I Flores d’Arcais, i Marco Travaglio, i Grillo, adesso anche i Davigo, nel solco di un oltranzismo pseudodemocratico e protestatario fine a se stesso che non è mai stato estraneo alla storia politica e sociale del nostro Paese, combattono aprioristicamente le loro guerre personali contro un ipotetico mondo di cattivi, di politici corrotti, di potenti immorali e senza scrupoli e fondano tutte le loro speranze palingenetiche in una ritrovata unità di intenti della magistratura italiana contro corruzione e malcostume a cominciare da quelli oggi presuntivamente radicati nelle forze di governo. Più che da un vero senso di giustizia, costoro, e ognuno s’intende con le proprie specificità personali e culturali, sono animati da un culto inconfessato della propria personalità che tende sempre a confliggere con chiunque, direttamente o indirettamente, sia capace, per sapienza politica e competenza di governo, a metterla in ombra.
Costoro sono prototipi di quella pur variegata soggettività umana e sociale che avverte sempre il bisogno psicologico, persino in presenza di azioni degne di ammirazione e di lode, di sparlare, di polemizzare, di sminuire l’altrui opera, riconducendola anzi a intenti perversi e malefici. La soggettività cui ci si riferisce è quella di tutti coloro che si sentono vivi solo se la quotidianità sociale non è mai tranquilla e la vita nazionale viene scandita da una rapida e tumultuosa successione di scandali reali o apparenti. E’ dunque una soggettività fortemente egocentrica, di cui ognuno di noi rimane vittima almeno una volta nella vita, ma è anche una soggettività malata, se o in quanto reiteratamente e ossessivamente egocentrica, e alla lunga decisamente dannosa alla stessa democrazia in quanto perennemente destabilizzante nel nome di valori puramente teorici e a scapito di parziali ma concreti e reali progressi economici e civili.
Accade cosí che per molti il governo Renzi sia costitutivamente una schifezza e che non un provvedimento di politica interna o di politica estera da esso varato possa essere “salvato”. E, anche se sollecitati a fare un confronto tra questo governo in carica e i governi che l’hanno preceduto, non c’è modo di convincere tanti “eroi” del libero pensiero e tanti amanti della vera giustizia a moderare o a rendere più equilibrati, veritieri e realistici i propri giudizi.
D’altra parte ha ben poca importanza precisare, come fa il fazioso sofista D’Arcais, che Davigo non abbia mai detto che “la classe dirigente è tutta corrotta”, dal momento che è esattamente questo che egli intendeva dire nel proferire le seguenti parole: «la classe dirigente di questo Paese quando delinque fa un numero di vittime incomparabilmente più elevato di qualunque delinquente da strada e fa danni più gravi» (Pessimo Cantone, pessimissimo Legnini: che scandalo c’è nell’ovvia verità di Davigo, in “Micromega” del 23 aprile 2016).
Peraltro, classe dirigente non è solo, a rigor di logica, la classe politica di governo ma l’insieme di coloro che sono preposti a far funzionare lo Stato, ivi compresi naturalmente i magistrati che non sono né peggiori né migliori degli altri, anche se io ne conosco uno che, pur lavorando nell’antimafia, si comporta come un vero e proprio boss nel suo condominio. Può interessare a D’Arcais, Travaglio, e a tutti i piccoli e grandi “professionisti” della democrazia, conoscere i particolari di questa piccola storia di provincia? Macché!