I cattolici e la delinquenza politico-istituzionale

giudiciTutto si può fare in democrazia tranne che sovvertire in modo repentino e sovversivo i princípi e le regole costituzionali su cui essa è fondata, specialmente se le intenzioni sovvertitrici siano esplicitamente funzionali alla difesa degli interessi personali di singoli individui o addirittura di colui o colei che presieda il governo di una Nazione. Adesso, per quanto riguarda l’Italia, la misura è colma. Anche a voler essere oltremodo generosi verso l’attuale Presidente del Consiglio, non è obiettivamente possibile disconoscere né il suo modo spiccatamente guascone di comunicare con il popolo, di contrapporsi agli avversari politici, di esercitare critiche verso altri poteri dello Stato, né la sua concezione plebiscitaria e strumentale del consenso democratico (anche quando in realtà venga registrandosi, come negli ultimi tempi, un’evidente flessione di tale consenso), né il suo sostanziale disprezzo verso i necessari contrappesi democratici che rivestono una funzione di controllo sui pesi e quindi sui poteri costituiti e in primo luogo sul potere legislativo ed esecutivo, né in definitiva una vera e propria idiosincrasia verso l’essenza stessa della democrazia i cui confini invalicabili sono segnati dal principio della divisione dei poteri e dal divieto di emanare leggi che siano manifestamente prive di requisiti costituzionali tra i quali per esempio il principio di uguaglianza giuridica di tutti i cittadini di fronte alla legge.

Si dà il caso che l’attuale presidente del Consiglio, forte di un esercito di parlamentari servili ed interessati a gestire direttamente o indirettamente potere, sembri ormai irreversibilmente proteso verso l’emanazione di una serie di leggi ad personam e di provvedimenti legislativi che finiscano per neutralizzare quello che in questo frangente storico-politico è certamente l’avamposto più significativo della nostra democrazia ovvero la magistratura. Da una parte il cosiddetto “processo breve”, dall’altra l’invio di ispettori ministeriali alla Procura della Repubblica di Milano, dove dovrebbero celebrarsi tutti i processi contro Berlusconi, e la minaccia di un’ulteriore legge volta a congelare tali processi, costituiscono l’acme di una precisa volontà politica di attentare alla nostra Costituzione. E’ infatti molto difficile ravvisare un carattere di costituzionalità nella legge sul “processo breve”, e anzi sembra totalmente incomprensibile sia logicamente sia giuridicamente l’assunto di voler concedere a degli incensurati sessantacinquenni il privilegio di vedersi sottratti a possibile pena là dove un giudice non riesca a concludere entro un determinato periodo di tempo, senza demerito personale ma per l’oggettiva complessità dell’indagine, un procedimento a loro carico.

Tante sono le possibili obiezioni, tra cui le seguenti: perché questo privilegio spetterebbe a un sessantacinquenne e non ad un sessantaquattrenne, perché ad un sessantacinquenne che pur incensurato abbia commesso un grave reato contro la pubblica amministrazione o contro un minore ecc. non debba essere comminata alcuna pena, quale sarebbe il particolare merito morale di un individuo che non sia stato colpito da sanzioni giudiziarie sino a 65 anni dopo essere riuscito magari ad infrangere o ad aggirare la legge per tutta una vita attraverso potenti strumenti di corruzione, quale sarebbe peraltro il merito di un siffatto individuo rispetto ai meriti ben più alti e civilmente apprezzabili di una persona che giunga ai 65 anni con una qualche condanna “nobile” come può essere di certo definita quella di chi si sia battuto coraggiosamente contro prepotenti e malfattori di ogni genere senza talvolta riuscire a dimostrare completamente in giudizio la fondatezza delle sue accuse o l’innocenza dei suoi atti. In che modo mai, alla luce di queste obiezioni, potrebbe essere garantito il rispetto del principio costituzionale di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge? Non sono solo gli effetti che il “processo breve” potrebbe produrre a dover impensierire il Capo dello Stato ma proprio la struttura non costituzionale di questa irragionevole legge.

I cattolici, d’altra parte, dovrebbero essere ben consapevoli, e non sempre lo sono o si sforzano di esserlo, delle vere finalità di certi provvedimenti governativi e parlamentari come quelli cui si sta facendo riferimento. Non basta infatti riconoscere che tale legge recepisce «l’urgenza dell’attuale presidente del Consiglio di risolvere i suoi guai con taluni magistrati di Milano» pur potendosi giustificare come risposta adeguata alla  «costanza (non priva di forzature procedurali, né, talvolta, perfino di venature d’astio) con la quale questi ultimi lo incalzano ormai da quasi vent’anni», (Danilo Paolini, Al di là delle partigianerie, i nodi non saranno sciolti. Ma non chiamatelo «processo breve», in “Avvenire” del 14 aprile 2011). Non basta: intanto perché dei cattolici corretti dovrebbero facilmente supporre che se pochi o molti giudici “incalzano Berlusconi da quasi vent’anni” ciò sia dovuto probabilmente al fatto che lo ritengano immerso, sulla base di precisi e oggettivi riscontri di indagine, in una rete di operazioni finanziarie cosí oscure e sospette e in una serie di atti corruttivi cosí gravi, da non potersi esimere dal perseguirlo penalmente. Quali atti di eroismo civile avrebbe mai compiuto questo ricchissimo e potente signore di Milano per destare il sospetto in noi altri cattolici che egli sia ingiustamente perseguitato dalla giustizia italiana? Ma poi è sufficiente esaurire la critica cattolica a questa legge ad personam col rilevare che essa «non servirà ad abbreviare i tempi dei processi» (ivi) o non è necessario sottolineare proprio il carattere fraudolento ed eversivo di questo provvedimento legislativo, la sua natura manifestamente arbitraria antiegualitaria e incostituzionale?

E’ solo una questione giuridica e politica cui i cattolici possono anche non dedicarsi con grande partecipazione spirituale oppure è la spia di una mentalità cosí rozza e delinquenziale di governo da doverli indurre ad una reazione molto preoccupata ed energica, ad una opposizione finalizzata ad arginare evangelicamente nella società italiana la corruzione e una già dilagante prassi affaristica basata su comportamenti di estesa o diffusa illegalità? Per i cattolici attentare alla Costituzione nel nome di interessi personali e di sia pure inconfessati obiettivi autoritari è un peccato contro Dio e contro gli uomini oppure è una di quelle questioni su cui si può evangelicamente rimanere indifferenti? Non è compito precipuo di un buon cattolico impedire che la propria comunità religiosa venga contaminata da uomini malvagi ed empi anche nel caso in cui quest’ultimi dovessero essere capaci di elargire a suo favore cospicue somme di denaro o notevoli facilitazioni fiscali? Non deve preoccuparsi il buon cattolico di contribuire alla costruzione di una società quanto più sana possibile a cominciare proprio dalle strutture politiche e giuridiche su cui si regge la sua complessiva articolazione? Perché di questo oggi si tratta: c’è una maggioranza parlamentare e di governo che ormai pensa di fare delle leggi a proprio uso e consumo, che tenta di indebolire sistematicamente altre autorevoli istituzioni dello Stato democratico che si mettano di traverso ai suoi piani eversivi, di rallentare o bloccare i legittimi processi in atto contro il loro leader.

Sí, di questo si tratta: c’è una vera e propria associazione per delinquere che fa capo a Berlusconi i cui membri sono pronti a sacrificare ogni principio e ogni valore alla difesa ad oltranza del loro leader perché sanno che senza questo leader essi non hanno più un futuro politico e non solo politico. E molti degli stessi sostenitori di questo personaggio, privi ormai di qualunque giustificazione etica e politica, restano fedeli solo perché psicologicamente e antropologicamente molto affini al premier. Dunque, per i sinceri democratici come per i cattolici onesti si pone inderogabilmente una domanda: si può impunemente attentare alla Costituzione, e beninteso ad una Costituzione che ancora oggi ci è invidiata in tutto il mondo, per mezzo di proposte verbalmente volte ad emanciparla ma intenzionalmente tese a vanificarne completamente lo spirito? E’ cristianamente accettabile che una nazione come l’Italia, centro della cristianità mondiale, continui ad essere governata da un presidente del Consiglio affetto da evidenti disturbi psicotici che dà in misura crescente segni inequivoci di un’arroganza istituzionale e di un’arroganza tout court  molto prossima all’arroganza di chi si appresti a voler mutare un sistema democratico in sistema dittatoriale? 

Non sussistono ormai tutti gli estremi perché questo personaggio e i suoi servili uomini e donne di partito vengano denunciati per attentato alla Costituzione, processati ed eventualmente condannati al pari di tutti coloro che attentano alle libere istituzioni dello Stato repubblicano e democratico? Non mi pare di essere eccessivo, di essere poco caritatevole, perché biblicamente i violenti, ovvero in questo specifico caso tutti coloro che nel nome del popolo antepongono spudoratamente i propri interessi privati agli interessi generali della comunità nazionale, vanno isolati almeno sino a quando si sia certi che non possano più nuocere alla civile convivenza. Cesare per essere rispettato dai cristiani deve essere sufficientemente onorevole e autorevole, capace di rispettare le leggi e le istituzioni dello Stato senza mai ergersi al di sopra di esse o contro esse, immune da tentazioni prevaricatrici di qualunque genere e sinceramente orientato a perseguire fini sociali di giustizia ed equità, nonché privo dell’inconscia o conscia pretesa di prendere il posto di Dio stesso. 

Peraltro, questa posizione si richiama né più né meno a quanto recita l’art. 68 della Costituzione: «Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza». Dunque, come si vede, il parlamentare che “sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza” – e attentare sistematicamente alla Costituzione e ai poteri o a qualche potere costituito dello Stato, come fanno Berlusconi e la sua invereconda maggioranza parlamentare e governativa, è certo un delitto per il quale è previsto l’arresto – può essere arrestato. Per cui non ci sarebbe nulla di scandaloso nel fatto che i partiti di opposizione e tutti i cattolici onesti chiedano formalmente al Capo dello Stato di sciogliere il Parlamento e in pari tempo presentino alla Corte Costituzionale un’istanza con la quale si chieda il perseguimento penale di tutti questi patentati nemici della democrazia e del buon vivere.

Quanto all’uomo Berlusconi, per il quale noi dobbiamo pregare affinché si converta e rinunci sia alla sua spasmodica brama di ricchezza e di potere sia alle sue inclinazioni naturali più negative e perverse, egli per ora non può continuare a dire di essere “uno di noi”. Non può essere uno di noi, perché noi temiamo il giudizio di Dio, perché noi non ci riteniamo semidei, perché noi non desideriamo fomentare l’odio e lo spirito di discordia ed amiamo la giustizia indipendentemente dai nostri interessi personali, perché noi ci sforziamo ogni giorno di non fare continuamente sfoggio di incontrollata superbia e di insopportabile arroganza. Può essere uno di noi solo perché come ognuno di noi è un essere mortale che dovrà lasciare le cose di questo mondo e rendere conto a Dio del suo operato.

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