Ragioni della pace e ragioni della guerra

 

Che coppia cristiana di pace!

 

Non saprei dire fino a che punto l’odierna contrapposizione tra neutralisti e interventisti, rispettivamente ma impropriamente identificati oggi sul piano mediatico con pacifisti e bellicisti, abbia un fondamento anche razionale, al di là delle sue ben più evidenti motivazioni psicologiche ed emozionali. Chi si schiera contro la guerra, pur riconoscendo che c’è un aggressore (la Russia) e c’è un aggredito (l’Ucraina) e che l’invasione armata del territorio ucraino è del tutto arbitraria o illegittima, per quanto essa possa interpretarsi come continuazione di una guerra iniziata nel Donbass non oggi ma nel 2014, in fondo continua a pensare che Putin non abbia tutti i torti nel voler regolare i conti con un popolo ucraino dimostratosi nel corso del tempo sempre più ingrato e ostile verso la madre Russia e con un Occidente sempre più sfrontatamente portato ad espandersi anche militarmente verso est, sempre più a ridosso dei confini territoriali russi, mentre d’altra parte, muovendo dalla constatazione di una manifesta disparità di potenza bellica tra l’esercito di Mosca e l’esercito di Kiev, il pacifista laico o cattolico si sente indotto a ritenere che una rapida cessazione delle ostilità con annesse e connesse trattative diplomatiche volte a favorire accordi e compromessi accettabili e ragionevoli per entrambe le parti, sarebbe il modo più saggio e sicuro per evitare che la guerra in corso divampi e si allarghi ulteriormente fino a rischiare di potersi poi trasformare in una guerra mondiale non più convenzionale ma nucleare, visto che la Russia di Putin non accetterebbe l’eventualità di soccombere sotto il concentrico accerchiamento politico-militare delle nazioni occidentali guidate e coordinate dalla NATO.

Il problema, però, cui i fautori di questa posizione non sembrano in grado di dare una risposta o una soluzione adeguata, è costituito dal fatto che essi, ed è un grave limite logico-metodologico delle loro analisi, non sembrano dare di fatto molto credito all’ipotesi che, in realtà, il vero interlocutore, il vero nemico dei russi siano non solo gli americani ma gli Stati occidentali in genere che, non più unilateralmente dipendenti dalle direttive statunitensi di politica economica ed estera, con la loro supremazia economico-finanziaria, industriale e tecnologica, militare e culturale, con i loro sistemi politici e i loro modelli di vita ben più appetibili e competitivi di quelli russi, non facciano che rosicchiare alla Russia, di cui Putin vagheggia ancora la potenza imperiale del suo antico e defunto passato, margini sempre più grandi di visibilità e di influenza nel mondo. Se questa ipotesi risultasse fondata, non si tratterebbe più di pensare che Putin intenda semplicemente ridurre la centralità geopolitica e militare a trazione USA nel quadro dei sistemi internazionali di potere, ma che egli punti addirittura, sia pure attraverso un uso azzardato e molto rischioso della forza militare di cui pensa di disporre, ad un ribaltamento sostanziale, se non radicale, dell’attuale egemonia politico-culturale, in realtà molto più ricca ed articolata di quanto forse non pensi il capo del Cremlino, della civiltà occidentale.

Ora, né il pacifista laico, né quello cattolico, come si evince dalla quasi totalità dei loro interventi su stampa e televisione, appaiono persuasi che l’attuale cricca russa di potere stia puntando non solo ad obiettivi difensivi ma a ben più ambiziosi, seppur non dichiarati, obiettivi offensivi, e poiché il presupposto da cui muovono è la natura sostanzialmente razionale e difensiva del piano putiniano di riconquistare la parte d’Ucraina più vicina ai confini del vasto territorio russo, sottovalutando molto la circostanza per cui proprio quella parte di territorio ucraino è particolarmente ricca di risorse naturali di grande e variegato pregio e decisamente importante sia per gli sbocchi sul mar Nero, sia per i fiorenti traffici marittimi e commerciali da essi resi possibili, non riescono proprio a vedere o prevedere il grave pericolo che scaturirebbe per l’Europa e il mondo intero nel momento in cui il libero accesso al mare, alla navigazione e ai commerci, dell’una e dell’altro, tramite una nazione neoeuropea come l’Ucraina, risultasse totalmente impossibile.

Eppure, dopo più di 100 giorni di guerra, dovrebbe apparire addirittura di accecante evidenza persino per gli spiriti più miopi non solo la ferocia, la crudeltà, l’efferatezza delle armate russe, ma anche la loro pretesa di vincere a tutti i costi, pena l’uso degli armamenti nucleari, perché, dice insieme a Putin gran parte dell’intellighentia russa, i russi non potrebbero essere più interessati ad un mondo senza la Russia, ovvero senza una Russia che possa ancora dettar legge al mondo intero. Ma proprio questa ricorrente, turpe minaccia, viene utilizzata dai pacifisti per dire in modo accorato che, se l’Occidente non cessa di fornire armi sempre più sofisticate e letali ai soldati ucraini, se l’Occidente non persuade i combattenti ucraini ad accettare le condizioni di Mosca per un cessate il fuoco, non solo la pace è destinata a diventare chimerica ma si finisce per provocare colpevolmente la terza e ultima guerra mondiale.

L’umanità, secondo questa raffinatissima logica di pace, per ottenere e assicurarsi la pace, per non rischiare di perderla, dovrebbe subire passivamente il vergognoso ricatto di un farabutto comune, di un criminale di guerra, di un vecchio e impunito mafioso, arricchitosi a dismisura contro ogni principio etico e giuridico, e ben esercitato nel fare un bassissimo uso strumentale della religione e del clero ortodossi russi a scopi di potere e di sopraffazione; dovrebbe, in sostanza, assecondare il disegno folle e omicida di un piccolo uomo, di uno stupido arrivista russo, di un vermiciattolo da sempre complessato e affetto da ossessiva e fredda maniacalità omicida. Ma quando mai è accaduto storicamente che popoli oppressi e potenzialmente privati del diritto di sovranità sulle loro terre e sui loro beni svendessero la loro indipendenza e la loro libertà pur essendo ancora pienamente in grado di difendersi e contrattaccare nel nome e in funzione di entrambe? Quando mai uomini liberi di qualunque etnìa e fede religiosa, quando mai gli stessi cristiani, s’intende dire cristiani veri e coerenti, hanno accettato di sottoscrivere una pace oltraggiosa per il loro Dio, la loro fede, la propria comunità e il proprio prossimo? Quando mai hanno preferito sopravvivere all’onta di dover rinnegare elementari valori di umanità, dignità e libertà spirituale?

Davanti al malvagio recidivo, la parola d’ordine non è mai la resa incondizionata, ma la resistenza, possibilmente proporzionata alla violenza ricevuta, ma pur sempre funzionale alla difesa o alla protezione della dignità e della libertà di persone o popoli arbitrariamente e ferocemente aggrediti. Se un popolo non ha nessuno che sia disposto ad aiutarlo, purtroppo sarà forse costretto, prima o poi, a conoscere il drammatico destino di prigioniero e servo, ma per quale motivo, potendo disporre di aiuti, sostegni, alleanze, non dovrebbe utilizzarli per impedire ai malvagi e ai nemici stessi dell’umanità di prevalere? Quali sarebbero le fonti etiche, giuridiche, religiose, che suggerirebbero a uomini e popoli di tutte le epoche di subire in modo del tutto inerte i peggiori misfatti, le più vergognose angherie, le più disumane iniquità, di astenersi da qualsivoglia tipo di opposizione al male, al fine di non contribuire a macchiare di sangue la verginale bandiera della vita e della pace? E’ forse la bandiera cristiana della vita e della pace una bandiera immacolata, non imbrattata del sangue innocente di chi fu disposto ad immolarsi per l’umanità? Certo, Gesù si immolò versando solo il suo sangue senza causare versamento di sangue altrui e di sangue nemico; ma bisogna capire che la vita, la passione e la morte di nostro Signore Gesù Cristo, come anche e soprattutto la sua risurrezione, si collocano in uno speciale contesto profetico e soteriologico che è quello in cui e per cui Egli offre volontariamente la sua esistenza in sacrificio per i peccati di ogni essere umano e per la loro salvezza non già dalla morte fisico-corporea ma dalla morte eterna. Il significato che deve trarsi dal sacrificio di Cristo è che la vita eterna, la salvezza sovrannaturale, si possono ottenere soltanto ponendosi alla sua sequela, nel rispetto dei suoi insegnamenti e attraverso una vita non solo sacramentalmente curata ma principalmente vissuta in uno spirito di verità, di carità e di giustizia, in rapporto a Dio e al prossimo: un credente cristiano protestante come Dietrich Bonhoeffer ritenne di essersi messo alla sequela di Cristo anche quando ritenne di dover attentare alla vita di Hitler. Personalmente penso che la sua scelta non fosse erronea, ma pienamente compatibile con la sua fede in Cristo.  

Proprio i cristiani non di rado dimenticano che le guerre costituiscono eventi drammatici ma ordinari di vita storica, come ordinarie sono tante esperienze umane non necessariamente positive, virtuose, sante e gradite a Dio, ma spesso derivanti dal male, dalla menzogna e dalla perfidia, dalla cattiveria e dalla perversione degli uomini. Sul palcoscenico della vita e della storia umane si rincorrono e alternano momenti di pace e di guerra anche se la pace terrena, il più delle volte, è profondamente diversa dalla pace divina, e quel che è essenziale rilevare è che la fede nella giustizia e nella misericordia divine, lo spirito di carità verso fratelli e popoli minacciati da malvagi propositi di aggressione, possono manifestarsi molto più significativamente in tempi difficili di guerra che in tempi tranquilli o relativamente tranquilli di pace.

Certo, ma in che modo? Solo con proclami di pacificazione tra i contendenti, con generose e insistenti iniziative diplomatiche volte a individuare possibili quanto improbabili punti di accordo o di compromesso, con indebite forzature a danno della parte più debole del conflitto in atto? Oppure, in casi oggettivamente ostinati in cui in gioco sia la possibilità stessa di un popolo ingiustamente aggredito di continuare ad esistere, aiutandolo anche per via militare e ponendosi, ove possibile, al suo fianco soprattutto sul campo di battaglia? Per molti cattolici, questo passaggio all’azione bellica e militare non sarebbe in nessun caso consentito, dovendosi interpretare l’invito evangelico alla non violenza in modo categorico e assoluto, ma in realtà in tutto il Nuovo Testamento non figura o non ricorre alcuna indicazione contraria al legittimo uso della forza, anche di quella repressiva o militare, da parte di uno Stato per la difesa interna ed esterna del proprio popolo; nessun divieto all’uso della forza fisica o di eventuali mezzi di offesa da parte di una piccola comunità che si trovi nella necessità di doversi difendere da violenti attacchi di briganti o malviventi, o infine da parte di singole persone in situazioni oggettivamente rischiose per la loro incolumità. Nei testi evangelici e neotestamentari non si trova alcuna esplicita o allusiva proibizione all’esercizio della forza fisica, armata o militare per scopi strettamente difensivi o autodifensivi, mentre in ogni singolo precetto evangelico non si può non percepire direttamente o indirettamente un forte riecheggiamento di quel quinto comandamento che decreta la sacralità della vita in tutte le sue dimensioni.

Premesso, infatti, che la vita è un dono di Dio e solo Dio può darla e può toglierla; che si danno tuttavia anche sul piano biblico-religioso forme legittime di uso della forza, come in tutti i casi di difesa necessaria a garantire la propria e l’altrui incolumità, e come nel caso del governo degli Stati, che sono preposti a garantire il rispetto delle leggi, l’ordine pubblico e la complessiva sicurezza della comunità civile da amministrare, e a difendere i confini territoriali da eventuali attacchi esterni, il comando di non uccidere non va inteso solo come divieto di atti omicidi premeditati e deliberati, ma anche come divieto di forme di insensibilità, di negligenza, di omissione di soccorso, in tutti quei casi pubblici e privati, in cui un fratello o un popolo vengano brutalmente e ingiustificatamente aggrediti da avversari o nemici a qualunque titolo, e chi o quanti ne abbiano la possibilità si astengano dall’intervenire direttamente o indirettamente in loro difesa. Non uccidere implica non solo il divieto di uccisione di chicchessia ma anche, e con pari forza, il divieto di disinteressarsi al rispetto e alla difesa della vita di chiunque versi senza colpa in una concreta condizione di pericolo.

Ora, i pacifisti, in questo caso quelli cattolici non meno di quelli laici, ritengono che la posizione più saggia sia quella di riconoscere senz’altro la totale e disumana arbitrarietà della decisione di Putin di aver voluto la guerra invadendo un Paese libero e sovrano, di distinguere quindi in modo netto tra i carnefici e le vittime, senza tuttavia giustificare e incoraggiare con l’invio reiterato di armi la resistenza armata ad oltranza dell’esercito e dei partigiani ucraini, anche perché dopotutto questa guerra sarebbe scoppiata anche per precise responsabilità dei governi occidentali, che, favorendo l’espansione NATO nell’Europa orientale, avrebbero finito per provocare la reazione russa. Che è come dire che se il cosiddetto “mondo libero” avanza dovunque trovi ospitalità e libera adesione popolare, l’Occidente dovrebbe sentirsi in colpa per aver provocato il risentimento nazionalistico dei russi, che peraltro non sono affatto così sprezzanti e insensibili verso usi, costumi e beni di lusso occidentali, visto il tenore di vita dei cosiddetti oligarchi, come adesso si vorrebbe dare ad intendere per motivi meramente propagandistici.

Che razza di ragionamento è mai questo? Ci fu un tempo in cui il popolo russo predicava l’internazionalizzazione del comunismo sovietico in tutto il mondo e se l’Occidente non avesse trovato modi abbastanza concreti di pacifica dissuasione internazionale, esso non si sarebbe certo potuto opporre a quel disegno con l’uso delle armi atomiche. Certo, si può ricordare il precedente relativo alla crisi USA-URSS della Baia dei Porci, a Cuba nel 1963, ma quel contesto era molto diverso da quello di cui si discute, in quanto allora la richiesta di mobilitazione armata della flotta sovietica a favore dell’isola di Fidel Castro non rifletteva affatto la volontà antimperialistica dell’intero popolo cubano sottoposto ad una dittatura arcigna anche se non del tutto ingiustificata ma semplicemente l’esigenza di quest’ultima di mantenere il potere a qualunque costo in un momento storico in cui già acuta si avvertiva la crisi economica e sociale del popolo cubano e in cui le restrizioni commerciali e fiscali imposte a quest’ultimo dal governo statunitense erano motivo di profonda frustrazione per Castro e i suoi fedelissimi, portati così a reagire con pericolose e improvvide decisioni.

Quello attuale è uno scenario completamente diverso e fa seguito peraltro al crollo dell’impero sovietico e del comunismo reale in tutta l’Europa orientale. Peraltro, si fa molta fatica a capire quali ragioni di realismo politico potrebbero essere alla base di una molto ipotetica volontà occidentale e della stessa Alleanza Atlantica di portare una concreta minaccia all’integrità territoriale del vastissimo continente russo. La verità è che l’approccio pacifista a questa guerra ha molto di pretenzioso e pretestuoso e molto poco di realistico e di costruttivo, mentre la politica occidentale sarà anche machiavellica (qui alludo polemicamente a T. Montanari, Il realismo dei pacifisti contro il machiavellismo della politica, in “Micromega” del 28 febbraio del 2022), ma essa, a differenza dell’irragionevole ed esasperato bellicismo espansionistico e neoimperialistico di Mosca, è certamente animata, sia pure in modo ancora largamente imperfetto, da quello stesso spirito repubblicano che costituiva il presupposto stesso e lo scopo della lotta per il potere del Principe di Niccolò Machiavelli, opera che evidentemente lo storico fiorentino dell’arte Montanari non ha ben letto o ben capito, in un contesto storico in cui le popolazioni italiane erano ancora profondamente divise e contrapposte (come lo sono oggi i popoli europei) e necessitavano di essere unificate moralmente e politicamente.

La proposta pacifista dello studioso citato consta di quattro punti: 1. stare contro Putin ma non contro i russi; 2. stare dalla parte del popolo ucraino senza sposare la politica bellicista del suo governo e degli Stati europei e occidentali; 3. non buttare benzina sul fuoco continuando a fornire armi sempre più potenti agli ucraini, per evitare che un’escalation militare possa portare a “un’apocalisse nucleare”; 4. contrastare l’aggressione russa con sanzioni sempre più dure ed efficaci, preoccupandosi tuttavia del fatto che a pagarne le conseguenze non siano i popoli, ivi compreso quello russo, e soprattutto i ceti più deboli dei popoli occidentali. Purtroppo sfugge a Montanari che la mentalità costituzionalmente omicida di Putin e di larga parte dello stesso popolo russo, colpevole di non essersi mai mobilitato contro il dispotico manovratore se non in misura irrisoria, porta entrambi a desiderare una vittoria schiacciante sui campi di battaglia perché sia universalmente chiara al mondo intero la manifesta superiorità militare della Russia tanto sul nemico diretto ucraino quanto sui nemici indiretti occidentali.

Ma è l’umanità che pensa, l’umanità che sente, l’umanità che prega e lotta per liberare se stessa dal peccato, dall’odio, dalla sopraffazione e dalla morte, che, costi quel che costi, non potrà mai accettare e, tanto meno, subire passivamente un epilogo di questa natura. La pace non potrà coincidere con una capitolazione degli aggrediti solo allo scopo di scongiurare una possibile guerra nucleare, perché la vita non ha senso ove si configuri come risultato di una resa volontaria e incondizionata ad una iniqua e diabolica volontà di potenza, mentre, sul piano umano, morale, politico, economico-finanziario, religioso, non avrebbe nessuna importanza un’eventuale sconfitta di questa Russia assassina, fraudolenta e sacrilega. Per i cattolici, resta improrogabile e imperativo il dovere di resistere, anche con le armi se necessario, a quanti, nel più assoluto disprezzo della sacralità della vita umana e nel quadro di disegni empi e perversi, intendano impadronirsi del mondo creato e dato da Dio come proprietà comune al genere umano.

I seguaci di Gesù sanno che devono essere pronti a soccombere dinanzi a violenza e persecuzione in ogni istante della loro giornata terrena conservando la loro fede e proprio in virtù della loro fede, ma sanno anche che, ove siano chiamati a difendere e a proteggere la vita dei loro fratelli di fede o del loro prossimo da azioni o pratiche delittuose o omicide del tutto deliberate e ingiustificate, non solo non possono essere o restare indifferenti al loro destino ma, come extrema ratio, devono disporsi a fare persino uso della forza al fine di preservarne l’incolumità. E’ anche in questo senso che potrebbe essere necessario «dare la» propria «vita per i propri amici» (Gv 15, 13), giacchè non si può consentire a nessuno di violare, a causa di sentimenti negativi come l’odio, l’avidità, la rivalità, il potere, il comandamento preposto a salvaguardare la sacralità stessa della vita: non uccidere, che, di conseguenza, al di fuori di ogni fariseismo, impone ad ognuno di noi di fare in modo che, nei limiti delle nostre possibilità e delle nostre forze, nessuno levi una mano assassina su un nostro fratello.  

Questo principio, sia chiaro, non vale solo per l’Ucraina, ma per tutti i popoli che, come l’Ucraina, non abbiano avuto e non abbiano responsabilità così gravi da provocare addirittura il loro sterminio per mano di un dittatore violento e sanguinario. Che la mobilitazione internazionale questa volta sia maggiore, non è moralmente giusto, ma è in ogni caso giusto e necessario che oggi il mondo si mobiliti quanto più possibile per impedire che in futuro le ragioni della guerra finiscano per soverchiare nettamente le più universali ragioni della pace, e che la “pace perpetua” auspicata dal grande filosofo moderno di Könisberg (l’attuale Kaliningrad!), Immanuel Kant, sia non già quella di piazze festose e piene di gente in ogni angolo del pianeta, ma quella cimiteriale, non certa benedetta da Dio, di un mondo senza più vita.

Francesco di Maria

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