Il Presidente del Consiglio e i giornalisti italiani

La Meloni deve rispondere alle nostre domande, non può eluderle ogni volta dichiarando che i tanti impegni istituzionali che l’aspettano la costringono ad abbandonare le conferenze-stampa e tutti i nobili e super qualificati giornalisti che vi presenziano (Gruber e compagni). Ma sarebbe anche sperabile che la recente vicenda dei migranti che ha determinato un duro scontro con la Francia abbia insegnato qualcosa alla neopremier (un tizio della carta stampata di cui non ricordo il nome), così come sarebbe opportuno che quest’ultima non approfittasse del suo ruolo per querelare, a ragione o a torto, quei giornalisti che in passato avevano recato offesa alla sua onorabilità etico-politica (Stefano Feltri). Peraltro, sino a quando la Meloni non si mette in riga e continua a fare la giamburrasca con l’Europa e con l’autorevolissima corporazione giornalistica italiana, sino a quando non abbassa la cresta e non smette di voler fare la prima della classe, non si uniforma disciplinatamente alle regole del gioco, non tanto quelle costituzionali quanto quelle del rispetto formale di vecchi e collaudati protocolli di comportamento, ben in auge quando il potere in questo Paese (si dice Paese, attenzione, non nazione) era esercitato dai “progressisti” e dai loro compari del giornalismo stampato e televisivo, ella non avrà tregua e non potrà sottrarsi né alle nostre critiche, né alla nostra disistima (Travaglio, Giannini, Floris).  

Così parla oggi, al di là dei pochi ma molto rappresentativi nomi sopra indicati,  l’establishment mediatico-giornalistico italiano, così parla, con questi toni, con questo astio e aggressiva sussiegosità, di una piccola grandissima donna venuta dal nulla, sempre rispettosamente sostenuta dagli uomini e dalle donne della sua cerchia politica solo in ragione delle sue ottime capacità intellettuali e delle sue ancor più elevate capacità politiche, oltre che della sua indubbia probità e della sua passione civile per la difesa degli interessi nazionali dell’Italia nel mondo. Ai suoi illustri e spocchiosi esponenti, sarà inutile ricordare che ogni tanto bisogna pur saper perdere, anche per riacquistare coscienza di quel che si è realmente e di quel che probabilmente non si sarà mai capaci di essere.

E sarà altrettanto inutile far notare che, almeno in Italia, non vige solo la libertà di stampa ma anche e soprattutto la libertà personale di comportarsi e agire come meglio di crede nel rispetto delle leggi vigenti, per cui, se tu mi chiedi un’intervista educatamente, io educatamente posso rilasciartela o spiegarti perché, eventualmente, non possa rilasciartela; ma se tu, ritieni che sia tuo diritto impormi un’intervista e dimostri di essere prevenuto nei miei confronti, io non ti degno neppure di una risposta e ti lascio marcire nelle tue frustrate recriminazioni di interlocutore incivile. E’ facilmente immaginabile che, se con situazioni del genere abbia a che fare un Presidente del Consiglio regolarmente eletto dal popolo e incaricato dal capo dello Stato, tutti coloro che in tempi di vacche grasse potevano fare i loro comodi, non possano più sentirsi al centro dell’attenzione nel momento in cui essi pretenderebbero di conservare i loro ingiustificati privilegi in un mutato regime democratico che avverta certamente il dovere di dare udienza a tutti i cittadini ma non di riconoscere a persone ritenute prevenute, irriguardose e insolenti, il diritto di ottenere interviste fondate su pretese e insinuazioni di bassissima lega e del tutto prive di legittimità etico-politica.

Un Presidente del Consiglio non è obbligato, né giuridicamente né politicamente, a concedere interviste a chicchessia, anche perché non è tenuto ad ingrassare coloro che della democrazia si servono solo per soddisfare esigenze e manìe personali di grandezza, di successo e arricchimento. Chiaro, amici? Quanto alle querele, perché mai tanti celeberrimi giornalisti dovrebbero risentirsi e prendersela a male, trasformando una semplice recriminazione personale in una questione di scorretta etica pubblica? Temete che i giudici vi diano torto perché succubi del potere costituito? Capisco, ma sono tanti i cittadini che, quale che sia il goverrno in carica, nutrono il timore di poter essere giudicati da giudici, per vari motivi prevenuti o sfavorevoli alle loro istanze. Quindi, molti illustri giornalisti di questo Paese (ma, ribadisco, è più corretto dire di questa nazione) avranno certamente la dignità di riconoscere che anch’essi  potranno difendersi come comuni cittadini costretti ad affidarsi alle decisioni dei giudici italiani.

La verità, tuttavia, è che verso la persona, la storia e il successo di Giorgia Meloni, enorme è l’invidia degli ambienti della sinistra progressista ed estremista. E le ragioni di tanta meschina avversione sono state spiegate bene da Stefano Cappellini: «Molti dei detrattori, però, non possono non apprezzare il disegno di una parabola dove domina la politica, l’appartenenza, il rispetto delle radici anziché la ricerca del compromesso tecnocratico, del papa straniero, delle alchimie da laboratorio come quella che ha cercato di trasformare un accidentale esperienza di governo tra Pd e M5S in una formula politica indegnamente spacciata per “nuovo centrosinistra”.  ….  C’è un sentimento diffuso nel popolo della sinistra, per molti anche inconfessabile: invidiare Giorgia Meloni alla destra. Non le posizioni di Meloni, ovviamente. Nemmeno il fatto che abbia vinto le elezioni, casomai come le ha vinte. L’invidia è questa: per l’evidente, sincera preoccupazione di Meloni di non perdere mai il contatto con la comunità politica che ne ha espresso la leadership. Meloni ha aggiustato la linea su alcune questioni che rischiavano di crearle problemi, ma è stata ben attenta a non rompere mai, né in campagna elettorale e meno ancora negli anni precedenti, la connessione emotiva con la base del suo elettorato» (L’invidia degli elettori di sinistra per Meloni | Hanno tutti ragione, “La Repubblica” del 28 ottobre 2022). Ma, se è così, i rosiconi di questa sinistra, che non è certo la migliore sinistra della storia politica occidentale, né quella che il mondo meriterebbe di avere, devono pur farsene una ragione, anche perché questa volta, la destra di Giorgia Meloni non ha avuto bisogno di marce sconsiderate per arrivare al potere, ma solo di un tranquillo e impetuoso consenso democratico di popolo.  

Francesco di Maria

 

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