Il trionfo di Giorgia Meloni e l’intolleranza antidemocratica dei “democratici”

Io sono, come i lettori sanno, un cattolico democratico di ispirazione personalistica e comunitaria. In passato, ma circa 30-35 anni or sono, mi presentai alle elezioni regionali della Calabria, nelle file di Democrazia Proletaria, come indipendente di sinistra. Fu un insuccesso, ma non è questo il punto. Oggi penso di conoscere bene l’anima della sinistra e di molti democratici, ed è per questo che non temo di considerare il recente successo politico-elettorale di Giorgia Meloni come un segno di speranza, come motivo di fiducia in un futuro politico nazionale migliore.

Ma cosa vogliono i giornali di mezzo mondo, le cancellerie europee, le cosiddette democrazie occidentali? Cosa vogliono, soprattutto, tutti quei giornalisti “progressisti” italiani che, all’indomani della vittoria elettorale di Giorgia Meloni, ritengono di poter e dover reiterare, sul piano della comunicazione mediatica, il loro tradizionale diritto di veto nei confronti di un partito sempre tacciato di essere erede della tradizione politica fascista? Cosa vogliono tutti quei dotti benpensanti che preferirebbero vedere al governo del Paese i soliti partiti che, lungi dal voler fasciare le sanguinanti ferite di un popolo costantemente mal governato durante il primo ventennio del terzo millennio, continuerebbero a sfasciare la già debole economia nazionale e la sua già molto frammentata struttura sociale, piuttosto che assistere alla trionfale e meritata ascesa al governo nazionale di colei che, senza alcun dubbio, ha dato negli anni amplissima dimostrazione di sagacia e lungimiranza politiche, di pregevole preparazione culturale e di intelligenza tattico-strategica, di abilità mediatico-comunicativa e soprattutto di passione etico-civile e di eminente fede patriottica?

Ma il partito “Fratelli d’Italia” è o non è un partito riconosciuto dal nostro ordinamento giuridico-costituzionale, è stato o non è stato ammesso regolarmente, per l’ennesima volta, a partecipare alle elezioni politiche italiane? Poteva quindi il popolo italiano esercitare la sua facoltà democratica di votarlo e di premiarlo come miglior partito politico nazionale? Certo che sì: e allora, ora che ha vinto e che la sua leader verosimilmente, a dispetto delle pretestuose accuse di filofascismo espresse da mezzomondo,  sarà incaricata di formare il nuovo governo, a cosa è dovuta quella liturgia di critiche nel nome di un antifascismo raramente vissuto e praticato in 70 anni di vita repubblicana, quella pioggia di polemiche e di giudizi tanto duri quanto discriminatori, quella indecorosa esibizione di pregiudizi di natura quasi razziale, se non all’odio programmatico per qualsiasi vero principio meritocratico, ad un sentimento non formalmente ma sostanzialmente antiegualitario, e infine a meschini sentimenti di invidia e gelosia personali, di disprezzo verso tutti coloro, tra cui Giorgia Meloni, a cui troppo spesso, per una serie di motivi fisico-caratteriali, psicologici e relazionali, ben più che squisitamente culturali e politici, non si riconosce le phisique du rôle, la capacità di assolvere con competenza e autorevolezza determinati compiti istituzionali, per cui si vorrebbe loro impedire di assolvere funzioni direttive o di entrare, come nel caso specifico, nell’ufficio governativo centrale di Palazzo Chigi?

Giorgia Meloni è, fino a conclamata prova contraria, una democratica, e comunque non meno democratica di Fratoianni, di Renzi o Calenda, di Letta o Bonino, di Conte e soprattutto di Salvini e Berlusconi: tutti costoro, infatti, sia pure sotto aspetti e per motivi diversi, hanno spesso espresso concetti piuttosto generici e in realtà ambigui o problematici di democrazia, di cui peraltro essi non hanno esitato a fare, in diverse occasioni, un uso volgarmente demagogico e strumentale. Ma la leader di Fratelli d’Italia dovrebbe avere nei su citati Salvini e Berlusconi i due principali alleati di governo e, semmai, proprio questo, non altro, costituisce una prima, seria difficoltà per il suo futuro, probabile governo, perché ella avrebbe a che fare con due soggetti notoriamente inaffidabili e abituati a fare un uso non di rado privatistico e anche ricattatorio della prassi politica (benché debba io confessare di aver sostenuto, a suo tempo, l’onorevole Salvini in qualità di ministro degli interni sul tema dell’immigrazione irregolare e clandestina).

Se potessi, consiglierei a Giorgia Meloni di tentare di formare un governo quanto più ampio e rappresentativo possibile, fondato quindi anche sulla partecipazione alla compagine governativa di altre forze politiche, in modo da neutralizzare preventivamente eventuali atti prevaricatori dei due personaggi citati, anziché imbarcarsi solo con questi ultimi in un’avventura che potrebbe presto trasformarsi in un incubo per lei stessa e per la nazione. A lei non mancano né le qualità politico-diplomatiche per coinvolgere, a determinate condizioni, i suoi interlocutori in un progetto quanto più possibile comune, né la capacità di stabilire se e in che misura un siffatto progetto sia realisticamente realizzabile. Ma è certo che, se dovesse fare affidamento in modo esclusivo sugli alleati politico-elettorali, la sua attività di governo verrebbe pesantemente condizionata da richieste presumibilmente indebite e da atteggiamenti ostruzionistici suscettibili di causare una rapida ed ingloriosa débâcle della sua esperienza di governo.

L’onorevole Meloni, tuttavia, sarebbe la prima a riconoscere che l’ipotetica adozione di queste misure preliminari sarebbe solo condizione necessaria di attuabilità del suo progetto di buon governo e, se possibile, perché no, nel solco del pensiero gramsciano, di riforma intellettuale e morale della coscienza nazionale. Quanto ad intellettuali salottieri, giornalisti, artisti, cantanti e tanta altra varia e disinvolta umanità, abituati a confondere il proprio esibito individualismo con il grido universale di liberazione umana prorompente dalle viscere stesse della storia, più che di riforma avrebbero bisogno di un lungo e salutare periodo di rieducazione civile e democratica. A Giorgia Meloni la facoltà di deciderne modi e forme.  

Francesco di Maria  

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