Wittgenstein, la pluralità dei linguaggi e il problema del senso

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Ludwig Wittgenstein scrive nel Tractatus che avrebbe potuto comprendere le sue riflessioni solo chi avesse già avuto «pensieri simili», ammettendo così implicitamente che la sua comunicazione filosofica potesse rischiare di apparire o risultare incomunicabile. Non era propriamente un modo di proporsi quale ortodosso interprete dello spirito scientifico moderno, che ha il suo fulcro, com’è ben noto, nel principio per cui le osservazioni, le interpretazioni, le scoperte della scienza, devono poter risultare tanto accertabili e riproducibili quanto comunicabili e condivisibili con tutti i membri della comunità scientifica internazionale, indipendentemente dalle convinzioni già acquisite da ognuno di essi. La conoscenza diventa scientificamente universale allorchè essa, pur nel quadro di posizioni ancora o provvisoriamente diverse e contrastanti, finisce per essere condivisa e acquisita come ipoteticamente plausibile da tutti gli scienziati, sia pure non senza che essi possano esprimere precisazioni e riserve di carattere logico-metodologico o procedurale. Solo in tal modo, ovvero attraverso la comunicabilità del sapere scientifico e una scienza estensibile a chiunque, una scienza pubblica condivisa, può evitarsi il rischio di una “scienza privata”, meramente individuale, non confrontabile, non riscontrabile, non integrabile, da cui non potrebbe derivare alcuna forma oggettiva di conoscenza. Continua a leggere

Cambiamenti climatici. La scienza divisa.

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Parlo di scienza divisa perchè quello enunciato nel titolo è un tema su cui la scienza, o meglio gli scienziati, sono divisi, a dispetto delle polemiche cosiddette antinegazioniste che vengono oggi muovendo dogmatici e fanatici sostenitori dell’idea che la natura si stia vendicando dei reiterati misfatti contro di essa compiuti dagli uomini, che è ciò che solo in una certa misura si può tranquillamente accettare. Bisogna dire chiaro e tondo, secondo questi sacerdoti di una natura senza Dio, che fenomeni sempre più frequenti e costanti di riscaldamento globale con cambiamenti climatici ad essi associati sono dovuti prevalentemente ad azioni dannose che gli uomini esercitano sulla natura. Se tali cambiamenti fossero stati prevalentemente naturali, argomentano, e quindi legati a processi ciclici di cambiamento naturale del clima, gli uomini avrebbero potuto solo difendersi dalle leggi di una ‘natura maligna’, mentre la certezza scientifica che essi siano prodotti da improvvidi e scellerati comportamenti umani, a loro volta determinati da avidità di guadagno, da semplice incuria ambientale e, spesso, da semplice stupidità, offre ancora la possibilità di agire sulle cause umane di tanti disastri naturali per contrastarne l’irreversibilità o, almeno, limitarne gli effetti. Continua a leggere

Per un’idea radicalmente alternativa di diversità

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Ad Ernest Hemingway viene attribuita una massima: «il modo migliore per scoprire se ci si può fidare di qualcuno è dargli fiducia». Penso che alcune persone, piuttosto poche in vero, la applichino alla e nella loro vita molto frequentemente, non in modo deliberato, ma quasi in modo spontaneo, istintivo, probabilmente per un bisogno psicologico innato di stabilire con i propri simili rapporti disinteressati e sinceri di comunicazione umana, intellettuale e morale. Anche per quel che mi consta personalmente, posso dire, con un margine soggettivo sufficientemente ampio di oggettività, che, in molti, troppi casi, tale bisogno non solo non sia soddisfatto ma ne esca profondamente frustrato. Ma ci si può chiedere da che cosa, da quali cause possono essere provocati, nel corso di una vita, tanti insuccessi interpersonali, tanti fallimenti relazionali: con semplici conoscenti, talvolta con sconosciuti, ma anche con persone più vicine e amichevoli a seguito di una lunga e consolidata frequentazione, con compagni di classe e di gioco, con un numero via via crescente di parenti, e poi, molto spesso, con figure più istituzionali: preti e parrocchiani, funzionari istituzionali e politici di diversa estrazione, professionisti di diversi settori, insegnanti e presidi delle scuole medie inferiori e superiori, accademici, colleghi liceali, insomma soggetti di varia e complessa umanità, senza includere nell’elenco i rapporti spesso difficili con i propri genitori che rientrano, tuttavia, tra i casi più universalmente fisiologici di conflittualità umana. Continua a leggere

L’altro Leopardi: l’inquieta, informale teoresi

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Giacomo Leopardi ebbe una forma mentis filosofica e una vocazione poetica: per questo motivo, pur non scrivendo mai né trattati né saggi di taglio tradizionalmente e specificamente filosofico, avrebbe riversato nei suoi musicalissimi e ispiratissimi versi, come nelle sue stesse riflessioni anticonformistiche in prosa, un non comune acume critico e una inconsueta potenza speculativa. D’altra parte, il caso Leopardi, se si vuol dir così, non sarebbe stato privo di qualche illustre precedente: mi viene in mente, per esempio, il padre della filosofia dell’essere, quel Parmenide di Elea che parlava e scriveva intorno alla verità dell’essere per l’appunto in versi, senza che per questo subisse obiezioni e polemiche da parte dei suoi più illustri contemporanei. Peraltro, anche oggi non mancano filosofi, come Giorgio Agamben, che sostengono la perfetta compatibilità, e anzi un rapporto di necessaria integrazione,  tra pensiero filosofico, ovvero «il puro senso», e pensiero poetico, ovvero «il puro suono»: «Non c’è poesia senza pensiero, così come non c’è pensiero senza un momento poetico. In questo senso, Hölderlin e Caproni sono filosofi, così come certe prose di Platone o di Benjamin sono pura poesia»1 (A. Gnoli, Giorgio Agamben: «credo nel legame tra filosofia e poesia. Ho sempre amato la verità e la parola», in “La Repubblica” del 15 maggio 2016), dove si dà naturalmente per scontato che il “puro senso” e il “puro suono” siano effettivi e non semplicemente spacciati o scambiati per tali. Continua a leggere

L’Europa nella teoresi di Edmund Husserl

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Se Heidegger, in concomitanza con l’ascesa nazista al potere, parla e scrive solo di Germania e filosofia tedesca, Husserl, un paio di anni dopo, nel ’35, lungi dall’identificare il destino della filosofia con la cultura tedesca, ritiene di doverne ampliare la prospettiva storica e teorica scrivendo esclusivamente di “Europa” e “umanità europea” (E. Franzini, Fenomenologia. Introduzione tematica al pensiero di Husserl, Milano, Franco Angeli, 2007, p. 95. Cfr. anche S. Pasetto, L’ “Europa” secondo Husserl: l’enigmatica sfida del filosofo, in “InCircolo”, Rivista di filosofia e culture, Dicembre 2016, n. 2, pp. 1-18). Questa evidente differenza ideologica tra le posizioni dei due grandi filosofi tedeschi si doveva sia a vicende esistenziali che a motivazioni filosofiche e culturali: il primo nasce cattolico anche se nel tempo si convertirà al protestantesimo restando comunque cristiano almeno sino alla morte di Husserl, avvenuta nel ’38, e sempre saldamente inserito nel mondo germanico anche sotto il nazismo; il secondo è ebreo e questo gli avrebbe fatto perdere, con l’avvento del nazismo, la cittadinanza tedesca dopo essersi molto impegnato perché Heidegger gli succedesse sulla stessa cattedra friburghese che aveva occupato per tutta la vita. Continua a leggere

Ideologia del sesso. Note critiche *

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L’educazione sessuo-affettiva si configura inevitabilmente come ideologia educativa o piuttosto pseudoeducativa e profondamente distorsiva dei naturali meccanismi di crescita del bambino e della bambina, tutte le volte che si pretende di affidarne in modo esclusivo e unilaterale la titolarità, la responsabilità, ai genitori piuttosto che alla Chiesa, alla Chiesa piuttosto che alla famiglia, all’asilo o alla scuola, a specifici insegnamenti piuttosto che a dirette e non controllate o pilotate esperienze di vita quotidiana, a strategie educative innovative o “alternative” piuttosto che a preesistenti, tradizionali e non necessariamente insane strategie pedagogiche1. Sul mercato educativo esistono varie opportunità, diverse modalità di cura e di intervento sui delicati processi di formazione e di sviluppo che caratterizzano in particolare l’infanzia e l’adolescenza, ma quel che un elementare principio di razionalità e di ragionevolezza non potrebbe e non dovrebbe mai legittimare è la pretesa di negare aprioristicamente la possibilità che l’educazione genitoriale e familiare non possa in alcun caso bastare da sola ad assicurare una crescita psicologica ordinata, equilibrata e consapevole dei figli, o che il meglio di un processo educativo non possa derivare dall’influenza spirituale esercitata da un sacerdote, da un maestro, da un docente o da una qualsiasi altra figura che abbia saputo imprimere positivamente nello spirito di determinati giovani un ricordo indelebilmente proficuo ai fini di una vita interiore sufficientemente stabile, motivata e capace di curare sia gli spazi più intimi che le reti relazionali.  Continua a leggere

La fede tra verità e ideologia

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E’ molto facile che, nel quadro della sua esperienza di fede, un cristiano smarrisca la fede o la sostituisca con l’ideologia ovvero con un ordine di idee e di valori che, pur richiamandosi al vangelo e al dovere della testimonianza religiosa, in realtà ne tradiscano o ne esprimano in modo parziale o arbitrario lo spirito e la funzione. Accade allora che la fede si trasformi in un atteggiamento moralistico e di chiusura verso il vero senso veritativo delle molteplici e urgenti problematiche della nostra quotidianità. Papa Francesco indica nella preghiera la cura preventiva e necessaria che può preservare o guarire dal morbo ideologico1. Senonchè, poi, anche la preghiera, persino nelle sue forme più avvedute e sentite, può non bastare a liberare il credente dai pregiudizi e dal fariseismo morale e religioso se la sua mente e il suo cuore non siano predisposti correttamente e reiteratamente a percepire il sacro e ad ascoltare la Parola di Dio. Si danno, infatti, diversi modi di credere, di pregare, di testimoniare la fede nelle verità rivelate, e non è affatto semplice tenerli rigorosamente separati da pericoli sempre in agguato di ideologizzazione della fede. Persino Giobbe potrebbe essere tentato di tradire la sua fede con una preghiera non più fiduciosa ma semplicemente rassegnata e rinunciataria2.  Non vi è mai nulla di scontato: come dimenticare i rimproveri tante volte rivolti da Gesù ai suoi stessi discepoli perché incapaci di intuire le sue intenzioni e di intendere le sue parole? Continua a leggere

Migrazioni. Non nominare il nome di Dio invano.

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Il secondo comandamento vieta di nominare il nome di Dio invano, e quindi per motivi futili o blasfemi, per motivi di odio o di risentimento verso il prossimo o Dio stesso, per tornaconto o calcolo personale di qualunque natura oppure anche per motivi strumentali o meramente ideologici e demagogici, in sostanza per scopi tanto ingiusti e disonesti quanto inconfessabili. A volte, capita di nominare inutilmente il nome di Dio anche per semplice ignoranza che però, nel caso di coloro che sono preposti a custodire la Parola di Dio e a trasmetterne il senso più veritiero e autentico, costituisce motivo di grave colpa. Ora, uno dei temi più attuali su cui spesso incombe, all’interno stesso della Chiesa, il rischio di un uso strumentale o comunque non corretto e tendenzioso della Parola di Dio, delle Scritture, del Vangelo, è quello che si riferisce alla problematica migratoria che nell’Italia, una volta considerata il giardino d’Europa, trova uno dei suoi principali fulcri planetari.

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Il pacifismo malattia infantile del cristianesimo

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La violenza che inerisce la storia dell’universo e delle vicende umane costituisce una realtà prismatica: si può leggere sia al singolare come blocco unico, monolitico di universale energia distruttiva, sia anche, e per derivazione da tale blocco, al plurale come famiglia o arcipelago di forme di violenza differenziate e diverse per intensità, per funzione, intenzionalità, modalità, risultati e scopi. Di tali forme di violenza, alcune sono naturali altre artificiali, alcune meccaniche altre volontarie, alcune impersonali, necessarie, costanti e relativamente immodificabili, altre indotte, ricercate, mutevoli e contingenti, alcune consapevoli altre inconsapevoli, alcune più massicce e cruenti altre più sottili e in apparenza incruenti (1). Per i cristiani in generale, la violenza incombe sulla vita degli esseri viventi e non viventi, degli esseri umani, e sullo stesso universo, sullo stesso habitat naturale in cui essi risiedono, sin dal peccato originale con cui essi avrebbero infranto il rapporto di amicizia con Dio. Da quel momento la violenza, in forme molteplici e diverse, si sarebbe insinuata sia nei meccanismi del mondo naturale, sia nella struttura psico-fisica dell’uomo e nelle stesse dinamiche storiche di sviluppo del genere umano.

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