Generalmente, i primi posti di una festa di nozze o di un luogo in cui si celebri o si commemori una ricorrenza, un evento, un’impresa civile o culturale di particolare valore, di un teatro, di una chiesa o di uno stadio, in cui abbia luogo una data rappresentazione artistica, una cerimonia religiosa o una manifestazione sportiva, sono già prenotati per gli abbonati o per personalità e soggetti di alto o medio rilievo istituzionale. Ma può sempre capitare che alcuni, sbadatamente o facendo finta di non capire, tentino di aggirare le regole o, se si vuole, le convenzioni, e occupino, con maggiore o minore disinvoltura, il posto ad altri riservato. Questo atteggiamento corrisponde ad una ricerca di comodità, di visibilità, ad un desiderio più o meno inconscio di emergere o primeggiare, indipendentemente dal fatto che coloro per i quali i posti sono prenotati o riservati siano migliori o peggiori di chi vorrebbe occuparli. Per molti di noi, è come se stare davanti, occupare i posti migliori o più prossimi a personaggi noti, famosi o comunque socialmente e mediaticamente apprezzati, equivalesse automaticamente ad acquistare maggiore valore, ad essere più di quello che realmente si è, senza peraltro rendersi conto che in realtà, a dispetto delle apparenze, delle convenzioni sociali, della qualità professionali, dei ruoli sociali o dei titoli di merito vantati da coloro nei cui pressi si vorrebbe apparire o presenziare, quest’ultimi non siano poi dotati di qualità così eccelse da giustificare la nostra ansia di figurare in prossimità dello spazio da essi occupato.
Anche se non dovesse accadere che qualcuno ci solleciti a lasciare il posto riservato agli ospiti più eminenti per occuparne uno meno onorevole o collocato magari nelle retrovie dei posti disponibili, noi rischieremmo di fare ugualmente una cattiva figura, non agli occhi degli invitati abituati di massima ad esprimere giudizi piattamente conformistici e superficiali, ma di certo in rapporto a se stessi, al fatto di avere di sé una stima così bassa da andare a cercare visibilità addirittura da qualcuno che potrebbe valere anche meno di noi. Ma, anche ipotizzando che l’evento in questione fosse di sicura importanza politica, culturale o religiosa, per quale motivo una persona che sia serenamente cosciente dei suoi mezzi culturali o della sua spiritualità, deve affannarsi a mettersi in mostra, a distinguersi tra gli altri per la posizione fisico-spaziale assunta dalla sua persona? Tale atteggiamento il più delle volte altro non esprime se non la ricerca ansiosamente ostentata di un riconoscimento pubblico che meritatamente o motivatamente non si sia mai o ancora riusciti ad ottenere, come se, ancora una volta, l’ottenerlo o il non ottenerlo potesse costituire in se stesso un criterio oggettivo di misura circa la natura eccelsa o mediocre della nostra umanità, della nostra vita intellettuale, del nostro impegno sociale o religioso.
Tuttavia, la tendenza a voler attirare l’attenzione su se stessi non appartiene solo a individui di modesta o inesistente cultura, e psicologicamente animati da ingiustificato spirito di rivalsa contro nemici o avversari del tutto immaginari, oppure infantilmente portati ad illudersi che la frequentazione occasionale anche semplicemente spaziale di un personaggio realmente illustre o mediaticamente famoso, possa contribuire in qualche modo ad accrescere il valore della loro persona, giacchè essa ricorre non di rado in soggetti già affermati in diversi ambiti della vita civile, culturale o politico-istituzionale, oppure operanti in comunità religiose, che appaiono tuttavia dominati dal culto delle frequentazioni altolocate, quasi che quest’ultime possano assolvere la virtuosa funzione di corroborarne l’autorevolezza o il prestigio, presunta o reale che siano. In ogni caso, Gesù ammonisce noi tutti a non voler sgomitare, a non volersi distinguere a tutti i costi da folle anonime o dalla gente comune e, peggio, a non presumere troppo di sé anche se si sia in possesso di capacità obiettivamente non comuni. Che ognuno faccia umilmente, nel miglior modo possibile, quello che può e sa fare per essere utile a coloro che non potranno contraccambiare i favori ricevuti perché privi di voce, potere, ricchezza, e ponendosi in spirito di carità al servizio del bene e del giusto, perché, nel mondo che verrà, chi si sarà esaltato sarà umiliato, e chi si sarà umiliato sarà esaltato.
Francesco di Maria