Sembra che il vulcanico parroco della chiesa di san Nicola della città di Cosenza, don Fausto Cardamone – lo stesso che, si dice, avrebbe rilasciato ad una famigerata troupe giornalistico-televisiva un’intervista oltremodo ingiuriosa verso l’ex vescovo Salvatore Nunnari, definendolo “maiale” e facendo sfoggio di una falsa sapienza religiosa meschinamente e velenosamente rivolta verso un suo autorevole confratello per l’appunto e verso la stessa curia cosentina -, “continui ad accogliere nella concelebrazione”, nella chiesa sopra citata, quel Francesco Bisceglia ormai da tempo scomunicato a divinis e che mai in verità avrebbe dovuto essere ordinato monaco e sacerdote della Chiesa cattolica a prescindere dalle vicende giudiziarie in cui è rimasto coinvolto per circa un decennio.
Un giornalista cosentino, indipendente più a parole che nei fatti e purtroppo non dotato di una cultura religiosa che gli consenta di esprimere sulla stessa Chiesa cosentina giudizi critici oculati ed equilibrati, prende l’ex frate a modello di una Chiesa ispirata ed esemplare in quanto egli sarebbe davvero “l’uomo dei poveri”, il prototipo del vero pastore di Cristo tutto dedito alla cura del suo gregge e delle sue pecorelle più deboli. Tale giornalista continua a non vedere come il Bisceglia, che tempo fa annunciava nei nostri confronti, con la rozza e infame complicità di una nota radio e rivista on line cosentina, una querela che tuttavia non avrebbe poi sporto, presenti una personalità istrionica ed arrogante, eccentrica ed autoritaria, narcisistica e aggressiva, che ben poco ha a che fare con la semplicità, la modestia non ostentata, la saggezza, la mitezza e un fattivo e nascosto spirito di giustizia che caratterizzano la personalità di un autentico frate e di un uomo sinceramente dedito alle cose di Dio e, in primis, alla sua Chiesa.
Ecco, che la Chiesa cosentina sia stata e continui ad essere segnata da scandali e vicende deteriori che forse, con una maggiore attenzione, si sarebbero potuti evitare, è senz’altro vero, ma quel che i Carchidi di turno, coraggiosi quanto si vuole ma anche assolutamente inidonei a capire e a valutare le dinamiche della comunità ecclesiale nel suo insieme, non potranno mai comprendere è proprio che i preti come Cardamone, a dir poco indisciplinati e delle cui virtù evangeliche alcuni hanno avuto modo di dubitare già in passato, e soggetti come lo stesso Bisceglia cui, a quanto pare, arbitrariamente viene ancora concesso di celebrare l’eucarestia in una chiesa cattolica, non sono o non sarebbero altro da quegli scandali o addirittura una valida alternativa ad essi ma sono parte integrante di una disordinata e frammentata realtà ecclesiale cosentina in cui la Parola di Dio nella sua universalità biblico-teologica viene spesso soverchiata e intaccata da interpretazioni soggettivistiche e arbitrarie che qua e là vengono a darne diversi suoi “ministri” e da condotte o atteggiamenti sacerdotali francamente inconciliabili con la lettera e soprattutto con lo spirito del santo vangelo di Cristo.
Se una critica, questa volta fraterna e caritatevole, va mossa alla Chiesa cosentina e a chi negli anni l’ha retta e attualmente la regge, è proprio quella per cui i suoi più alti responsabili tendono ad intervenire quando il latte sia stato già versato e non già tempestivamente prima che ciò succeda e anzi per evitare che succeda. Un vescovo non se ne deve stare chiuso in curia o in ambienti protetti, “istituzionali”, né deve limitarsi ad intervenire in questa o quella parrocchia solo formalmente e in occasione di qualche particolare ricorrenza religiosa, né infine deve interloquire prevalentemente con altre figure o cariche istituzionali di una città, ma deve girare, magari senza farsi annunciare, nelle diverse parrocchie, acquisire consapevolezza personalmente delle necessità materiali e spirituali più urgenti dei parrocchiani della sua diocesi, scrutare con discrezione ma anche con attenzione e puntualità il modo di parlare e di agire dei suoi sacerdoti, per poi tornare sulla sua sedia vescovile ed esprimere un apostolico e franco giudizio sulle cose che vanno o che non vanno, sulle cose da reiterare e su quelle da correggere o eliminare, sugli ambiti entro cui i preti possono e devono operare e i limiti oltre cui l’impegno evangelico-sacerdotale non può e non deve spingersi. In tale contesto, anche un parroco come Cardamone andrebbe vigorosamente censurato in quanto un sacerdote non può parlare come potrebbe parlare un politico o un semplice scaricatore di porto e al limite estromesso dalla sua funzione ministeriale, mentre fa specie che l’arcivescovado di Cosenza-Bisignano non sia ancora stato capace di chiudere e seppellire per sempre un caso come quello di Bisceglia, che nel frattempo continua a manifestare tutta la sua riottosità spirituale e la sua insolente ed indolente arroganza individualistica e antiecclesiale.
Ora, purtroppo, e più in generale, nella nostra diocesi ci sono problematiche molto serie cui non si bada o che non vengono puntualmente affrontate con la dovuta autorevolezza e con ispirata energia spirituale. Ci sono parroci che propongono una predicazione evangelica così inclusiva da vanificare gran parte dell’insegnamento di Cristo, ci sono parroci e preti che partecipano a riunioni, convegni, banchetti, sedute sportive e cortei, avvenimenti mondani di ogni specie e che in parrocchia si vedono di rado facendosi trovare nel confessionale (si fa per dire) solo su appuntamento telefonico se li si riesce a contattare telefonicamente o andando a trovare malati e bisognosi solo su richiesta e non sempre con la dovuta solerzia, ci sono preti che incoraggiano apertamente tesi favorevoli alle cosiddette “unioni civili” tra omosessuali e ad altre aberrazioni contemporanee di questo genere, ci sono preti che pensano solo alla carriera o ai soldi o comunque a fare gli affari propri. C’è poi un seminario arcivescovile di studi che prepara i futuri sacerdoti ma da cui troppo spesso escono sacerdoti dei giovani le cui effettive inclinazioni e capacità sembra vengano vagliate più con una interessata ma perniciosa benevolenza che non con la serietà e il senso di responsabilità che dovrebbe albergare nella mente e nel cuore di chi ha la primaria responsabilità di assicurare operai veramente fidati alla stessa Chiesa di Cristo. Ci sono laici seri e preparati, che vengono tenuti troppo lontani dai problemi più vitali delle parrocchie e delle stesse diocesi e interpellati occasionalmente solo quando le situazioni si sono già incancrenite, e che invece potrebbero o dovrebbero essere utilizzati ordinariamente per riceverne un apporto certamente qualificato.
C’è insomma una Chiesa cosentina bisognosa di una guida vescovile sostanziale e permanente, più impegnata a seguire l’operato dei suoi ministri e ad apprezzare pubblicamente i suoi ministri migliori pur senza ferire gli altri al di là di consuete logiche opportunistiche di schieramento e allo scopo di favorire uno spirito emulativo presso le giovani leve di aspiranti sacerdoti, più aperta ai laici e più sollecita nell’ascoltare e nel sostenere le voci di quanti sarebbero realmente in grado di collaborare ad una rivitalizzazione della vita spirituale e religiosa e ad un effettivo rilancio della funzione propulsiva, anche in seno alla società civile, della Diocesi di Cosenza. C’è una Chiesa cosentina, tra l’altro, che deve ancora imparare a non rilasciare interviste per nessun motivo, riservandosi solo a rispondere delle sue azioni, se necessario, all’autorità giudiziaria dello Stato. Ma Carchidi e i suoi seguaci non potranno capire il senso di questo discorso.