Bruxelles, capitale dell’Europa e dello jihad

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 di Virginia Ortalis

Bruxelles-musulmaneConcordo con la linea di questo blog, soprattutto per quanto riguarda il giudizio sull’islam e la necessità di non accentuarne importanza e visibilità mediatica anche attraverso quello strumento di presunta ma falsa pacificazione che dovrebbe essere il dialogo interreligioso. In effetti, la situazione è più drammatica di quel che, anche a causa di un’informazione conformista e ottusa, generalmente si pensa. Un Paese ufficialmente cattolico come il Belgio non solo non ha quasi più niente di cattolico, visto che in esso circa 1500 persone ogni anno ricorrono all’eutanasia estesa per legge persino ai bambini, che è in vertiginoso aumento il numero dei suicidi (2000 all’anno negli ultimi tempi), che cala in modo impressionante il numero dei matrimoni “cattolici” e che i bambini battezzati sono solo il 15% della popolazione infantile, che il numero dei praticanti cattolici si fa sempre più esiguo.

Parallelo a questo processo di scristianizzazione corre un processo di forte islamizzazione della società belga. Il maggior numero di combattenti nelle fila dell’Isis proviene dal Belgio, che risulta essere la città più “terrorista” d’Europa, una vera centrale del terrorismo islamico in tutta la parte occidentale del continente europeo, per cui Bruxelles, che ogni giorno sentiamo nominare da tutte le televisioni del mondo come la sede in cui si prendono decisioni importanti per il destino dei popoli europei, non è più solo la capitale dell’Unione Europea ma è anche la capitale dello jihad e, in definitiva, della “guerra santa”.

Bruxelles, come tutto il Belgio, è una città dominata da un nichilismo utilitaristico, nato appunto dalla progressiva frantumazione della tradizionale communitas cristiana e dalla inarrestabile perdita di valori e di punti di riferimento spirituali che apre la porta a comportamenti edonistici, cinici e disperati al tempo stesso. E’ una città in cui ormai il numero di studenti che studia la religione islamica ha superato quello degli studenti che studiano la religione cattolica, in cui un cittadino su tre è musulmano, e il nome anagrafico più frequente tra i nuovi residenti di origine araba è Mohammed. Questo per dire che l’islam già oggi figura come la prima religione del Belgio e che, secondo previsioni abbastanza attendibili, proprio Bruxelles in particolare dovrebbe essere a maggioranza musulmana!bruxelles-araba-e1398499890550

Ma le cose non potevano certo andare diversamente in un Paese, il Belgio per l’appunto, sede della UE, che ha adottato la forma più radicale di multiculturalismo che l’Europa abbia mai adottato. Si pensi che il governo belga sin dal 1974 riconosceva ufficialmente la religione islamica con immediato inserimento di essa nel curriculum scolastico della nazione. Oggi il 75% dei musulmani belgi sono praticanti: esattamente l’opposto di quel che accade in casa cattolica. Oggi gli imam, proprio nei pressi delle istituzioni europee, predicano contro Bruxelles, definita, nonostante la schiacciante supremazia islamica dal punto di vista demografico e non solo demografico in Belgio, “capitale degli infedeli”, ovvero di un occidente ormai privo di ideali e di valori sacri o ancora attaccato ad una falsa fede come quella cristiana, rea di non riconoscere “la terza rivelazione”, vale a dire quella che Allah avrebbe fatto a Maometto.

Gli europei hanno l’Isis quasi ai propri confini. Per quanto tempo, stando cosí le cose, saranno in grado di tenere a bada il feroce e sacrilego Califfato nero?

Virginia Ortalis

Chiesa, islam e futuro dell’Europa

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gli-ultimi-giorni-dell-europa-186x300“Muslims around the world convert to Christ!” o, più semplicemente, “Muslims convert to Christ“: con questa esortazione evangelica, scritta alla fine dell’articolo, voglio rendere subito chiaro il mio pensiero di indegno ma fedele seguace di Cristo. Studi internazionali molto attendibili prevedono che in Europa molto presto, e si allude a non più di due o tre decenni, risiederanno più di 70 milioni di musulmani, ci saranno più chiese che moschee e il cristianesimo sarà ormai minoritario rispetto all’islam. Oggi non abbiamo a che fare solo con romanzi e interventi giornalistici come quelli di Elena Chudinova o della nostra Oriana Fallaci che profetizzavano una graduale ma inesorabile conquista islamica del continente europeo: abbiamo a che fare con analisi e previsioni dotate di un grado molto elevato di attendibilità scientifica che muovono da dati storico-empirici inoppugnabili: a Parigi e in altre grandi città francesi esistono sempre più estesi quartieri musulmani dove la gente comune e in particolare le donne non mettono piede per paura di poter essere vittime dell’intolleranza e della violenza che sempre più spesso coloro che vi risiedono manifestano verso i non musulmani; in un paese europeo tradizionalmente cattolico come il Belgio, solo per dirne una, non si celebrano più il Natale e la Pasqua, e anzi in esso come in Gran Bretagna e Paesi Bassi la Shari’a è stata ormai incorporata nei rispettivi codici civili, per non fare poi riferimento ai paesi scandinavi le cui politiche oltremodo favorevoli all’immigrazione hanno determinato una vera e propria islamizzazione dei loro territori; in Germania, la comunità musulmana ha acquisito ormai un peso politico talmente forte da non poter essere ostacolata dal governo nelle proprie richieste oltre un certo limite; in Italia, infine, si assiste recentemente ad un vertiginoso incremento di immigrati di fede islamica. Continua a leggere

Prostituzione a Roma: appello ai cattolici romani!

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 di Nino Formisano

images (18)Il Comune di Roma sarebbe pronto a legalizzare il mercato del sesso, creando una zona urbana ad hoc. Se questo corrisponde al vero, la comunità cristiana e cattolica della capitale d’Italia non può restarsene con le braccia conserte ma fare attivamente tutto quello che è nelle sue possibilità per impedire al sindaco Marino, che ha già dato prova di stupidissima laicità sulla questione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, di compiere un altro aberrante passo amministrativo che avrebbe nefaste conseguenze sulla convivenza civile già abbastanza difficile della Città eterna.

Ma, come, tanti laici generosi e tanti uomini di fede, tra cui alcuni sacerdoti particolarmente impegnati e coraggiosi, si danno tanto da fare per liberare moltissime ragazze dal giogo di sfruttatori senza scrupoli e l’onorevole Marino non ha altro di meglio da pensare che varare provvedimenti che ovviamente accrescerebbero di molto il degrado e la criminalità della società romana? Penso che Renzi dovrebbe intervenire: come Presidente del Consiglio e come cattolico.

La Giunta capitolina sembra voler replicare a queste obiezioni argomentando che i provvedimenti in questione si renderebbero necessari proprio per limitare e non per ampliare la prostituzione e fenomeni connessi ad oggi molto diffusi in diversi quartieri e zone della città. Come dire: si individuerebbe un certo numero di strade da destinare alle “peripatetiche”, e quindi si creerebbe un vero e proprio quartiere a luci rosse (come, sembrerebbe, l’Eur) per evitare che l’intera città sia infestata dal malcostume e dall’immoralità dilaganti. Si potrebbe chiedere: perché mai quel quartiere e non altri al suo posto? images (19)Ma la domanda principale è un’altra: è legittimo giuridicamente, è lecito moralmente, è sensato politicamente che un’amministrazione comunale, per giunta cosí importante come quella romana, tolleri comunque o addirittura incoraggi il radicarsi sociale di un vizio, di un fenomeno cosí turpe e deleterio come quello della pubblica prostituzione e dei relativi fenomeni di sfruttamento gestiti da criminali di ogni genere?

E a chi osserva che la prostituzione è vecchia come il mondo e non potrà mai eliminata dalla società, bisogna rispondere che questa affermazione è certamente realistica e forse anche condivisibile, ma che lo Stato e quindi anche gli enti locali che ne costituiscono le necessarie articolazioni amministrative non può avallare in nessun caso sul piano legislativo fenomeni che minano alla radice i fondamenti del vivere civile e i più basilari princípi del decoro e dell’ordine pubblici. Chi vuol essere dedito alla prostituzione, faccia pure ma senza il beneplacito della legge e anzi assumendosi il concreto rischio di essere severamente colpito dai rigori della legge stessa. Questo significa concepire e praticare la politica per fini eminentemente civili che sono esattamente antitetici a quelli che vorrebbe perseguire il sindaco Marino e la sua giunta.

images (20)Perciò, cattolici romani, fatevi sentire e siate capaci di creare un cosí ampio e incisivo movimento di dissenso rispetto alle misure prospettate da costringere Marino e compagni a rinunciarvi per sempre. Dovete schierarvi assolutamente con don Aldo Buonaiuto il quale, in qualità di rappresentante di un’associazione che si prende cura delle prostitute, ha giustamente affermato che il progetto di Marino implica né più né meno che la legittimazione dello sfruttamento delle donne: «sostanzialmente», ha detto amaramente senza peli sulla lingua, «vogliono che sia lo Stato a diventare il magnaccia».  

Nino Formisano

Paola Taverna: omaggio ad una povera donna!

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 di Lorena Dandi

M5S-Paola-TavernaPaola Taverna, una che confessa di essere stata “travolta” da un grande intellettuale come Grillo, rappresenta la plebe del popolo italiano, ma non la plebe umile e operosa che non ha tempo di pensare alla politica perché è troppo drammaticamente impegnata nella ricerca del necessario per poter sbarcare il lunario bensí la plebe che tale resterebbe anche se miracolosamente vedesse cambiare radicalmente il suo stato di vita da un momento all’altro, la plebe di coloro che non mugugnano e bestemmiano, non protestano e non inveiscono contro questa o quella forma di potere, motivando in qualche modo il proprio recriminare, ma sono portati a prendersela con il potere, come con il mondo e con gli altri a prescindere. Sí, a prescindere! Perché? Perché il più delle volte questa diffusa categoria plebea di persone ha un vissuto psichico talmente drammatico e contorto che, quali che siano gli ambiti di vita frequentati, è portata sempre e costitutivamente ad identificare le cause del proprio disagio esistenziale, attraverso rabbiose e scomposte espressioni o reazioni pulsionali, con cause esterne o esogene rispetto alle proprie frustrazioni più intime e ai propri conflitti interiori. Continua a leggere

Diciamo no all’esercito unico europeo

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di Romolo Stefanelli

Dai e ridagli, era inevitabile che prima o poi qualche capoccione dell’Unione Europea rilanciasse l’idea, prevista dall’art. 42 della “Costituzione dell’Unione Europea” del Trattato di Lisbona, della creazione di un esercito unico europeo o Eurogendfor (Gendarmeria europea) attraverso la quale potrebbe cominciare a concretizzarsi la possibilità che l’UE si doti di una politica di difesa e di sicurezza comuni che le consentirebbe di accrescere notevolmente la sua autonoma e attiva presenza negli scenari della geopolitica internazionale, anche se bisogna osservare che quest’idea è già embrionalmente in atto dal momento che ad oggi sono ben 15 le missioni militari che coinvolgono l’Europa in diverse parti del mondo. L’ostacolo all’attuazione giuridica download (2)di questo progetto di unificazione militare, che viene visto soprattutto da “europeisti” che hanno ed avranno le leve del potere decisionale europeo in mano come passo indispensabile verso l’attuazione di un vero Stato politico europeo, viene dal fatto che lo stesso Trattato di Lisbona prevede che un provvedimento del genere sia votato all’unanimità dal parlamento europeo, ma, poiché nel parlamento europeo sono passate in tutti questi anni diverse decisioni discutibili o almeno non favorevoli nella stessa misura agli interessi nazionali di tutti gli Stati membri, non sarebbe strano se, in un arco di tempo ragionevolmente breve, anche questa scellerata misura dovesse passare. Continua a leggere

Gli intellettuali oggi

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 Generalmente parlando, l’intellettuale laico moderno ha il suo prototipo nel settecentesco philosophe francese, che è un uomo di pensiero portato a confidare esclusivamente nella ragione e nel suo potere di render conto di ogni campo della realtà e del sapere per via rigorosamente logico-scientifica. images (8)Di qui anche la sua vocazione enciclopedica, ovvero la sua propensione a presentare la conoscenza umana in senso quanto più possibile unitario, circolare e dialettico, e secondo una metodologia di apertura critico-problematica in virtù della quale il sapere risulti costituito da accumulazioni successive di verità sempre suscettibili di essere integrate e dunque dotate di universalità sia pure nei limiti della loro costitutiva relatività epistemica.

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Cattolici prevenuti e faziosi

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 di La tulipana fiorentina

Su alcuni siti cattolici vengono fatte non di rado le pulci a Matteo Renzi: forse perché non potendolo accusare di aver aggravato la situazione economica, che anzi sia pure lentamente è in via di miglioramento, essi pensano di doverlo quanto meno criticare sul piano morale personale per non rischiare di essere tacciati da alcuni influenti siti laici di manifesta partigianeria. E’ il caso del sito “In terris” su cui ieri qualcuno scriveva che, contrariamente alla sua precedente esperienza di sindaco, quando andava sempre in bici, Renzi, una volta ricevuto l’incarico di Presidente del Consiglio, ha cominciato ad utilizzare aerei ed elicotteri di Stato, un’abitudine che sarebbe diventata ormai sistematica.renzi-courmayeur-volo-stato-620x330

Ora, benché il premier abbia già spiegato, senza averne l’obbligo, che tutti i suoi spostamenti non sono affatto scelte personali ma frutto di ben precisi protocolli di sicurezza, si deve prendere atto che, pur di far caciara, in questo Paese persino certi cattolici non si preoccupano di sollevare polemiche del tutto sterili e sciocche, giungendo a confondere le opportunità pratiche che da sempre la legge mette a disposizione di una figura istituzionale oltremodo rilevante qual è quella di Presidente del Consiglio con «privilegi da prima Repubblica». Continua a leggere

Per testimoniare evangelicamente Cristo

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DECI 3Il cattolicesimo occidentale, per opera di papa Francesco e di buona parte dell’attuale gerarchia ecclesiastica, continua a predicare il rispetto di tutte le religioni, il diritto alla libertà religiosa, il dialogo interreligioso, come se tutto questo fosse parte essenziale e costitutiva del vangelo di Cristo. Confesso apertamente di ritenere una criticità dell’attuale pontificato, cui vanno peraltro riconosciuti molti meriti, questa ostinata ricerca di dialogo religioso e teologico in un contesto storico in cui è sempre più evidente che ognuno usa il dialogo solo per portare acqua al proprio mulino. Penso altresí, come tanti altri credenti e insieme ad eminenti personalità della Chiesa e della teologia cattoliche, che l’ostinata insistenza con cui viene continuamente ribadita la legittimità di questi temi ai fini della pace nel mondo non derivi tanto da princípi dottrinari quanto da preoccupazioni pastorali, fermo restando che dal punto di vista dottrinario non c’è nulla, non solo sul piano specificamente evangelico ma in tutta la tradizione della Chiesa (ivi compreso il Concilio Vaticano II che una parte di clero cattolico tende purtroppo ad interpretare arbitrariamente e soggettivisticamente), che autorizzi a cercare a tutti i costi un dialogo interreligioso o a rispettare, ben oltre la forma, la fede altrui persino se si sia coscienti che quest’ultima sia manifestamente erronea.

Senonché, anche le preoccupazioni pastorali, che sembrano ispirare l’odierna politica religiosa della Chiesa in rapporto alle religioni altre del mondo, non pare abbiano sinora prodotto buoni risultati ovvero conseguenze favorevoli ad un reale processo di integrazione interreligiosa o a rapporti più sereni e pacifici tra la nostra religione e religioni come ebraismo, islamismo, induismo, solo per citare le maggiori.

Infatti, per ciò che si riferisce ad Israele, esso limita notevolmente l’attività delle chiese cristiane imponendo un regime rigoroso e discriminante in materia di visti per i religiosi cristiani e, d’altra parte, i pochi cristiani residenti nello Stato d’Israele non vivono in condizioni adeguate di sicurezza né sono realmente partecipi della vita pubblica: quel poco che concede loro lo Stato democratico israeliano è più per motivi di opportunità e di visibilità politiche, in quanto esso tiene a fregiarsi del titolo di avamposto dell’Occidente e ha evidenti interessi pratici nel mantenere un rapporto almeno formalmente aperto con la Chiesa cattolica, che non per intima attitudine a rispettare princípi universali della civiltà occidentale come quello che si riferisce alla natura aconfessionale dello Stato, alla libertà e al pluralismo religiosi, alla uguaglianza giuridica e sociale di tutti i cittadini indipendentemente dalla loro fede religiosa.images (5)

In questo senso, limitazioni ancora più accentuate devono subire probabilmente gli stessi israeliani di origine araba, ma questo sta solo a comprovare in modo inequivoco che il dialogo interreligioso interessa agli israeliani e agli ebrei di tutto il mondo, animati da un forte spirito nazionalistico, non come valore in sé ma solo per gli usi strumentali che possono farne a fini politici e per i vantaggi esclusivamente utilitaristici che possono trarne nella strenua difesa dei loro presunti interessi nazionali.

Peggiore è il quadro dei rapporti tra mondo cattolico e mondo musulmano, nonostante che a quest’ultimo siano rivolti i maggiori sforzi di dialogo da parte della Chiesa. Ciò dipende da un dato storico-politico inoppugnabile, vale a dire dal fatto che, mentre sulla religione ebraica il cristianesimo ha avuto nettamente la meglio nel corso dei secoli, con la religione islamica il suo percorso risulta storicamente ben più accidentato e persino caratterizzato da periodici e violenti conflitti armati. La Chiesa cattolica, pur sapendo di avere a che fare con una gravissima e irriformabile eresia religiosa, ritiene attualmente, nel mondo globalizzato della multimedialità, per motivi pastorali opinabili e del tutto indipendenti da una rigorosa osservanza dei contenuti dottrinari della fede in Gesù, di poter controllare e contenere il tradizionale antagonismo islamico più attraverso una continua ricerca di dialogo e di pacificazione che non attraverso una reiterata, franca e doverosa affermazione della assoluta regalità di Cristo nella storia dell’umanità.images (6)

Come figlio della Chiesa, che sa non solo di appartenere alla Chiesa ma di essere egli stesso Chiesa al pari di ogni altro battezzato in Cristo, dissento da questa linea di politica religiosa oggi perseguita da papa Francesco e ieri anche non da Benedetto XVI ma da Giovanni Paolo II. Mi chiedo come sia possibile ignorare che i maggiori crimini nei confronti dei cristiani residenti in medioriente siano venuti alquanto accentuandosi proprio quando la Chiesa ha cominciato a mostrarsi particolarmente interessata a dialogare con il mondo islamico, o meglio con i suoi assetti istituzionali anche in sede teologica, più che con i popoli islamici, visti nella loro concreta e sofferta esperienza di vita e indipendentemente dal loro credo religioso. Abbiamo oggi a che fare non solo con le feroci persecuzioni anticristiane dell’Isis in Iraq e in Siria o nelle regioni africane devastate dagli eccidi sanguinari di Boko Aram, ma anche con persecuzioni anticristiane non meno efferate non di rado poste in essere in Paesi islamici come la Turchia o il Pakistan. Quali sarebbero dunque i vantaggi derivanti alle comunità cattoliche non occidentali e sparse per il mondo dalla ostinata ricerca di un dialogo interreligioso da parte della Chiesa gerarchica ed istituzionale di questo momento storico?

Stesso ragionamento vale per l’India induista in cui anche di recente si sono registrati casi di violenta persecuzione anticristiana e anticattolica, benché nella costituzione di questo Paese siano previsti chiaramente la libertà di culto religioso e il diritto di ognuno di professare liberamente la propria fede. Il problema è che, come già molto chiaramente si rilevava sul sito “AsiaNews.it” in data 6 agosto 2O12, in aperta contraddizione con la Costituzione indiana, «in molti Stati indiani, soprattutto in quelli guidati dal Partito Nazionalista indù Bharatiya Janata Party (Bjp), i cristiani “non godono di tutti i diritti” e di una piena libertà religiosa». Sono infatti frequenti «gli attacchi contro fedeli e luoghi di culto e…l’attuale scenario di “laicità” della nazione viene spesso disatteso nei fatti» e ad un punto tale che «il carattere laico della democrazia indiana è in serio pericolo» (N. Carvalho, Libertà religiosa: per gli attivisti indiani è in “serio pericolo”).images (7)

Le cose stanno cosí. Da un punto di vista pastorale, dunque, papa Francesco, posto che la sua intenzione sia solo quella di proporre una linea pastoralmente efficace anche e soprattutto ai fini di garantire maggiore sicurezza e maggiore libertà religiosa ai cristiani residenti in infide o ostili regioni del mondo e non coincida con una malaugurata e malcelata mancanza di coraggio evangelico, dovrebbe prendere atto che il cosiddetto dialogo interreligioso risulta ampiamente fallimentare e che il problema pertanto sarebbe ormai quello di cambiare strategia facendo collimare il più possibile la ratio pastorale con la ratio dottrinale, anche perché le modalità di attuazione del messaggio di Cristo sono certo importanti ma a condizione che esse contribuiscano a renderlo più presente nel mondo e non ad indebolirne la forza di incidenza e di penetrazione spirituale.

La Chiesa non può fare a meno di annunciare continuamente al mondo in tutti i modi e le forme possibili, e quindi anche ad ebrei musulmani e induisti, che l’unico vero Dio della storia degli uomini è solo il Dio di Gesù Cristo e che chiunque aspiri onestamente alla verità e alla salvezza è esclusivamente a questo Dio che deve sforzarsi di tendere. Questa è l’unica direzione di marcia assegnata da Gesù alla sua Chiesa. Non vi sono, come purtroppo qualche alto prelato cattolico ritiene, altre direzioni da seguire, come per esempio quella di una fede cristiana che sarebbe tenuta a porsi il problema di come coesistere con altre fedi e religioni presenti e operanti nell’umanità. Spiace perciò dover dissentire dal pensiero molto confuso e ambiguo, e persino pasticciato sotto l’aspetto linguistico, del cardinale Tettamanzi: «Penso che dal Vangelo nasca un appello a conoscere e a vivere la propria specifica “identità” rendendola sempre più convinta, certa e matura: non dunque un’identità che si configura come un rifiuto o comunque un ostacolo nei riguardi delle più diverse forme di religiosità di altri popoli e gruppi e persone, ma come un invito e un rilancio per una “uscita” abituale, continua e rispettosa della fede cristiana verso l’incontro e il dialogo con le altre fedi e religioni. In questo senso l’adesione alla propria fede e religione non costituisce un valore soltanto per se stessi, ma diventa un dono presentato agli altri, un vero e proprio servizio alle altre fedi e religioni» (Intervista di Z. Dazzi a Tettamanzi, All’Expo il mondo globale la libertà religiosa è un diritto e il rifiuto è contro il Vangelo, in “La Repubblica” del 25 febbraio 2O15).

In realtà, l’identità cristiana è un’identità vocazionalmente portata ad annunciare in modo pacifico ma non indolore che al regno di Dio si può accedere solo attraverso la fede proclamata e vissuta nella morte e nella risurrezione dell’uomo-Dio Gesù Cristo; è un’identità che non pretende certo di sopprimere popoli gruppi e persone che professino una fede e una religione diverse ma che li invita al tempo stesso a prender coscienza dell’erroneità o della parzialità o addirittura della abnormità del proprio credo e infine a convertirsi a Cristo. E’ altresí un’identità che predispone ad ascoltare gli altri e a condividerne sofferenze, bisogni e speranze, a prescindere dalle loro idee religiose, ma non già per lasciarli nell’errore della loro falsa visione religiosa considerandola opportunisticamente legittima bensí per sollecitarli sia pure amorevolmente ad indirizzare la propria fede verso il Dio giusto e misericordioso del vangelo cristiano. L’annuncio e la testimonianza cui è tenuto il cristiano non presuppongono alcun confronto, alcun dialogo, se non in via subordinata e in forma inessenziale, e soprattutto non necessitano costitutivamente di speciali dialettiche interreligiose volte unicamente ad accreditare come veritiere, in modo ipocrita e strumentale, quelle che altro non sono se non menzognere rappresentazioni di Dio.

Questo e non altro ci impone la nostra fede in Cristo. Il dialogo tra popoli e individui di fede diversa sarà sempre possibile e necessario sotto l’aspetto politico ed economico, non certo sotto quello religioso, perché, come ha scritto bene don Nicola Bux, «per conseguire la pace, Gesù non ha chiesto agli Apostoli di costituire una “comunità ecumenica mista” (cosa che i musulmani considerano apostasia dalla loro religione), come faceva Paolo Dall’Oglio il gesuita scomparso in Siria, ma di fare la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. A noi cattolici non è consentito di andare oltre questo mandato, presumeremmo di essere più grandi di Gesù Cristo. Dunque: “Il grande problema, posto davanti al mondo resta immutato — come disse Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Vaticano II — o sono con Cristo e con la Chiesa sua oppure sono senza di Lui, o contro di Lui, e deliberatamente contro la sua Chiesa”» (Mai più guerra? La soluzione non è il pacifismo, nel sito “La Nuova Bussola” del 29 luglio 2O14).download (1)

La Chiesa, piuttosto, anziché reclamare sterilmente un dialogo interreligioso non richiesto né dalla fede che professa né da uno schietto spirito evangelico di carità, può e deve chiedere a gran voce che sia la comunità politica internazionale a farsi finalmente e concretamente carico delle esigenze di sicurezza personale e di libertà religiosa manifestate al mondo intero, con angosciosa ma vana insistenza, da tutte le comunità cristiane mediorientali oggi perseguitate. Alla luce del vangelo è del tutto legittimo, e anzi moralmente e religiosamente doveroso, che a Cesare e quindi allo Stato, ai singoli Stati, alla comunità politica di tutti gli Stati ovvero all’Onu, venga chiesto di portare stabilmente soccorso, anche per mezzo delle strutture militari di cui dispongono, a tutte quelle comunità umane e religiose i cui elementari diritti alla vita e alla libertà religiosa siano ingiustificatamente e brutalmente calpestati.

Una volta san Paolo non si appellò alla comunità religiosa giudaica per essere giudicato ma, in quanto cittadino romano, a Cesare. Anche noi cattolici, in quanto cittadini della civiltà occidentale, abbiamo il diritto di chiedere giustizia a Cesare per tutto ciò che riguarda la tutela temporale delle nostre vite, dei nostri beni e delle nostre libertà, senza doverci sottoporre al placet di questo o quel gruppo religioso non cristiano e confidando sempre e comunque nella superiore giustizia di Cristo, unico e definitivo re del mondo.

“Critica Marxista” e Renzi. Un duello tra teoria e prassi

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La democrazia ha bisogno di rinnovare continuamente le sue procedure, le sue forme giuridiche, i suoi assetti istituzionali, se vuole tenere realmente fede ai suoi princípi fondativi, ai suoi valori costitutivi, alle sue immutabili finalità che sono principalmente quelle della libertà personale, del diritto al lavoro e alla effettiva partecipazione alla organizzazione complessiva dello Stato, della eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.images (4)

Renzi, forte di un largo consenso popolare, si è assunta la responsabilità storica di riformare a colpi di maggioranza la Costituzione, la legge elettorale, il mondo del lavoro e quant’altro, perché ritiene che la crisi economica e finanziaria in cui oggi versa l’Italia sia frutto anche e soprattutto di decenni di immobilismo politico-istituzionale, di sterile assemblearismo parlamentaristico, di rovinosa incapacità governativa. Egli si sente capo di una sinistra finalmente volitiva, non più affetta da mera verbosità programmatica, non burocratica, ma decisionista e capace di farsi interprete delle esigenze reali della società civile italiana. Molti lo criticano per questo suo spregiudicato modo di agire ritenendo che con lui la tenuta della nostra democrazia sia ormai a rischio.

Soprattutto a sinistra gli si muovono accuse di leaderismo, di plebiscitarismo, di autoritarismo, anche se nell’album di famiglia della sinistra italiana tutte queste tendenze non solo sono presenti ma si trovano fortemente radicate, ma la critica quasi sempre di matrice marxista che gli viene mossa è in realtà troppo poco disinteressata per poter essere considerata attendibile. Anche a prescindere dall’ostruzionismo, spesso personalistico ed autolesionistico, praticato dalla minoranza del PD nei confronti del suo segretario, persino le critiche provenienti da un’intellettualità più seria e distaccata di sinistra, come quella rappresentata dalla prestigiosa rivista “Critica Marxista”, appaiono incapaci di cogliere il valore profondamente morale della strategia politica posta in essere da Renzi e la vera portata storica della sua azione riformatrice, benché essa non sia certo immune da difetti e da ambiguità che converrà opportunamente correggere nel corso del tempo.Layout 1

Un intellettuale di provata e specchiata integrità, per esempio, come Aldo Tortorella, condirettore con Aldo Zanardo della suddetta rivista, non sembra cogliere affatto nel segno quando accusa Renzi di coltivare «l’idea di una democrazia priva di corpi intermedi e affidata a un capo e alla sua corte, una concezione del lavoro come pura merce, la pratica dei patteggiamenti segreti per decidere sulla sorte di tutti» (Editoriale in “Critica Marxista”, 5, 2014). La sua è una critica eterea, astratta, formalistica, preconcetta, tutta ideologica, interessata e pregiudizialmente avulsa da un’analisi obiettiva della specifica situazione storica italiana, la quale in realtà, stretta tra una concezione pragmatica ma bassamente privatistica della politica come quella di Berlusconi e una concezione politica grevemente burocratica e rigidamente allineata alle direttive repressive e depressive di Bruxelles come quella impersonata dai Prodi e dai D’Alema, dai Bersani e dai Letta o dai Monti, risulta pesantemente segnata da un ventennio di sostanziale immobilismo politico-istituzionale e di evidente incapacità politico-governativa. Lo stesso Bertinotti, pur avendo assolto per qualche tempo la funzione di Presidente della Camera dei deputati, sarà ricordato negli annali della storia politica nazionale per aver determinato l’improvvisa dissoluzione del suo partito: Rifondazione Comunista.

Certo, Renzi ha replicato e replica vigorosamente ed efficacemente alle frequenti contestazioni che gli vengono mosse dai cosiddetti corpi intermedi ovvero da tutte quelle formazioni sociali, come partiti, sindacati, associazioni di categoria, grandi giornali e televisioni, che sono chiamate a rappresentare i bisogni e le istanze dei cittadini e che per decenni hanno costituito l’ossatura della democrazia italiana. Renzi replica e non esita a scagliarsi contro di essi per sottolineare un dato storico oggettivo che li riguarda direttamente, ovvero di non essere più e non da oggi capaci di mediare tra politica e società civile, di non sapere più interpretare una società molto diversa da quella degli anni ’70-’80, di rappresentare ormai solo se stessi.
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E’ proprio per questo, per l’oggettiva perdita di centralità e di potere, che questo arcipelago di corpi intermedi che non mediano più niente ma tentano ugualmente di conservare con le unghie e i denti una qualche visibilità e di esercitare una qualche influenza sulla pubblica opinione, è cosí aggressivo verso Renzi che, in virtù di un ritrovato o riconquistato prestigio italiano in sede europea e di riforme volte a creare un asse quanto più possibile stretto e diretto tra masse popolari e sfera governativa, punta non solo a rilanciare l’economia nazionale, sia pure secondo modalità su cui probabilmente e anzi obiettivamente occorrerà ritornare, ma anche e soprattutto a realizzare tutta una serie di nuove condizioni costituzionali, istituzionali ed elettorali che favoriscano la governabilità del nostro Paese.pillole07

Ora, è indubbio che Renzi si stia assumendo la responsabilità storica di modificare in modo rilevante l’assetto costituzionale e istituzionale dello Stato e non è certo possibile affermare aprioristicamente che domani le cose andranno sicuramente meglio, ma era intanto necessario colmare una grave crisi di rappresentanza e il suo attivismo pertanto, per quanto non sempre forse ineccepibile e fruttuoso, tende a dare fiducia e speranza ai ceti medio-bassi non meno di quanto tenda a rassicurare i mercati finanziari: prova ne sono il largo consenso popolare di cui gode dopo un anno di governo e la sia pur lieve risalita degli indicatori economici.

Quella di Renzi non è una rivoluzione contro il sistema, come implicitamente ma velleitariamente vorrebbe certa critica di matrice marxista, ma una piccola e tuttavia significativa rivoluzione dentro il sistema, esposto a scenari terrificanti che non possono essere neutralizzati con un colpo magico di bacchetta ma potrebbero essere riorientati abilmente in termini di maggiore cooperazione tra Stati e di maggiore giustizia sociale. Ora, se il modo renziano di uscire dal pantano pseudodemocratico e sterilmente assemblearistico e parlamentaristico in cui ci siamo cacciati dovesse rivelarsi efficace e idoneo al conseguimento di buoni risultati economici e sociali, non sarebbe preferibile un capo e la sua corte di fedeli collaboratori all’esistenza di tanti capi e di tante piccole corti in perenne e improduttiva lite tra loro?

La democrazia presuppone maturità culturale e integrità morale senza le quali essa può solo degenerare in demagogia e in comune rovina di quanti l’esercitano da posizioni di potere e di quanti la esercitano dal basso. Essa non può essere staticamente e semplicemente alimentata da regole, procedure, formalità costituzionali e giuridiche, ma è il suo spirito che deve continuamente rinnovarsi e rigenerarsi per mezzo di un’ispirata e responsabile attitudine etico-politica a correggerla, integrarla, riformarla, guidarla, a seconda dei mutamenti non solo economici ma strutturali che tendono a intervenire in forme più o meno radicali nelle diverse epoche storiche e pur sempre in funzione di quei valori immutabili di libertà, eguaglianza e giustizia sociale, che sono e devono restare i cardini di ogni vera democrazia.

Anche di quei “patteggiamenti segreti” a Renzi imputati da Tortorella si rischia di non capire il significato, perché come i fatti hanno evidenziato il giovane Presidente del Consiglio non ha trattato con il furbo Berlusconi per sdoganarlo e ridargli visibilità politica ma solo per ottenere i suoi voti parlamentari utili a mandare quanto più avanti possibile la riforma costituzionale e la riforma elettorale e per far convogliare elegantemente sul PD una parte di consenso elettorale tradizionalmente orientato verso il partito dell’ex senatore di Arcore.

Il cattolico Renzi ha dimostrato cosí non già di essere ingenuo, sprovveduto o animato da mediocre spirito di compromesso con il nemico e da autoritarismo fine a se stesso, ma di essere al contrario un lucido stratega politico, supportato da una non comune perizia tattica: un “moderno Principe”, per usare l’espressione gramsciana, capace di apprendere la migliore lezione politica di un suo insigne conterraneo: di quel Niccolò Machiavelli che mentre esaltava il potere dispotico ne “Il Principe”, pensava, ne “I Discorsi”, a come poter costruire realisticamente un ordinamento repubblicano fondato su buoni costumi e solide virtù politico-amministrative.

Banchieri, burocrati, magistrati: nessuno avrà vita facile sotto il governo Renzi, finché esso avrà il consenso popolare. Ma, nel frattempo, la sinistra marxista si attarda a criticarne preventivamente qualsiasi iniziativa. Per esempio, l’economista neomarxista Emiliano Brancaccio, e ospitato sempre più frequentemente nella rivista sopra citata, aveva scritto qualche anno fa che l’austerità è di destra e sta distruggendo l’Europa (E. Brancaccio e M. Passarella, L’austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa, Mi, Il Saggiatore, 2012). Oggi, in presenza di un Renzi realmente capace di battersi sapientemente ma energicamente contro l’austerità e le politiche depressive della UE, Brancaccio si preoccupa di minimizzare scrivendo che quella renziana sarebbe solo un’“austerità flessibile”, ovvero una «“conquista risibile” rispetto alla gravità della situazione» (in “Il Manifesto” del 28 giugno 2014), come se esistessero terapie scontate, a portata di mano, per fronteggiare la gravità della crisi.stop-austerita-

Ma non si dovrebbe avere piuttosto l’onestà di riconoscere che merito oggettivo di Renzi è stato quello di spostare gli equilibri di potere interni alla UE verso sinistra, verso una sinistra di certo più solidale ed egualitaria delle pur prevalenti forze di destra a livello di organi direttivi e decisionali? E Tortorella che rimprovera il politico fiorentino di coltivare “una concezione del lavoro come pura merce” non dovrebbe apprezzare lo sforzo renziano di mettere in tal modo proprio il lavoro al centro della sua agenda politica e dell’agenda politica europea?

Peraltro, per quanto europeista convinto, Renzi non è affatto un fanatico sostenitore dell’euro avendo pubblicamente riconosciuto che la moneta unica europea non abbia certo avvantaggiato l’Italia, per cui non è da escludere che, qualora la situazione non evolvesse al meglio, sarebbe pronto a chiedere per l’Italia l’uscita sia dal sistema monetario europeo, sia dallo stesso mercato unico europeo, che è proprio quello che rivendica ancora Brancaccio quando scrive che «una sinistra degna di questo nome dovrebbe prendere atto che l’euro è insostenibile» (L’UE è fallita, la sinistra ragioni sull’euro, in “Micromega” del 7 ottobre 2014) e che pertanto essa dovrebbe prepararsi a spingere appunto non solo per un abbandono dell’euro ma anche, in pari tempo, del mercato unico europeo. Solo che i tempi dell’economista non sono i tempi del premier, per il fatto stesso che quelli del primo sono tempi teorici mentre quelli del secondo sono tempi politici e perciò aperti a mediazioni che le congetture scientifiche non prevedono o tendono a sottovalutare.

Per questi motivi, appare gratuita anche l’affermazione in chiave antirenziana di un altro ospite di “Critica Marxista” come Alfiero Grandi che, in un articolo intitolato “Discutendo la sinistra”, cit., p. 15, scrive: «Il cambiamento ha bisogno della sinistra, ma la sinistra deve tornare ad essere sinonimo di un cambiamento e socialmente qualificato»; che, piaccia o meno, per quel che si è venuto sinora argomentando, è appunto quello che sta avvenendo proprio e solo grazie al cattolico Renzi.schermata_11-2456261_alle_01.52.25

Ma come la mettiamo con il populismo renziano? Il popolo è la forza di Renzi: egli sa che resterà in sella sin quando il popolo avrà fiducia in lui e nella sua leadership di governo e sa anche che le riforme che sta attuando avevano e hanno bisogno di un giusto contrappeso quale può essere una legge elettorale adeguata che blindi il sistema democratico rispetto a possibili sforamenti eversivi. Ora, se questo lo vogliamo chiamare populismo, si dica pure che Renzi è un populista, anche se un populista incomparabilmente diverso da populisti come Berlusconi o Grillo, ma d’altra parte quando i poteri forti, ivi compreso in parte un vecchio potere egemonico della sinistra marxista, diventano poteri morti, un certo populismo forse è la sola opzione possibile. C’è un duello in atto tra la sofisticata ma vecchia teoria marxista e la schietta e operosa prassi renziana. Ma non sarebbe scandaloso se anche i marxisti onesti che tengono veramente al bene comune della nostra nazione si augurassero che l’era renziana possa essere un’era di relativo benessere economico e sociale e di pacificazione nazionale ed internazionale.

Putin non è un nemico dell’Occidente

Citazione

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Il contrasto tra Ucraina e Russia si può riassumere come il contrasto, interno alla prima, tra le regioni orientali russofone e russofile e quelle occidentali da sempre sedi dell’antico nazionalismo ucraino, le quali, a differenza delle prime, sarebbero favorevoli a profonde riforme economiche e all’integrazione europea. Naturalmente, questo contrasto, diversamente da quel che è portato a pensare Obama, non è facilmente semplificabile è non è riducibile ad un’ipotetica e pur asserita volontà della Russia di Putin di interferire, secondo un riesumato o mai dismesso costume sovietico, sull’autodeterminazione dei popoli: in questo caso su quella del popolo ucraino. Continua a leggere