Per fare chiarezza sul “grande ed eroico patriottismo russo”

Non c’è bisogno di Saviano, delle sue lezioni televisive, per sapere chi sia Putin e a che cosa sia dovuto il suo potere. La società russa, peraltro, è sempre stata ed è ancora, in buona parte, una società di “spostati”, di fanatici esaltati e paranoici, una società da sempre storicamente predisposta a sostenere e legittimare, per se stessa e per qualunque altra società, regimi spietatamente dispotici e sanguinari.  Ecco perché tutti quegli italiani che, poco per volta, vengono manifestando comprensione per le “ragioni” russe  ed ergendosi a paladini della pace a qualunque costo sono, in realtà, individui vili e codardi, malati di pidocchioso pur se inconfessato egoismo, di più o meno inconscia sudditanza ideologica alla vecchia e ormai anacronistica mitologia rivoluzionaria di stampo sovietico e soprattutto agli ingenti e illegali finanziamenti del governo di Putin. Costoro sono anime vuote, prive di pietà umana per i fratelli ucraini che oggi sono aggrediti e sterminati brutalmente da orde non barbariche ma sataniche, sono altresì collaborazionisti senza coscienza e senza onore dei nuovi nazisti del XXI secolo. La guerra in atto non è stata né voluta, né provocata, né dalla Nato, né dagli USA: almeno in questo caso la tesi di una Russia che avrebbe reagito a reiterate provocazioni espansionistiche del mondo occidentale è palesemente destituita di fondamento. Ma non è di questo che qui si intende trattare.

L’Ucraina non è stata affatto creata dalla Russia, come sostiene falsamente e demagogicamente Putin, perché al contrario la cultura russa ha le sue origini storiche nel principato medievale di Kiev, per cui storicamente è vero l’esatto contrario di quel che afferma il mafioso sanguinario capo di Stato russo, e cioè che non l’Ucraina è parte integrante della Russia ma, al contrario, questa è parte integrante della storia e della cultura ucraine. Vero è, d’altra parte, che alcune essenziali caratteristiche dell’odierna identità popolare russa possono essere già rinvenute nella tendenza sempre manifestata dai russi a saccheggiare, depredare, derubare, tutti i gruppi etnici che, di volta in volta, si sono trovati sulla via della loro naturale, irrefrenabile brama di conquista, di espansione e di grandezza imperiale. Fu infatti il principe Andrej Bogoljubshij a saccheggiare Kiev nel 1169 dopo aver già trasferito la capitale dello Stato da Kiev a Vladimir (fondata da Vladimiro il Monomaco e distante circa 200 chilometri da Mosca), particolare che avrà verosimilmente condizionato l’immaginario paranoico di Putin, e a Vladimir sarebbero stati incoronati i principi russi fino al 1431, anche perché nel 1240 la stessa Kiev sarebbe stata rasa al suolo dai Tartari della Mongolia, evento traumatico anche questo che sarebbe rimasto sempre radicato nell’orgogliosa memoria del popolo russo fino al punto di volerlo poi emulare in senso offensivo nel corso della sua interminabile storia espansionistica ed imperialistica.  

Queste sono certo linee molto sommarie di storia russa, ma forse in questi pochi e frammentari cenni storici è possibile ritrovare qualcosa, alcuni elementi costitutivi della mentalità dell’attuale popolo russo, tanto sul piano governativo e politico-istituzionale quanto su quello sociale e culturale. La mentalità orgogliosa, per niente tollerante e pacificatrice ma intransigente e guerriera, la volontà di conquista e di egemonia e comprensiva di un forte spirito di rapina, di saccheggio e di oppressione a danno di altri popoli contigui o a portata di tiro dal punto di vista militare, certi tratti di spietato e sanguinario dispotismo, sono in effetti tratti genetici, originari e costitutivi dell’etnia russa cui fa riferimento Putin, dal momento che in realtà non esiste una sola Russia ma diverse Russie con storie diverse, e dell’etnia russa moscovita che solo in un senso derivato può considerarsi come votata al sacrificio eroico e al martirio patriottico. Di tale mentalità, d’altra parte, sono parte integrante i modi familistici di tipo patriarcale e autoritario di concepire e di vivere la famiglia, il rapporto con il mondo del lavoro, come con le autorità sociali e politiche. Figure come il padre di famiglia, l’anziano del villaggio o della comunità rurale, il datore di lavoro, e poi, in senso via via gerarchico, il pope e lo zar, sono sempre state percepite dal popolo russo, per quanto potessero essere crudeli, insensibili e spesso ignoranti, con enorme rispetto e devozione oltre che con il timore riverenziale dovuto a quanti esercitano un potere funzionale al governo e all’amministrazione delle diverse realtà associative in cui si articola la compagine sociale e statuale nel suo insieme. In particolare lo zar era la figura in cui maggiormente si riconosceva la volontà stessa di Dio e a cui si assegnava addirittura lo stesso attributo riservato dai testi liturgici a Cristo, cioè pravednoe solnce (giusto sole), e per questo stesso motivo egli non poteva essere che buono, retto e onesto, e quindi meritevole di rispetto e sottomissione assoluti.

Alla fine dello zarismo nel 1917, lo stesso atteggiamento il popolo russo e ormai sovietico avrebbe mantenuto nei confronti dei nuovi sovrani comunisti: Lenin e, soprattutto, Stalin, nonostante che il dottrinario bolscevismo rivoluzionario, la nuova religione atea subentrata alla religione tradizionale, prevedesse una radicale quanto utopistica abolizione di qualunque forma di subordinazione e sottomissione idolatriche. La verità storica è che Lenin, dopo la sua morte, sarebbe stato divinizzato e Stalin che sarebbe stato sempre oggetto di vero e proprio culto della personalità. Lo zar, prima, il capo comunista e sovietico poi, erano, nell’immaginario collettivo, la garanzia vivente del bene, della sicurezza, della prosperità di tutto il popolo russo, ed è per questo che il principio della libertà individuale, già radicatosi in Europa, con e dopo la rivoluzione francese, in Russia sarebbe attecchito molto più lentamente e faticosamente, tanto che ancora oggi, nonostante esigue e coraggiose minoranze si battano apertamente per il riconoscimento dei diritti individuali, il principio collettivistico resta di gran lunga prevalente su quello liberale e democratico.

La Russia, pertanto, non è una nazione in cui vige una dittatura autocratica non voluta dal popolo e ad esso imposta, ma è una nazione il cui sistema autocratico-dittatoriale è, se si vuole in modo rassegnato e tuttavia consapevole, condiviso e sostenuto dalla stragrande maggioranza del popolo russo proprio a causa dell’antico e radicato retaggio educativo, etico-religioso e culturale, che è venuto trasmettendosi di generazione in generazione fino ad oggi nell’anima più profonda della originaria popolazione russa, anche se tale retaggio non si sarebbe altresì esteso con la stessa forza a tante altre ex repubbliche dell’Unione Sovietica. Beninteso, non è che in questa storia plurisecolare di sottomissione, asservimento, fideismo, non siano mai intervenuti momenti di rivolta, di ribellione, di trasgressione, feroci fino allo sberleffo più osceno e irriverente, ma tali momenti, nella cultura russa sono stati sempre considerati come transitori, come momentanee cadute peccaminose contro la legge stessa di Dio, riflessa in quella politica e in quella religiosa, momentanee cadute e tuttavia pur sempre funzionali al pentimento, alla contrizione, alla conversione e alla rinascita spirituale. Tutto ciò, con il contributo spesso determinante di un clero russo spesso corrotto e ignorante, avrebbe sempre ostacolato o rallentato la maturazione psicologica, morale e spirituale, sociale, culturale e politica del popolo russo, il quale, rispetto al padre di famiglia, al proprietario terriero, al pope, allo zar, ai capi comunisti, e persino a un governante paranoico e affetto da delirio di onnipotenza, criminale prepotente e oppressivo, avido e vile, cinico e sanguinario, qual è certo signor Vladimir Vladimirovič Putin, sarebbe sempre rimasto e continua a rimanere in uno stato di minorità, di dipendenza, di puerile e volontario assoggettamento, di rinunzia deliberata a qualsivoglia iniziativa o tentativo di moralizzazione della sfera politico-statuale e di revisione costituzionale di repressivi e ancora vigenti ordinamenti giuridici e giudiziari.

Naturalmente, ci sarebbe tanto altro da dire e da scrivere, ma questi brevissimi appunti si proponevano solo di mostrare come siano in torto siano tutti coloro che, oggi, solo per paura di mettere altra benzina sul fuoco in relazione al conflitto russo-ucraino in atto, e diciamo anche sia per viltà che per crassa ignoranza di ciò di cui si viene parlando, si affannano continuamente a distinguere, in modi e con toni grotteschi, tra le decisioni di Putin e quelle del suo popolo, tra la guerra di Putin e il desiderio di pace della sua gente. Purtroppo, non è così, ed è molto grave che l’intellighentia politica e culturale occidentale tardi a diventarne consapevole, perché il popolo russo, sotto la guida incontrastata di Putin, è già diventato nazista senza essersene reso conto e, d’altra parte, alleato di Hitler non aveva esitato ad essere sotto la guida del famigerato Stalin, prima che l’ex imbianchino tedesco volgesse proditoriamente le sue armate contro la Russia sovietica.

Va segnalato che Stalin, per siglare il Patto di non aggressione germanico-sovietico, non avrebbe esitato a rimuovere il predecessore di Molotov dal commissariato agli Esteri, vale a dire l’ebreo Maksim Maksimovic Litvinov, che aveva cercato di instaurare intese diplomatico-politiche con le potenze democratiche in funzione antinazista. Il che dimostra che le recenti affermazioni antiebraiche di Lavrov non sono né occasionali, né semplicemente erronee ma corrispondenti ad un ultrasecolare pragmatismo cinico e strumentale su cui, in particolare, la Russia moscovita avrebbe fatto sempre leva ai fini delle sue politiche predatorie e omicide. La storia finora, specialmente sulla base del trionfo sovietico nella seconda guerra mondiale, ha sempre incoraggiato la cultura intollerante, aggressiva, militaristica e imperialistica non solo del Cremlino, ma anche e soprattutto delle masse popolari russe. Solo Dio, decretando una prossima e clamorosa sconfitta epocale delle armate russe ora impegnate a radere nazisticamente al suolo molte città ucraine, potrà costringere i vertici e le masse popolari della Russia al salvifico ripudio del loro peccato di origine: quello di volersi sentire al centro dei destini del mondo.

Francesco di Maria

 

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