Ipocrisia femminista e mediatica

Per il conformismo contemporaneo di massa, per la legge del “politically correct”, tutte le volte che si toccano certi temi la risposta è obbligata nel senso che può e deve essere una e una soltanto, cioè unilaterale e predeterminata. Temi in primo luogo come quelli sessuali, per cui è sufficiente che qualche attricetta, mossa da propositi insani e mal camuffati dal dichiarato o sottinteso intento di contribuire al progresso civile del genere umano e in particolare alla causa della dignità femminile, decida di far sapere a tutti di essere stata stuprata molti anni prima da un famoso e potente produttore o regista cinematografico, che molti media gridino allo scandalo, allo sfruttamento sessuale della donna da parte di uomini di potere, al machismo, al becero sessismo maschile e via dicendo. Ora, sarà stato certamente volgare il giornale “Libero” nel titolare “prima la danno via e poi frignano”, con ovvia allusione a quelle attrici nostrane e internazionali che hanno rivelato a scoppio molto ritardato di aver subìto violenza nel regno hollywoodiano, ma è ben risaputo che, a meno di non essere completamente tondi o vergognosamente ipocriti, tale regno sia in gran parte un regno di vanità, di lussuria, di perversione, un regno in cui il successo e la notorietà e talvolta anche la ricchezza sono conseguibili soprattutto per le donne a prezzo di cedimenti morali, di bassi compromessi e scelte riprovevoli, di cui non si può non essere preventivamente coscienti e informati.

Una donna che vuole sfondare a tutti i costi ad Hollywood e nel mondo del cinema sa bene che le presunte qualità professionali possono essere utili solo in piccola parte e che niente possono se non si sia disposti ad intrattenersi sessualmente con questo e con quello. Anzi, sono molte le donne che vanno in America (ma anche in altri posti prestigiosi del mondo dello spettacolo) senza proprio porseli certi problemi morali, senza quei freni inibitori che, tranne casi molto particolari, non potrebbero che ostacolare la carriera artistica e cinematografica. Peraltro, tutti sanno, anche se non tutti ammettono a causa di  un ancestrale spirito puritano, che ormai non c’è ambito professionale in cui uomini e donne indistintamente non siano disposti a comportamenti amorali o decisamente immorali pur di perseguire concreti e sostanziosi vantaggi professionali ed economici. Inoltre, quanto a disinibizione e a trasgressività, le donne, tendenzialmente, non sono ormai “inferiori agli uomini”: basta osservare il loro sempre più disinvolto modo di vestire, il loro linguaggio sempre più triviale o scurrile, il loro atteggiamento sempre più spregiudicato o sfrontato, per cui anche o proprio sul piano sessuale esse non appaiono minimamente condizionate dai divieti e dai tabù di un tempo.

E, per ritornare alle attrici che oggi lamentano di essere state vittime di un feroce e osceno maschilismo, sanno bene che avrebbero avuto molte possibilità di evitarlo solo che non lo avessero voluto. Se una donna sa bene, e nel caso specifico non può non sapere, cosa le verrà chiesto in cambio di un beneficio economico e professionale, ragionevolmente rinuncerà ad andare nella “tana del lupo”, a meno che, consciamente o inconsciamente, non provi diletto a stare in compagnia dei lupi. Ma capisco bene che un ragionamento del genere possa essere giudicato moralistico e retrivo in un’epoca in cui l’emancipazione femminile è venuta assumendo, presso una porzione maggioritaria di opinione pubblica, il significato di liberazione rispetto a qualunque ordine normativo o valoriale.

Peraltro, c’è anche chi, operando una cesura sin troppo netta e categorica tra piano morale e piano giuridico, pretende di leggere e di valutare certi odierni fenomeni di sopraffazione sessuale in senso prettamente giuridico e a prescindere da valutazioni morali. Si legge per esempio significativamente su un blog: «Che una donna (una persona in generale, ovviamente, ma il caso riguarda molto più spesso le donne) abbia il diritto di non subire nessuna pressione, nessun ricatto – più o meno esplicito – da parte di uomini più potenti, che sfruttano l’asimmetria di potere per pretendere prestazioni sessuali in cambio di avanzamenti di carriera, dovrebbe far parte dell’abc condiviso dei princìpi fondamentali, e non dovrebbe avere nulla a che fare invece con lo stile di vita – che ci può piacere o meno – condotto dalla donna in questione, né con le sue scelte successive, compresa quella di continuare a lavorare con il suo stupratore e di denunciare vent’anni dopo. Dalla prospettiva dei diritti, e non da quella della morale, non dovrebbe essere neanche concepibile non stare dalla parte di Asia Argento e delle altre attrici che hanno denunciato Weinstein, scoperchiando un vaso di Pandora che ha scosso Hollywood: sì, è vero, in quel mondo funziona in parte così, ma qualcuno ha finalmente urlato “il re è nudo”, e nessuno ha potuto più far finta di nulla. Perché queste donne si siano comportate così è affare che non ci riguarda affatto, o che tutt’al più può riguardare il nostro mondo morale» (Cinzia Sciuto, Caso Weinstein: il re è nudo (e non è una questione morale), in “Animabella”, 15 ottobre 2017).

Senonché il rapporto tra diritto e morale è molto più stretto di quanto non si creda, anche perché se per caso tu donna sei compiacente sessualmente con chi può darti qualcosa in cambio o anche senza alcuna contropartita, con quale diritto poi ti metti a recriminare per una violenza subìta? Quelle attrici che oggi fanno tanto baccano nel nome e per conto della dignità femminile possono o potrebbero realmente provare che quei rapporti carnali non furono voluti, cercati, provocati o comunque desiderati e graditi da loro stesse? E, indipendentemente dalle dimesse e opportunistiche dichiarazioni del cattivo di turno, può essere provata la fondatezza di quel che ci raccontano? Perché se una donna è stata o è moralmente marcia, non è certo il diritto che potrà mai porre rimedio alla sua leggerezza e alla sua immoralità punendo chi, proprio a causa di quella leggerezza e immoralità, si sia lasciato andare ad azioni dissolute o indecenti.

Detto questo, ci sono tanti stupri che sono veramente stupri,  forme realmente e totalmente gratuite e arbitrarie di violenza contro le donne, casi molto diffusi di prevaricazione contro donne dignitose coraggiose e indifese, di prevaricazione non antifemminista ma semplicemente antifemminile. Nessuno può e vuole disconoscere l’evidenza, anche se nelle proteste di certe femministe e di tanta parte di femminilità decerebrata, oltre che di tanta cultura anche maschile smidollata, di evidente c’è solo un impulso ribellistico fine a se stesso e un inconfessato e forse inconfessabile narcisismo esibizionistico. Chi vuol capire, ha abbastanza per capire, mentre i cattolici hanno o dovrebbero avere il dovere di dissentire pubblicamente da tanta corrente mistificazione mediatica su questioni di vitale importanza non solo etica e religiosa ma anche sociale e politica.  

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