della comunità ecclesiale20.
Quindi, la secolarizzazione non produce semplicemente la laicità dello Stato ma, ancor prima, la laicità della fede, in virtù della quale la Chiesa intesa come realtà strettamente presbiterale, spirituale e religiosa, non venga assolvendo la funzione di condizionare o contrastare i processi decisionali che, nella sfera delle attività storico-temporali, competono allo Stato e a tutte le coscienze laiche credenti o non credenti che vi operano, né di opporsi con spirito e mezzi eversivi ai particolari assetti giuridico-legislativi della statualità ove siano discutibili o palesemente immorali o irreligiosi, ma semplicemente quella di prestare assistenza al popolo sul piano caritativo e pastorale, liturgico e sacramentale. Che poi, talvolta, le cose possano essere andate diversamente nel corso dei secoli, è vero, ma riconoscerlo non consente di inficiare l’originale assunto evangelico della separazione funzionale tra il ruolo dello Stato e il ruolo della Chiesa. Le origini storico-ideali, teoriche, dottrinarie della laicità sono e restano di matrice evangelica, anche se si può discutere sulle origini storico-fattuali o effettuali della laicità stessa21.
In ogni caso, il senso del ragionamento che qui è venuto svolgendosi, è chiaro: la secolarizzazione non veicola solo desacralizzazione e/o scristianizzazione, costituendone questa una possibilità e un oggettivo dato di fatto ma non l’unico esito possibile, ma veicola appunto un certo numero di opzioni possibili tra cui è inclusa anche quella di un principio di laicità rispettoso delle confessioni religiose come di ogni altra realtà espressa dalla libertà di pensiero e di coscienza, sia pure nei limiti dei livelli minimi di civile ragionevolezza imposti da collaudati e consolidati criteri di razionalità politico-statuale. Ma non c’è dubbio, per contro, che il principio di laicità sia ormai soggetto a diverse distorsioni o deviazioni interpretative quali un irrigidimento dogmatico o esasperato della laicità noto come laicismo antireligioso o anticlericale oppure il suo contrario noto come clericalismo oppure come bigottismo e ostentato spirito devozionale22. Se laico è chiunque sia disposto a difendere, con coerenza di ragione e/o di fede, la libertà di pensiero e di coscienza per sé e per gli altri, nei limiti di una largamente condivisa moralità e della legalità data, uno Stato laico sarà uno Stato capace di sancire l’indipendenza delle realtà terrene o temporali non già dall’ordine morale e divino, pur non facendo obbligo a nessun individuo di credere in esso, ma dalla sfera ecclesiastica e da indebite interferenze che questa, anche solo inavvertitamente, potrebbe venire esercitando nei confronti dei poteri costituiti della società civile e della società politica.
Deve essere chiaro che qui non si cerca di riportare a tutti costi la laicità nell’alveo di una malcelata religiosità e, più esattamente, della fede cattolica. Lungi da ogni tentazione di forzare i dati storici oggettivi della storia della civiltà umana e dello stesso cristianesimo, sarebbe tuttavia disonesto disconoscere come il senso evangelico del divino è il senso di una religiosità ormai umanizzata, costitutivamente suscettibile di essere interiorizzata e sperimentata da singole persone come da sconfinate masse popolari, di essere fiduciosamente assunta quale presupposto di giusto discernimento razionale e di retta condotta morale. Il senso evangelico del divino è quello di una religiosità non più legalistica, non più incomunicabile e imposta per via autoritaria, ma di una religiosità proposta e basata sulla ricerca interiore, sulla disponibilità spirituale ad incontrarsi con Cristo e a basare la propria vita sulla fede in Cristo. La fede evangelica non nasce come fede relegabile nel tempio, nei sacri riti, nelle pratiche liturgiche e sacramentali esercitate dai sacerdoti, nelle norme codificate di una certa tradizione, non come fede segregabile in ristrette o private comunità, ma come fede aperta a tutti, come fede pubblica e fondata sul dialogo, e destinata ad interagire criticamente e profeticamente con tutti i saperi e le realtà del mondo e della storia. La fede evangelica è una fede laica, è una fede da cui, per la prima volta nella storia umana, viene legittimato il valore della laicità, ed è una fede che prevede l’esistenza di una Chiesa non per occupare lo spazio pubblico ma per supportarlo mettendo a sua disposizione una prospettiva di vita alternativa a quelle generalmente immanentistiche elaborate dagli uomini23.
Ma, si dirà, parlare di fede evangelica, fondamento di ogni fede che a Cristo si richiami, non significa parlare di una fede confessionale, che è tutto il contrario di una fede nella ragione umana, nell’autonomia del pensiero e nella responsabile libertà dell’agire? La fede in un Dio, in un aldilà, in un’altra vita di eterna durata, non è antitetica ad una reale possibilità di emancipazione da uno stato di minorità e di sudditanza da vecchie e superstiziose paure di ordine religioso? Come si fa a vivere democraticamente se si pensa che il Catechismo cattolico possa o debba rivaleggiare con la Costituzione repubblicana, che le “leggi divine” possano competere con le “leggi umane”?24. La presenza sociale di una fede religiosa come quella cattolica e di un’organizzazione estesa e ramificata come la sua Chiesa, non è già di per sé una manifestazione di arroganza dogmatica e di ingerenza politica? E non finisce per depotenziare la stessa laicità dello Stato, impedendone o rallentandone veri e profondi processi di emancipazione democratica? Insomma, secondo alcuni, per essere laico e realmente democratico lo Stato, pur formalmente aconfessionale, dovrebbe smettere di sostenere o fiancheggiare la religione cattolica, senz’altro equiparabile ad una delle tante ideologie religiose del mondo, e soprattutto recidere ogni rapporto, soprattutto finanziario, con la Chiesa. A posizioni così provocatorie e volgari, oltre che intolleranti e irrazionali, si può giungere, naturalmente, solo quando si sia mossi da un vero e proprio odio anticattolico più che antireligioso, da un’idea ossessiva di rivolta contro quella Chiesa curiale e supponente che si ritiene abbia sempre preteso di dettare l’agenda politico-esistenziale del genere umano nel corso della sua storia. Ma è possibile costruire, anzi reinventare o rifondare una società laica e democratica sulla base di sentimenti così ostili, di risentimenti così odiosi e spropositati verso una delle maggiori componenti storiche, civili, culturali e religiose, della storia occidentale e dell’intera civiltà umana? Le confessioni religiose, piaccia o non piaccia, a cominciare da quella cattolica, sono realtà costitutive e integranti della storia politica, sociale ed economica, del pianeta-terra. Le democrazie laiche occidentali non possono ignorarle se non intendono sradicare ingentissime masse popolari dalle radici morali e spirituali della loro vita. Esse, inoltre, specialmente in momenti di particolare crisi storica, nel cristianesimo e nello stesso cattolicesimo hanno sempre trovato un apporto di notevole valore civile e spirituale25.
Ma a quei laici che non volessero riconoscere la fondatezza o la plausibilità di simili osservazioni, sarebbe del tutto inutile rispondere in modo scomposto o esacerbato, come talvolta il mondo cattolico è tentato di fare26. Basterà ricordare loro che, con o senza clericalismo, il cristianesimo non potrà morire se non per decretare la morte stessa dell’umanità, perché, come scriveva nel 1925 Gilbert Keith Chesterton: «Il cristianesimo è morto molte volte ma è sempre risorto perché aveva un Dio che conosceva la via d’uscita dalla tomba»27. Anche per poter meglio ribadire che «l’opposto dell’atteggiamento laico non è quello religioso, è bensì l’atteggiamento persecutorio»28 e non persecutorio solo nel nome di un valore ma anche e più frequentemente nel nome di corposi e specifici interessi di potere politico, economico, culturale o religioso. Ma bisogna anche precisare: per ragioni più o meno comprensibili, per ragioni legittime o per ragioni umanamente ed eticamente inescusabili. In tal senso, si può anche dire che persino la migliore forma o il migliore esempio politico-culturale di laicità non è mai totalmente esente da atteggiamenti almeno virtualmente persecutori. Il rispetto della propria e altrui libertà, intesa nella sua più sicura e inequivoca accezione etica, ne richiede, infatti, anche la difesa regolata dal diritto e talvolta implicante anche l’uso della forza. Ma, nel più largo senso storico-giuridico e politico-culturale, il principio di laicità sarebbe scaturito da quel processo di desacralizzazione o deassolutizzazione del potere politico e statuale, che sarebbe stato avviato dalla distinzione-divisione evangelica tra Cesare e Dio e dal rifiuto dei primi cristiani di rendere culto all’imperatore.
In quel preciso momento avrebbe fatto il suo ingresso nella storia il principio di laicità e di Stato laico preposto a garantire, con l’apparato delle sue leggi, delle sue istituzioni, delle sue stesse strutture repressive, ordine, sicurezza, e libertà a tutti i sudditi e a ciascun suddito. Per questo, è ancora ineccepibile il giudizio di Pietro Scoppola, secondo cui «la laicità ha nel cristianesimo le sue radici e le sue ragioni profonde»29: nel senso che la fede in Dio relativizza tutti i poteri del mondo, a cominciare dal potere dello Stato, ma non senza che tale relativizzazione si estenda alla stessa Chiesa prioritariamente nell’ordine delle cose temporali. La Chiesa che, sul piano spirituale, può operare solo in stretta conformità alla Parola rettamente intesa di Dio e che deve custodirla non per dominare sui fedeli ma per porsi al servizio dei loro bisogni spirituali, non avrebbe potuto pretendere di imporre la sua autorità a quella dello Stato, ma solo opporre all’autorità politica di quest’ultimo la sua autorità religiosa nel caso in cui ad essere messa in discussione fosse la libertà religiosa di pensiero e di coscienza dei suoi fedeli o di credenti pacifici appartenenti ad altre religioni.
Solo per capirci: tutte le volte che la Chiesa intenda rivolgere, a ragion veduta, accuse di relativismo morale, di edonismo, di nichilismo e quant’altro al mondo politico in generale e allo stesso Stato repubblicano e democratico italiano, ha la facoltà religiosa e il diritto democratico di farlo, alla sola condizione che il fine recondito delle sue recriminazioni o prese di posizione contro i poteri del mondo non sia quello di ottenere la condiscendenza accomodante dello Stato in ordine a tutta una serie di aspettative ecclesiastiche francamente “mondane” in sede civile e finanziaria, come la compartecipazione delle stesse autorità ecclesiastiche e delle autorità civili tanto alle cerimonie o agli eventi strettamente religiosi quanto a quelli civili e istituzionali, un’elargizione quanto più possibile cospicua di sovvenzioni per le scuole cattoliche e l’esenzione fiscale per le istituzioni cattoliche, la facoltà di intervenire sistematicamente su specifici provvedimenti governativi e secondo letture biblico-evangeliche parziali, unilaterali o, rispetto ad essi, non completamente attinenti (per esempio, sul fenomeno migratorio, sui conflitti bellici in atto, sulla questione femminile, sulle politiche religiose, sul mondo associativo dedito ad opere di carità), mentre una attiva e massiccia presenza pubblica della Chiesa, anche in sede politica e civile, sarebbe legittima e moralmente necessaria su temi di indiscutibile rilevanza religiosa quali quelli bioetici, il divorzio, l’aborto, gli sviluppi della ricerca scientifica, le forme di convivenza delle persone, il controllo delle nascite, la lotta alla povertà in tutte le sue forme, la riflessione sulla natura e sulle forme della fede, e via dicendo. Trovo che parlare di “invadenza” della Chiesa su questi temi e su materie così delicati proprio sotto un profilo squisitamente spirituale e religioso, sia sbagliato e fuorviante30, mentre sarebbe opportuno che anche il mondo laico in quanto mondo non clericale si preoccupasse di non essere invadente appunto verso l’ordine religioso, anche con inopportune e spesso risibili lezioni di esegesi scritturale. Di conseguenza, non si insisterà mai abbastanza sulla distinzione tra una “sana laicità” e forme di laicità più o meno patologiche.
Francesco di Maria
NOTE
1. Tale questione appare ben dispiegarsi sul piano storico-teorico in un’ampia, pacata e articolata disamina quale quella offerta da L. Forni, Laicità in trasformazione? Analisi di una nozione controversa nel pensiero dei giuristi italiani, Tesi di dottorato presso Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di Milano, febbraio 2009. Ma molto convincente è soprattutto un lavoro come quello di V. Chiti, Vicini e lontani. L’incontro tra laici e cattolici nella parabola del riformismo italiano, Roma, Donzelli, 2016, dove viene autorevolmente ribadito il concetto per cui non solo sarebbe illusorio confinare ancora la fede nel privato dei cuori ma tale atteggiamento rischierebbe di indebolire proprio la sfera pubblica democratica, e quello di Maria Aparecida Ferrari, Per una comprensione non ideologica della laicità, in (A cura di L. Allodi, M. A. Ferrari), La secolarizzazione in questione, Milano, Franco Angeli, 2009, pp. 71-95); P. Consorti, Diritto e religione. Basi e prospettive, Bari-Roma, Laterza, 2023, in particolare pp. 25-121.
2. Togliatti e De Gasperi sono padri dello Stato laico postfascista, sia pure con diverse sensibilità e prospettive storico-politiche di lungo periodo, anche se non di rado, nella pressante immediatezza della lotta politica, sarebbero apparsi come “personaggi inconciliabili”: G. Sabbatucci, La Repubblica di De Gasperi, Roma-Bari, Laterza, 2012.
3. A De Gasperi come statista di prim’ordine e campione di laicità, ha dedicato una esaustiva biografia, la più completa di quelle scritte sul politico trentino, P. Craveri, De Gasperi, Bologna, Il Mulino, 2015. Per il contributo politico che De Gasperi e Togliatti, da posizioni diverse e talvolta contrapposte, avrebbero dato al principio laico del nascente Stato repubblicano e democratico italiano, si può vedere G. Chiarante, Tra De Gasperi e Togliatti. Memorie degli anni Cinquanta, Roma, Carocci, 2006.
4. Bisogna ricordare che, quando nel 1952 De Gasperi fu fortemente sollecitato da papa Pio XII a fare un’alleanza di governo con i neo-fascisti, egli avrebbe opposto un fermo rifiuto difendendo e salvando l’autonomia e la laicità della politica e dello Stato dalle ingerenze ecclesiastiche: cfr. N. Cardillo, Alcide De Gasperi difensore della laicità della politica, in “Giornale mensile ‘La Serra’, dicembre 2018, Anno XXXII, n. 4, preceduto da A. Riccardi, Pio XII e Alcide De Gasperi. Una storia segreta, Bari, Laterza, 2003.
5. Sul lungo e fin troppo complicato iter storico-giuridico nazionale del dibattito interpretativo sul rapporto tra libertà di pensiero e libertà religiosa, che ne costituirebbe solo una delle tante possibili manifestazioni, e sulla legittimazione costituzionale dell’ateismo, si può vedere M. Croce, I non credenti, in (A cura di P. Cendon-S. Rossi), I nuovi danni alla persona. I soggetti deboli, Roma, Aracne, 2013, 3 voll., vol. 1, pp. 423-461.
6. Si veda, in particolare, S. Lariccia, Un passo indietro sul fronte dei diritti di libertà e di eguaglianza in materia religiosa [?], in Riv. Quadrimestrale di teoria generale, diritto pubblico comparato e storia costituzionale “Nomos. Le attualità nel diritto”, 2016, n. 1, pp. 1-28; S. Baldassarre, Gli atei sono una minoranza religiosa? La condizione giuridica dell’ateismo in Italia e in alcuni Paesi dell’Unione europea, in Rivista “Stato, Chiese e pluralismo confessionale”, 2021, fasc. 13, pp. 67-89: E. Rossi, Le “confessioni religiose” possono essere atee? Alcune considerazioni su un tema antico alla luce di vicende nuove, in “Stato, Chiese e pluralismo confessionale”, 2014, fasc. 27, pp. 1-35.
7. N. Irti, Diritto senza verità, Roma-Bari, Laterza, 2011, in cui non può che essere condizionato da un crescendo di soggettivismo e relativismo un diritto sempre più povero, si legge nella “prefazione”, di quei «presupposti religiosi e metafisici, che per secoli» lo «avevano accompagnato …, mai lasciandolo solo, e guidandolo e proteggendolo dall’alto».
8. E’ sempre più diffusa la convinzione che il diritto, soprattutto quello esercitato dalle Corti costituzionali, sia sempre più incerto e ambiguo, visto che esse sempre più frequentemente vengono facendo ciò che i giudici non potrebbero e non dovrebbero fare; annullare leggi democraticamente approvate. Anzi, per essere più espliciti, è sempre più palpabile la propensione dei tribunali internazionali, ancor più di quelli nazionali (tranne qualche eccezione come nel caso della iperpoliticizzata magistratura italiana), a usare il diritto come strumento (improprio) di lotta politica e politica in senso dirigista, antipopolare e antidemocratico: in tal senso può tornare ad essere illuminante la polemica degli anni venti del novecento tra Carl Schmitt e Hans Kelsen che avrebbero cercato di stabilire per vie diverse se a custodire il senso originale delle costituzioni statuali debbano essere prioritariamente i politici o i giudici: D. Grimm, Diritto o politica? La controversia Kelsen-Schmitt sulla giurisdizione costituzionale e la situazione odierna, Napoli, Istituto Italiano di Studi Filosofici, 2024. Ma anche Hermann Heller, benché più moderato rispetto a Schmitt, si sarebbe trovato su posizioni opposte a quelle giuridicistiche di Kelsen: A. Baldassarre, Heller contro Kelsen: due visioni opposte della democrazia, in “Lo Stato”, Rivista di scienza costituzionale e Teoria del diritto, 2024, n. 22, pp. 11-36. Un’analisi chiara ed equilibrata delle nuove dinamiche storiche che favoriscono lo scontro tra politica e diritto, è quella di L. Franzese, Democrazia e diritto nella società globalizzata, in AA.VV, Democrazie difficili in Europa, Asia, Nord Africa e Medio Oriente, Trieste, EUT, 2019, pp. 101-118.
9. R. Guardini, La fine dell’epoca moderna, Brescia, Morcelliana, 1993, p. 98.
10. Ivi, p. 99.
11. Ivi, pp. 102-105.
12. Cfr. F. D’Agostino-G. Dalla Torre-C. Cardia, Laicità cristiana, op. cit. Un esempio teorico di un’immagine più aperta, dinamica e colloquiale, non solo oppositiva ma anche inclusiva e integrativa, di laicità, è quella espressa dal libro di D. Antiseri-G. Giorello, Libertà. Un manifesto per credenti e non credenti, Milano, Bompiani, 2008.
13. V. Gentile, Libertà con le religioni. Tolleranza democratica, civiltà ed uguaglianza liberale, Torino, Giappichelli, 2024. D’altra parte, è ben noto che il concetto cardine della laicità occidentale, quello di libertà, anche in sede strettamente giuridico-politica non ha significati univoci e definitivi ma si presta, al contrario, a venire declinata in forme e modi diversi: M. Barberis, Libertà, Sesto San Giovanni (Milano), Società Aperta, 2021.
14. Tanto è vero che, se da un lato si denuncia talvolta l’arrendevolezza della società laico-democratica a forme particolarmente violente dell’integralismo religioso islamico come manifestazione di una secolarizzazione ancora troppo debole, dall’altro c’è anche chi, attraverso una polifonia di voci, prova a chiedere se una secolarizzazione più forte non possa richiedere non già una presenza pubblica più debole o nulla ma ben più forte e incisiva della religione cattolica: M. Rizzi, La secolarizzazione debole. Violenza, religione, autorità, Bologna, Il Mulino, 2016 e AA.VV., Secolarizzazione e presenza pubblica della religione, a cura di G. Lingua, Lecce, Pensa Multimedia, 2015.
15. Tale specificazione sembra venga sottovalutata dallo studio pure interessante e coinvolgente di G. Dalla Torre, Dio e Cesare paradigmi cristiani nella modernità, Roma, Città Nuova, 2008.
16. Si veda G. Cucci, Religione e secolarizzazione – La fine della fede?, Assisi, Cittadella, 2019. Ma ancora più insufficiente, dinanzi all’odierno e drammatico scenario occidentale, è l’analisi di chi si limita a collegare la possibilità di renderne possibile un auspicabile e non tardivo superamento ad una ritrovata e radicale capacità immaginativa della cultura e dei saperi occidentali: E. Occorsio-S. Scarpetta, Un mondo diviso. Come l’Occidente ha perso crescita e coesione sociale, Roma-Bari, Laterza, 2022.
17. A cura di A. Ingoglia e M. Ferrante, Fenomeni migratori, diritti umani e libertà religiosa, Limena (Padova), Libreria Universitaria Edizioni, 2017. Si veda anche P. Consorti, Religione, immigrazione e integrazione. Il modello italiano per la formazione civica dei ministri di culto stranieri, Pisa University Press, 2014, in cui sembra però trascurata l’incidenza della stessa fede religiosa islamica sullo stato di mancata o carente integrazione sociale dei gruppi migratori.
18. J. C. Monod, Secolarizzazione e laicità: come articolare la questione e affrontare le sue sfide, in P. Costa, La Società degli individui, Quadrimestrale di filosofia e teoria sociale, gennaio 2023, vol. 75, pp. 46-56.
19. “La laicità non è indifferenza dello Stato rispetto al fenomeno religioso, la laicità è tutela del pluralismo e delle diversità culturali”, ebbe a dire, o meglio a ricordare, non molto tempo fa il laico Mario Draghi: in A. Lucarella, L’Italia è uno stato laico, non ateo: la Chiesa può intervenire sul Ddl Zan, in sito on line “La voce di New York”, 6 luglio 2021; A cura di D. Olivero, Laicità e religioni. Educare al futuro, Torino, Effatà Editrice 2024. La lotta per la laicità nacque anticamente come lotta per la libertà religiosa, ma è una lotta permanente, inestinguibile, che nell’era moderna e contemporanea sarebbe venuta configurandosi, più in generale, come lotta, cui la fede religiosa e cristiana in particolare non resta certo estranea, per il diritto e per i diritti di ognuno e di tutti: N. Colaianni, La lotta per la laicità. Stato e Chiesa nell’età dei diritti, Bari, Cacucci, 2017; AA.VV., Religioni laicità democrazia. Profili critici e comparatistici, a cura di P. Palumbo, Napoli, Editoriale Scientifica, 2020.
20. G. Squizzato, Se il cielo adesso è vuoto. Una fede laica e cristiana (ma non religiosa) per il nostro tempo, Verona, Gabrielli Editore, 2017; G. Montaldi, Lezioni di teologia per laici. Un manuale introduttivo, Bologna, EDB Dehoniane, 2021; C. Sciuto, Non c’è fede che tenga. Manifesto laico contro il multiculturalismo, Milano, Feltrinelli, 2020; R. McCleary-R. J. Barro, La ricchezza delle religioni. L’economia della fede e delle chiese, Milano, Università Bocconi Editore, 2021, ma anche, sia pure da posizioni almeno parzialmente eterodosse, Herbert di Cherbury, La religione del laico, Brescia, Morcelliana, 2017.
21. A titolo esemplificativo si vedano, sulle rispettive posizioni, M. Jasonni, Alle radici della laicità, Firenze, Il Ponte Editore, 2009 e M. Prospero, Alle origini del laico. Diritto e secolarizzazione nella filosofia italiana, Milano, Franco Angeli, 2006.
22. Cfr. P. Cavana, Interpretazioni della laicità. Esperienza francese ed esperienza italiana a confronto, Milano, Roma, AVE, 1998; C. Crosato, Dal laicismo alla laicità. La via dell’inclusione dialogica: possibilità e critica, Roma, Armando, 2016; F. di Maria, Per un pensiero cattolico alternativo. Religiosità, laicità, politica, guerra, Padova, Primiceri, 2024.23.
23. Per quanto avventato in alcune riflessioni, è da tenere senz’altro in considerazione, al riguardo, del libro di José M. Castillo, La laicità del Vangelo, Molfetta, La Meridiana, 2016, insieme a quello, più misurato anche se filologicamente più distaccato dai testi evangelici, di G. Bianchi, Martini “politico” e la laicità dei cristiani, Cinisello Balsamo, San Paolo Edizioni, 2007. Si vedano, inoltre, F. Rodano, Cattolici e laicità della politica, Roma, Editori Riuniti, 1992; P. G. Liverani, Diventare laici – Alla scoperta della vocazione smarrita, Cinisello Balsamo, San Paolo Edizioni, 2011; G. Campanini, Il laico nella Chiesa e nel mondo, Bologna, EDB (Dehoniane), 1999.
24. M. Mantello, Senza laicità solo sopruso, in “Micromega” del 24 settembre 2021. La verità è che il termine laicità risulta ormai termine alquanto equivoco per la pluralità di accezioni in cui viene inteso e adoperato. Ma una soddisfacente chiarificazione, al riguardo, è senz’altro quella fornita da G. Fornero, Laicità debole e laicità forte. Il contributo della bioetica al dibattito sulla laicità, Milano, Bruno Mondadori, 2008. Come questi ha dichiarato in un’intervista: «il termine laico, dal punto di vista semantico-descrittivo, possiede due significati di fondo: uno largo e uno ristretto. In un primo senso, di tipo metodologico-formale, la laicità allude a una procedura che fa appello ai valori della razionalità, della libera discussione e del pluralismo. “Procedura” che in sede teorica e pratica può essere fatta propria da chiunque, a prescindere dal fatto di essere credenti o meno. Tant’è, che oggi, nell’ambito di questa accezione di laicità, si parla comunemente di “laici credenti” e di “laici non credenti”. In un secondo senso, di tipo filosofico-sostanziale, la laicità allude invece alla visione del mondo dei non credenti, cioè alla posizione di coloro che — agnostici o atei — vivono e pensano a prescindere da Dio e dall’adesione a un determinato credo religioso. Tant’è, che oggi, nell’ambito di questa accezione di laicità, si parla comunemente di “laici e credenti”. Nei miei libri, per classificare il significato largo o procedurale di laicità uso l’espressione “laicità in senso debole”, mentre per alludere al significato ristretto o sostanziale uso l’espressione “laicità in senso forte”, avvertendo che nel primo caso la laicità ha il carattere di una metodologia, mentre nel secondo caso ha il carattere di una filosofia. La mia tesi di fondo è che queste due accezioni sono entrambe legittime e che invece di essere misconosciute basta specificare di quale tipo di laicità si sta parlando. Ad esempio, quando si dice che “lo Stato moderno è uno Stato laico” o si parla del “supremo principio costituzionale della laicità dello Stato” ci si riferisce alla laicità in senso largo o metodologico. Viceversa, quando si dice che “Tizio è credente, mentre Caio è laico” ci si riferisce alla laicità in senso stretto o sostanziale. Di conseguenza, la peculiarità (e originalità) della mia posizione non consiste soltanto nella messa in luce della esistenza di fatto di queste due accezioni, ma anche nel concomitante riconoscimento della loro legittimità di diritto. Operazione tanto più significativa se si pensa che in certo linguaggio colto il significato ristretto e filosofico di laicità è stato “censurato” o estromesso, cioè completamente soppiantato dal significato largo e metodologico. Oppure, come succede in ambito cattolico, è stato sostituito dal termine “laicista”, usato in senso peggiorativo e screditante (quasi alla stregua di un insulto). In realtà il termine laico ha sia un’accezione larga e metodologica, sia un’accezione ristretta e filosofica. E non vedo per quale valido motivo questa seconda accezione dovrebbe essere abbandonata», F. D’Ambrogi, Intervista a Lo Sapio e Fornero, autori di “Bioetica cattolica e bioetica laica nell’era di papa Francesco”, in sito on line UAAR del 25 maggio 2017. Mi pare, tuttavia, di poter osservare che l’accezione larga e metodologica sia quella più universale e quella di cui non si possono appunto disconoscere le origini cristiane. Si veda anche M. Ferrante, Diritto, religione, cultura: verso una laicità inclusiva, in Rivista telematica “Stato, Chiese e pluralismo confessionale”, 2017, n. 35, pp. 1-21. Ad un superamento degli equivoci del laicismo era volto anche un intervento di F. Cardini, Le Goff e gli equivoci del laicismo, in sito on line www.ariannaeditrice.it, 4 giugno 2010.
25. In tal caso, nel far riferimento al cattolicesimo, si allude a quelle sue minoranze creative e a quelle sue eccezionali personalità che, nel nome e per conto della loro fede, e sia pure in modi diversi, non hanno mai mancato storicamente di dare apporti significativi e adoperarsi per l’individuazione di soluzioni adeguate: si veda, per esempio, M. Fazio, Cristianesimo e laicità. Il pensiero cristiano del ‘900 nel periodo tra le due guerre, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008. Non c’è dubbio, peraltro, che, specialmente nella storia del novecento, il cattolicesimo politico non sia stato esente da equivoci che ne avrebbero talvolta oscurato la funzione propulsiva sotto l’aspetto etico-politico: G. Dossetti, Gli equivoci del cattolicesimo politico, Bologna, Il Mulino, 2015.
26. A. Gnocchi-M. Palmaro, Contro il logorio del laicismo moderno. Manuale di sopravvivenza per cattolici, Milano, Piemme, 2006 e Io speriamo che resto cattolico. Nuovo manuale di sopravvivenza contro il laicismo moderno, Milano, Piemme, 2007. Bisogna, tuttavia, rilevare che non tutto ciò che è antimoderno, tradizione, ortodossia biblica, rigorosa e fedele esegesi scritturale, può essere ascritto a puro e semplice clericalismo, secondo una tentazione ormai attecchita anche in un certo mondo cattolico: Yves-Marie Blanchard, Contro il clericalismo, ritorno al Vangelo, Comunità di Bose, Qiqajon, 2024. Il ricorrente invito a ritornare al Vangelo può sempre serbare qualche sorpresa, soprattutto per coloro che della laicità dello Stato coltivano, loro malgrado, un’idea arbitraria o palesemente strumentale e ideologica: P. Bonetti, Il purgatorio dei laici. Critica del neoclericalismo, Bari, Dedalo, 2008. Ha sempre agito sin dall’unità d’Italia, nel contesto nazionale, europeo e mondiale, un agguerrito filone gnostico che, muovendo dalle molto presunte libertà della tecnoscienza e delle cosiddette “conquiste civili”, avrebbe sempre tentato di rimuovere, nella coscienza delle masse popolari e nella stessa coscienza cattolica, la consapevolezza delle radici cristiane della nostra civiltà e di creare le condizioni per un nuovo tipo d’umanità: A. Pellicciari, La gnosi al potere. Perché la storia sembra una congiura contro la verità, Verona, Fede&Cultura, 2019. Questo per dire che la polemica contro il clericalismo cattolico non ha radici semplicemente congiunturali ma antiche e robuste radici da cui si diramano strutturali e sistemici attacchi politici e culturali contro l’istituzione cattolica. Un tentativo di superare gli steccati esistenti tra laicità credente e laicità non credente o laicismo, è quello espresso dal libro di V. Chiti, Laici&cattolici. Oltre le frontiere tra ragione e fede (e un dialogo con il cardinale Silvano Piovanelli), Firenze, Giunti Editore, 2008. Ma abbastanza equilibrato sulla distinzione-differenziazione tra laicità credente e laicismo sembra anche un libro come quello di L. Martínez Sistach, Laicità e laicismo nell’Occidente europeo, Roma, Libreria Editrice Vaticana, 2019.
27. G. K. Chesterton, L’uomo eterno, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008, p. 309.
28. P. P. Ciccarelli, Laicismo e persecuzione. Abbozzo di una fenomenologia dello «spazio assiologico», in “Bollettino telematico di filosofia politica”, giugno 2017, p. 2.
29. P. Scoppola, Cristianesimo e laicità, in AA.VV., Le ragioni dei laici, a cura di G. Preterossi, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 115-116; al tema della laicità in P. Scoppola è stato dedicato un fascicolo del periodico “Studium”: a cura di F. S. Garofani e L. Prenna, Pietro Scoppola. La laicità cristiana, in “Studium”, maggio-giugno 2012, n. 3.
30. Alludo, per esempio, a G. Cives, Per una laicità senza aggettivi, in “Studi sulla formazione”, 2008, I, p. 25, anche perché è discutibile il concetto di una laicità senza aggettivi in un mondo in cui ogni gruppo o movimento culturale o di opinione pretende di costruirsi una laicità a sua immagine. Né può ritenersi più efficace l’insofferente enfasi con cui qualcuno esorta le religioni in genere ad essere laiche, perché il cristianesimo non solo è una religione laica ma ha dato i fondamenti alla laicità della cultura e del ditto occidentali: F. Cambi, Religioni siate laiche! Una prospettiva epocale, un compito, una sfida, in AA.VV., Laicità, religioni e formazione: una sfida epocale, a cura dello stesso Cambi, Roma, Carocci, 2007, p. 43.