Idee per un nuovo partito cattolico

Forse sarebbe opportuno che nascesse un nuovo partito cattolico italiano in un momento storico in cui il disordine e la corruzione, la menzogna e le passioni più immonde regnano sovrane. Noi siamo in piena Babele e, com’è noto, Babilonia, manifestamente avversata nell’Apocalisse giovannea come luogo di satanica perversione, non può essere né sostenuta né tollerata da coloro che si professano cattolici. Non so se nascerà, ma se nascerà, se dovesse nascere, come pare auspicabile, il nuovo partito cattolico, visto che i cattolici hanno idee diverse e talvolta non compatibili con la fede pur professata, dovrebbe nascere principalmente intorno a persone spiritualmente libere che non patiscano alcuna sudditanza nei confronti dei “poteri forti” e non abbiano militato per niente o troppo a lungo nelle segreterie e nelle burocrazie di partito, che siano animate da una fede profonda in Cristo e nei suoi insegnamenti e siano mosse dalla volontà di perseguire politicamente obiettivi e finalità coerenti con i valori evangelici di giustizia, carità, libertà e pace sociale, non svuotati del loro effettivo e santo significato.

Dovrebbe essere insomma un partito di “liberi e forti”, per riprendere l’espressione sturziana, privo sia di massimalismi o estremismi fideistici da trasferire in ambito politico sia di facili e vili forme di indulgenza verso logiche idolatriche e oppressive di questo tempo e basate sull’ipocrita presupposto che gli uomini e le società debbano rivedere profondamente modelli di vita, forme di lavoro, diritti storicamente acquisiti e persino le loro carte costituzionali, al fine di pagare un “debito pubblico” accumulato nel tempo e di porre conseguentemente in essere tutta una serie di riforme strutturali volte a tagliare la spesa pubblica e a risanare i bilanci statali. In realtà questo è il presupposto da cui muovono la mentalità mercantilistica contemporanea, sempre più enigmatica e incomprensibile, e le inquietanti richieste dei mercati finanziari ormai sul punto di minacciare la stabilità e l’affidabilità dei governi e l’autonomia democratica dei loro popoli.

Il contrasto intelligente ed efficace di tale mentalità e di tali logiche, senza dubbio orientate verso un accumulo indefinito di ricchezza a beneficio delle grandi plutocrazie e dei grandi cartelli commerciali e finanziari mondiali più che verso un adeguato soddisfacimento di diffusi e crescenti bisogni popolari e nazionali, è appunto il primo compito che il politico cattolico italiano dei primi decenni del terzo millennio sarà chiamato ad assolvere per il bene del suo Paese e dell’intera umanità. Perché sarebbe da persone decerebrate ormai non capire che la radice della crisi in atto, suscettibile di ripetersi periodicamente in forme vieppiù catastrofiche, non è economica e finanziaria ma politica, essendo evidente che economia e finanza si ammalano ed impazziscono sia in quanto la politica e le politiche governative nazionali possano essere effettivamente troppo “allegre” o troppo poco “mirate” e comunque inadeguate in rapporto alla spesa necessaria per sostenere i pubblici servizi ivi compresi quelli amministrativi, sia anche e soprattutto in quanto esse non siano capaci né di tenere a freno giochi azzardati di borsa e speculazioni finanziarie obiettivamente rischiose e sganciate da ogni regola e da ogni norma di legalità né di controllare e (ri)orientare i processi economici e finanziari in genere sulla base di oggettive e specifiche necessità o esigenze delle popolazioni civili, sia infine in quanto esse non siano in grado di elevare il proprio potere contrattuale nel loro rapporto con gli istituti nazionali ed internazionali di credito.

E’ del tutto evidente che, se una Unione Europea nata per meglio servire i popoli del nostro continente finisce invece per angustiarli continuamente con ingiunzioni vessatorie che da una parte mortificano l’autorità e la libertà decisionale dei loro governi e dall’altra ne penalizzano pesantemente i ceti e le categorie sociali meno abbienti e già duramente provati da congiunture persistentemente negative, non è più ragionevole continuare a farne parte e a sottoporsi a regole comunitarie non di rado ambigue e discutibili (che generalmente tornano comodo soprattutto all’alto commercio, all’alta industria e all’alta finanza e non certo alla generalità dei cittadini) con grave danno degli Stati e delle economie nazionali. Tanto più se si pensa che, malgrado le smentite del governo francese, non è affatto infondato il sospetto dell’esistenza non dichiarata di un Direttorio franco-tedesco con cui si vorrebbero affrontare e risolvere i problemi della comunità europea.

E’ tempo che gli ipotetici politici cattolici di domani tutto questo lo sappiano e sappiano anche chiedere con forza una riscrizione delle regole e delle modalità internazionali di pagamento e di progressiva estinzione dei “debiti pubblici” (sempre dopo aver verificato come sono strutturati internamente tali debiti e averne accertato il grado di legittimità) con la chiara e dichiarata consapevolezza che le grandi banche e i ricchissimi banchieri del pianeta, ovvero gli esattori di tali debiti, saranno sempre ben disposti a prestare denaro agli Stati per esigerne poi rapacemente interessi sempre più alti attraverso quelle “riforme strutturali” (delle pensioni, del lavoro, della pubblica amministrazione, del rapporto tra Stato centrale e poteri periferici o enti locali) che sono permanentemente all’ordine del giorno di molti Stati ivi compreso quello italiano e che sono invocate e presentate senza pudore come necessarie alla “crescita” e al “rilancio economico” non solo dai “poteri forti” internazionali e nazionali ma anche da quelle forze “democratiche” di opposizione come il nostro PD che, pur parlando di equità, di solidarietà, di necessaria e graduale ridistribuzione delle risorse, di efficienza, di nuovo rapporto intergenerazionale, di tutela degli interessi delle giovani generazioni, di coesione sociale e di unità nazionale, aderisce sostanzialmente alle proposte liberiste di nuova governance delle potenti lobbies finanziarie del mondo sottoscrivendo in gran parte programmi obiettivamente mistificanti di rapina o di spoliazione sociali e volti a cancellare diritti civili sacrosanti e acquisiti anche con il sangue dalle precedenti generazioni.

Il nuovo partito cattolico dovrà avere la lucidità di argomentare che la “crescita” non può essere essere indefinita, che è perfettamente naturale che vi siano periodi di crescita e periodi di stasi o di recessione ma che invece è completamente innaturale ed arbitrario pretendere ogni volta di far pagare ai soggetti popolari e sociali più deboli e sofferenti il prezzo di una crisi provocata principalmente dagli Stati occidentali più importanti, dagli istituti bancari più potenti, dalle organizzazioni industriali e commerciali più influenti, che prima spingono il mondo verso il baratro con politiche economiche e politiche tout court dissennate, con manovre finanziarie spericolate e prive di scrupoli e investimenti spregiudicati da cui scaturiscono benefici sociali molto bassi o nulli, con scelte operative mai abbastanza pubblicizzate e concordate con coloro che ne sono destinatari, e poi chiedono con arroganza che a farsi carico di “salvataggi” sempre più problematici siano le loro stesse vittime, ovvero i cittadini ignari e inermi e forse colpevoli solo di non essersi impegnati abbastanza per evitare “crolli” e “tracolli”.

Ma un nuovo partito cattolico dovrà avere anche il coraggio di dire che il debito, posto che lo si voglia o debba necessariamente saldare (perché, è bene ripetere, non si può dare per scontato che sia stato calcolato in modo corretto), non potrà essere saldato con le ricette economico-finanziarie che vengono propinate da personaggi quali Mario Draghi o Emma Marcegaglia (furba tra i furbi che ella ipocritamente condanna), che sanno bene come gli ipotetici e spaventosi sacrifici di oggi non garantirebbero affatto lo sviluppo e la prosperità di domani (negli ultimi quarant’anni non ricordo un solo taglio di spesa dei tanti che si sono susseguiti in Italia che abbia prodotto risultati positivi per la situazione economica del Paese), ma con politiche fiscali serie e rigorose, ovvero particolarmente indulgenti verso redditi e patrimoni modesti e particolarmente severe verso ogni forma di “evasione” e di “lusso”, e poi con politiche del lavoro e di sviluppo che prevedano agevolazioni fiscali e investimenti solo a favore di imprese e aziende capaci di dare occupazione ai giovani e ai disoccupati provvisti di reali abilità o competenze e “meritevoli”, sulla base di precise garanzie salariali e giuridiche, e la concessione di incentivi di produzione non a cascata ma ai lavoratori, pubblici e privati, che se ne dimostrino degni oltre ogni astratto, ingiusto e demagogico egalitarismo.

I cattolici di domani dovranno prestare molta attenzione ai bilanci dello Stato e sforzarsi di eliminare spese superflue o eccessive tanto nel pubblico che nel privato, badando tuttavia a preservare e anzi a rafforzare le “protezioni sociali” in tutti i principali settori della vita nazionale anche contro i ricorrenti e inevitabili tentativi delle forze sociali ed economiche più altolocate e privilegiate della nazione di ottenere restrizioni governative sempre più drastiche seppur arbitrarie nel “sociale” e nel “mondo del lavoro” al fine di favorire una maggiore confluenza di denaro nelle casse di imprenditori già ricchi e nei più alti circuiti finanziari.

In sostanza, il partito cattolico che auspico dovrebbe restare ben distante dalla filosofia sociale che ispira le classi ricche e colte di tutto il mondo e che si può riassumere nella tesi per cui se i ricchi potessero pagare meno tasse con cui gli Stati provvedono a finanziare i servizi pubblici sarebbero certo più attivi sia negli investimenti che nella produzione, mentre se i poveri o i più disagiati ricevessero meno assistenza e meno sussidi statali sarebbero più operosi e più utili all’intera comunità. Magari fosse vero, ma tra i poveri o i disagiati non tutti sono stati o sono fannulloni, parassiti o improduttivi, per cui quella tesi esprime una vera e propria mistificazione, mentre è certamente vero che, come ha scritto Serge Halimi nella “prefazione” al libricino di John K. Galbraith, L’art d’ignorer les pauvres, Les Liens qui libèrent, 2011, «dal 2009 in poi, grazie a copiose iniezioni di denaro pubblico, le banche hanno ritrovato la buona cera. Dalla crisi finanziaria vengono fuori perfino più potenti di prima, più capaci ancora di prendere gli Stati “in ostaggio” durante le future tempeste. E invocano il peso dell’indebitamento, messo astutamente fra parentesi finché era necessario sborsare importi al di là di ogni logica per salvare Goldman Sachs, la Deutsche Bank o BNP Paribas, come pretesto…per lo smantellamento della protezione sociale e dei servizi pubblici».

Sono del parere che i cattolici, intendo dire i cattolici più fedeli al vangelo, che vorranno scendere nell’agone politico, e possono farlo senza chiedere il permesso o la preventiva autorizzazione ad alcuno (e in particolare ai tanti vip o ai tanti divi sedicenti cattolici della politica italiana), debbano concorrere alla costruzione di uno spazio politico pubblico nel quale si riconoscano e si ritrovino tutti i cittadini credenti o non credenti che non vogliano farsi carico di una crisi provocata non da essi ma dai ricchi e dal grande capitale finanziario e vogliano farsi in pari tempo fedeli custodi di tutti i princípi e i valori repubblicani e democratici.

Paghino i ricchi e gli evasori fiscali e si pensi a nazionalizzare e a come nazionalizzare le banche; si dichiari guerra ad oltranza a qualsiasi forma di corruzione e ai privilegi di qualunque casta; si bandisca la precarietà dei competenti e dei meritevoli dal mondo del lavoro e si fissi per quest’ultimo un calendario di obblighi ma anche di diritti chiari e inderogabili; si incentivi il diritto allo studio nella scuola pubblica attraverso la concessione di borse di studio ai più “bravi” e di facilitazioni fiscali alle loro famiglie se bisognose o in possesso di un reddito basso; e poi ci si impegni nella consueta lotta per “i valori non negoziabili e i diritti indisponibili” su cui resta maestra la Chiesa, pur nel rispetto delle regole democratiche, e per la libertà di espressione e le pari opportunità per uomini e donne; e si sostenga infine la richiesta popolare di ridiscutere il “vincolo europeo” in rapporto alle reali e specifiche necessità economiche e sociali del nostro Paese come di ogni altro Paese europeo.

Ecco, questo potrebbe essere un buon manifesto programmatico per un nuovo partito politico cattolico italiano che, come facilmente può comprendersi, verrebbe a configurarsi in termini molto diversi dall’attuale Partito democratico la cui eterogeneità culturale e spirituale ne favorisce più la divisione che l’unità e in cui tuttavia molti degli stessi cattolici che vi militano sembrano condividere senza sostanziali remore il riformismo neoliberista delle grandi scuole economiche anglosassoni che, quanto a metodi e a finalità, francamente non sembra diversificarsi molto, se non forse nei toni, dagli indirizzi economici conservatori delle destre. Un odierno PD al governo, scandali a parte, sarebbe forse più “dignitoso” del governo ancora in carica, almeno per i primi tempi, ma è facile prevedere che alla lunga non sarebbe capace di proporre ed imporre nient’altro che una ennesima politica recessiva di austerità pur verniciata di modernizzazione, privatizzazione e liberalizzazione, peraltro destinate ad essere quasi sicuramente ininfluenti sul tenore di vita individuale e collettivo della società e anzi a peggiorarlo ulteriormente.

Di qui la necessità di un nuovo partito cattolico, costituito principalmente da giovani decisi a far valere coerentemente la propria fede anche sul piano politico e poi da chiunque intenda offrire i propri “talenti” per il bene dell’Italia e dell’intera umanità attraverso un coraggioso rovesciamento di strategia politica e prospettiva storica: non più assecondare e rassicurare i mercati finanziari nazionali e internazionali (che hanno interessi ben precisi e cospicui quanto ingiustificati da far valere) per mezzo di misure politiche volte solo in apparenza a rilanciare la ripresa e lo sviluppo della vita economica delle nazioni e in realtà dirette a fare “macelleria sociale”, ma opporre una fiera resistenza politica e democratica a pretenziose e falsamente riformistiche scelte economiche, che non sono né dei popoli né degli stessi governi democraticamente eletti ma unicamente del grande padronato, della Banca Europea e del Fondo Monetario Internazionale, al fine di porre le premesse di una vera ripresa della vita economica e sociale su basi eticamente non dubbie o equivoche bensí ineccepibili e universalmente condivisibili.

I cattolici devono riportare in auge, almeno in questo periodo storico cosí convulso e drammatico, il primato della politica nei confronti di un mondo economico che sembra obbedire a forze sempre più irrazionali e fraudolente e si lascia tentare sempre più frequentemente dal desiderio di dettare l’agenda alla politica al solo scopo di rastrellare quanto più denaro sociale possibile a tutto beneficio di gruppi di potere cui non interessa assolutamente nulla né del bene sociale né della sorte materiale e spirituale di milioni e milioni di persone. Essi dovranno fare in modo che non accada più, in pratica nell’indifferenza generale di governo e opposizione, che due privati cittadini e due ricchissimi banchieri come Trichet e Draghi si permettano di chiedere la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio e di porre vincoli di qualsivoglia natura con cui si intenda commissariare la politica e le diverse politiche nazionali.

In questa difficile battaglia, infine, essi non dovranno rimanere isolati e non dovranno aver paura di lottare, seppur nel nome di Cristo, insieme ad altri soggetti politici che, di diversa formazione culturale e probabilmente privi di fede religiosa, appaiono ben consapevoli almeno su un punto essenziale: «In tutta Europa si sta scatenando un attacco senza precedenti contro la più importante conquista sociale e civile del continente: lo stato sociale. In tutta Europa la banca europea, la tecnocrazia, i governi obbedienti alla globalizzazione e alla speculazione finanziaria, si accordano per cancellare conquiste, diritti sociali, libertà. In tutta Europa c’è la stessa identica politica, variano solo le sue gradazioni. In tutta Europa, nel nome del capitalismo finanziario, si cancella la democrazia. La costruzione dell’Euro, il patto di stabilità, Maastricht hanno affermato un mostro estraneo alla democrazia e alle costituzioni. Questo mostro sta distruggendo l’Europa sociale, civile e democratica».

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