La prostituzione non è un lavoro

di Raffaele Bonanni

(pubblicato in “In Terris” il 16 maggio 2015)

Sul tema della prostituzione assistiamo a un falso storico: vogliono diffondere come cultura nell’opinione pubblica il principio che sia un “lavoro” come un altro, e sono diverse le realtà che vivono di luoghi comuni come questo, anche politiche.

Questo approccio è profondamente sbagliato: il lavoro infatti dà dignità alla persona, è il mezzo per esprimere la propria intelligenza e intraprendenza. La prostituzione è il contrario. E’ la condizione di chi viene schiavizzato, con la forza, l’inganno o facendo leva sulla difficoltà finanziaria. E’ il caso di molte giovani poco più che bambine portate in Italia con la promessa di un’occupazione, o addirittura vendute dalle proprie famiglie in cambio di un po’ di denaro. Si ritrovano dunque schiave, e non possono ribellarsi per paura di ritorsioni contro i propri cari nei luoghi d’origine.

Dunque lavoro e prostituzione sono agli opposti: le donne non raggiungono la dignità ma la perdono, non arrivano all’indipendenza ma diventano prigioniere, non hanno nemmeno la possibilità di crescere perché viene loro negato anche il futuro. Voglio sperare che il governo non si faccia vincere dalla forza dei luoghi comuni e invece tenga conto dell’esigenza di garantire dignità a tutti.

Basta guardare alle realtà più avanzate del nord Europa per capire che la legalizzazione è una strada che non porta né alla liberazione delle ragazze, né al contrasto delle criminalità, né al risanamento dei conti pubblici. Colpire la domanda, invece, elimina alla radice l’interesse dei trafficanti nel proseguire questo orribile mercimonio.

In un momento dove tanto si celebra l’avanzamento della donna nella società, parallelamente si rimane indifferenti verso la sottomissione più infame qual è quella della prostituzione.

Assistiamo poi a un paradosso: c’è una corrente di pensiero sempre più ampia che guarda con enorme attenzione alla vita degli animali, al loro benessere, alla loro salute; ma non ne ha alcuna per la vita di queste persone.

Concludo con una provocazione. A chi lo definisce “il mestiere più antico del mondo” dico di riflettere sui questo: lo schiavismo affonda le sue radici nella notte dei tempi; solo dopo secoli di lotte si è parzialmente riusciti a sconfiggerlo. Vogliamo ripristinarlo e regolamentarlo solo perché ha un retaggio antico?

Raffaele Bonanni

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