Frammenti di pensiero laico sulla guerra

Dice lo storico dell’arte Montanari: se a parlare di “Resistenza” sono gli ucraini, questa parola merita rispetto e sofferta solidarietà per la loro terribile sorte, mentre se ad esaltare la resistenza ucraina sono politici e giornalisti italiani, essa assume un vieto significato retorico, condito peraltro di un “militarismo da divano”. Ma anche il suo pacifismo è da divano e non è affatto detto che esso sia meno “imbarazzante e penoso” del militarismo altrui, specialmente quando afferma che non possiamo continuare a dare armi e opportunità tecnologico-militari sempre più efficienti e letali perché in tal modo aumenta in modo esponenziale il rischio di un conflitto nucleare che sarebbe fatale per l’umanità. Ragionamento impeccabile! Gli altri possono crepare, ma per quale motivo bisogna fare in modo che a crepare sia tutta l’umanità? Come se, nel nome del diritto del genere umano ad esistere al di là degli eventi efferati della vita ordinaria e della storia, fosse umanamente normale assistere da spettatori inerti allo straziante genocidio di un popolo che si consuma sotto gli occhi di milioni di persone. Da un punto di vista tanto laico quanto evangelico, cristiano e cattolico, l’umanità non ha questo diritto di continuare a vivere o a sopravvivere anche se un suo membro venga colpito a morte dalla belluina ferocia di un criminale senza scrupoli, perché quello stesso criminale, vedendosi incoraggiato dalla inerzia del mondo, potrebbe continuare a colpire altri membri dell’umanità, ma innanzitutto perché, da che mondo è mondo, i criminali, sia secondo il diritto internazionale che secondo l’etica universale dei popoli e la religiosità naturale o positiva radicata in ognuno di essi,  vanno bloccati, vanno arrestati in tutti i sensi possibili e immaginabili nel più breve tempo possibile e in  modi altamente efficaci.

Ma, secondo lo studioso fiorentino, molto più bravo a contemplare le opere d’arte che ad esercitarsi nella difficile arte dell’argomentare lineare, coerente e rigoroso, il pensare che l’Ucraina debba continuare ad opporsi alla Russia fino a quando quest’ultima non si decida a proporre condizioni ragionevoli di pace, è nient’altro che avventurismo, non certo realismo. Tale giudizio egli esprime dando assiomaticamente per scontato che la Russia sia invincibile e che Putin non potrà mai essere messo nell’angolo, in quanto, anche nel caso in cui stesse per correre questo rischio, ne salterebbe fuori con il guizzo di un topo attivando le leve degli ordigni nucleari in suo possesso. Che è come il doversi inginocchiare davanti ad un tizio violento che, circondato di sgherri armati dalla testa ai piedi, venisse a casa mia e mi dicesse: se non mi dai la tua casa e non sei disposto a diventare mio servo, se non rinunci alla tua libertà e a quella della tua famiglia, ad avere progetti per conto vostro senza chiedere il mio permesso, io ti distruggo, vi distruggo, e anche se i vostri amici dovessero darvi manforte e metterci in seria difficoltà, io farei saltare in aria il mondo intero, pur di non regalare ad altri la vittoria. E’ come, appunto, chiedere di essere disposti ad assumere un tale infantilismo criminale come base di un accordo di pace.

Ma ci si rende conto di quanto sia sciocca e insensata, e quasi suicida, la proposta di fare pace con quel tizio, con quel pazzo omicida, alle sue condizioni? Come si potrebbe continuare a vivere al pensiero che la libertà di pensiero, di azione e di vita del genere umano sarebbe subordinata alla volontà, ai disegni irrazionali e imprevedibili di un paranoico delirante a spiccata propensione omicida? La carneficina in atto sarà pure senza senso, come osserva Montanari, ma avrebbe forse più senso l’asservimento di un intero popolo, qui non importa se fascista, nazionalista o democratico e liberale, alle inammissibili, intollerabili e ossessive manìe di grandezza non solo di Putin e dei suoi straricchi amici oligarchi, ma anche di buona parte della società e della cultura russe, ormai imbevute di abitudini, stili di vita e di pensiero occidentali?

Ma il punto più basso della inconsistente disamina di Montanari è quando questi viene cimentandosi in un confronto abbastanza acrobatico tra la resistenza dei partigiani italiani nella seconda guerra mondiale e la odierna resistenza ucraina. Secondo lui, tale confronto può essere solo negativo, nel senso che i partigiani italiani avevano una concreta prospettiva di vittoria sia perché sapevano che sul terreno c’erano già le forze alleate, sia perché combattevano contro un nemico che, incalzato da quest’ultime, si stava ritirando e non stava avanzando come fanno oggi i russi in Ucraina, dove, scrive Montanari, «gli alleati non arriveranno», dal momento che, a differenza di Hitler, «l’atomica ce l’ha». Ecco: la guerra, la cosiddetta guerra giusta, oggi, di fronte alla minaccia nucleare, non hanno più ragione di essere, non possono più costituire, come forse in passato, una soluzione. Come dire: è più che evidente che il gioco non valga più la candela.

A prescindere dal fatto che i partigiani italiani si gettarono nella lotta senza fare calcoli di opportunità, ma principalmente per dare senso alla loro esistenza di uomini liberi, cosa si può obiettare a tanta razionalità, a tanto realismo responsabile, ad un umanitarismo così pregno di appassionata e calcolata eticità, se non che l’utilitarismo etico è solo una delle possibili forme e di solito non la più avvincente in cui possono essere declinate la riflessione e la vita morale degli esseri umani? Generalmente, ci sono ancora molte persone disposte a rischiare la propria vita nel tentativo disperato di salvare la vita di chi sta per annegare in un mare in burrasca, disposte a passare tra fiamme altissime e devastanti solo per accertarsi che esse non abbiano mietuto vittime, disposte a contrastare persino a prezzo della propria vita la malavita organizzata, la delinquenza comune, qualunque tipo di pratica fondato sul sistematico malcostume, sul ricatto, sull’estorsione o sull’assassinio. L’elenco di azioni morali non fondati su criteri utilitaristici o di calcolato pragmatismo sarebbe lunghissimo ma chi vuol capire ha già capito che cosa si intende qui dire e sottolineare.

Se il problema è quello di aiutare un fratello che viene percosso da un bestione che, magari per futili motivi, lo sta percuotendo a morte, ognuno è tenuto a fare moralmente, cristianamente tutto quel che gli è possibile e, in casi estremi, persino a correre seri rischi per la propria incolumità pur di strapparlo a morte sicura; motivazioni etiche ancora più forti sono quelle che possono indurre determinate nazioni a sostenere, direttamente o indirettamente, l’impegno bellico di un popolo che rischia di essere letteralmente massacrato dai missili e dalle bombe micidiali di un nemico degno solo di essere bandito dalla comunità umana internazionale. Certo, il nucleare è una minaccia terribile, ma possono darsi, sul piano etico, minacce così terribili da dissuadere chiunque dal prestare il proprio aiuto, se necessario anche diretto, anche sul piano di battaglia, a quanti rischiano di scomparire dalla faccia della terra come singoli, come popolo, come nazione? Peraltro, che l’incolto e rozzo Putin sia già pronto a decretare la morte del genere umano, resta pur sempre un’ipotesi e solo un’ipotesi, sebbene di solito i prepotenti e i vigliacchi come lui sono così attaccati alla vita e al potere, pur se gravemente malati, che difficilmente trovano il coraggio di veder sfumare in un solo istante i propri sogni di grandezza.

E, per quanto terrificante, può un’ipotesi condizionare parossisticamente la decisione di un’umanità che tale è e resta solo se resti libera di vivere e non se sia costretta a vegetare? Come si fa a consentire a quel buffone di Mosca, e alle marionette che lo circondano, di minacciare sprezzantemente tutti i popoli del mondo e di condizionarne la vita e la storia? Non sarebbe meglio morire se la vita personale o la vita di tutto il pianeta dovessero trasformarsi in un incubo permanente? E’ un po’ il senso della precisa, elegante e colloquiale risposta data al rettore dell’Università senese per stranieri, e di certo più garbata e molto meno plebea di quella che è capace di dare l’autore di questo articolo, da Paolo Flores d’Arcais (Massacri, resistenza, logica. Lettera aperta a Tomaso Montanari e ai suoi compagni pacifisti, in “Micromega” del 12 marzo del 2022), che però, non meno del sottoscritto, viene incluso dallo studioso fiorentino tra quegli «scalmanati sostenitori occidentali del riarmo della Resistenza ucraina» che «non sono davvero i migliori alleati della sopravvivenza dell’Ucraina».

Evidentemente a Montanari, osserva d’Arcais, «sembra impossibile» che la stragrande maggioranza del popolo ucraino ritenga, non a parole ma con diversi mesi di eroica resistenza antirussa, che “è meglio morire in piedi che vivere in ginocchio”, ma così è, e di questo dato di fatto tutti devono tenere il massimo conto, in particolare “i pacifisti da divano”, ai quali va fatto osservare anche che, peraltro, gli ucraini non pensano affatto che l’alternativa sia tra la morte per la libertà e la resa per una vita in schiavitù, essendo convinti che, « fanno peraltro finta di ignorare che «con gli aiuti necessari, i nostri aiuti, possono costringere Putin a ritirarsi». Gli europei, non tutti, avrebbero forse preferito la resa ma non gli ucraini che vogliono combattere e stanno combattendo la loro guerra partigiana di liberazione anche per la Crimea, la Moldova, la Lettonia, la stessa Polonia, per tutta l’Europa: «Prova a leggere»,  è l’invito dell’intellettuale friulano a  Montanari, «quello che dice la sinistra polacca, che delle vicende russe e dei paesi limitrofi, russofoni o meno, è costretta ad occuparsi seriamente, per arbitrio della storia».

Gli ucraini peccano di irrealismo, non vedono che la loro sorte è già segnata, che la loro resistenza, a differenza di quella europea e italiana durante la seconda guerra mondiale, non ha alleati alle spalle? D’Arcais risponde con precisi ed efficaci riferimenti storici: la resistenza civile dei democratici e della sinistra cilena, appoggiata in Italia da “Lotta continua”, contro le invincibili armate del dittatore Pinochet, con Allende che sarebbe morto con le armi in pugno; la resistenza appassionata e disperata contro l’Argentina del golpista Videla e dei desaparecidos lanciati dagli aerei o torturati a morte. D’Arcais avrebbe potuto anche aggiungere un’altra forma di resistenza contemporanea, apparsa inizialmente impossibile, come quella dei vietnamiti del Nord come l’esercito imperialistico americano, per dare ulteriore vigore alla sua lezione di fondo: che «a non resistere si ammansiscano i mostri reazionari è pura illusione, in fondo dovremmo saperlo da quando andavamo alle medie: “Superior stabat lupus, longeque inferior agnus…”».

Una volta tanto non posso che condividere il giudizio del laicissimo Flores d’Arcais: «Ho sempre più netta l’impressione che tu, e i tuoi compagni pacifisti, siate sovradeterminati dal riflesso condizionato per cui non si può mai essere d’accordo con governi (e personalità pubbliche) che giustamente critichiamo e combattiamo per le loro scelte reazionarie su economia, diritti dei lavoratori, giustizia, informazione … Ma questa è una forma di subalternità politica e culturale: invece di giudicare la situazione della “scellerata aggressione” con il metro dei valori giustizia-e-libertà (che mi sembra tu abbia fin qui sempre condiviso con MicroMega) ti schieri contro il governo quando fa l’unica cosa giusta … Se l’Ucraina che resiste “merita rispetto, solidarietà, dolore per la loro sorte terribile”, allora merita armi, aerei compresi, perché da questa sorte terribile nasca la fine di Putin. L’omissione, che, come sappiamo dal catechismo, è colpa grave quanto l’atto, è un regalo a Putin, lo voglia tu vedere o no. Come avrebbe dovuto dire il tuo articolo sul Fatto, il pacifismo in buona fede … farà strage di ucraini». Anche il pacifismo cattolico, in buona o cattiva fede, farà strage di ucraini. Gli operatori di pace, nel più genuino e originario senso evangelico, non sono mai stati, né mai saranno i pacifisti, bensì i pacificatori, vale a dire coloro che non disperano mai di ottenere la pace per due o più potenze in guerra sulla base di accordi che prevedano il comune rispetto di elementari princìpi di verità e di giustizia, a cominciare dal fatto che, se si vuole realmente la pace, le forze attaccanti dovrebbero quanto meno interrompere i bombardamenti e ogni altra attività bellica.

Ma non è questo quel che corrisponde propriamente allo spirito con cui tanto qualunquismo cattolico e tanto pacifismo ideologico laico hanno fin qui dimostrato di voler affrontare il tema di una possibile pacificazione. Anche sul piano politico-culturale, alcuni di quegli intellettuali che in questo Paese ormai da alcuni decenni sono stati autorizzati a sentirsi fenomeni e a pensare di poter fare sempre i primi della classe, per via di una indubbia e coinvolgente levatura intellettuale che tuttavia, oltre che accompagnata da un pregiudiziale e ricercato spirito di contraddizione e da una tronfia e sussiegosa vocalità, non risulta esente da carenze e limiti talvolta persino imbarazzanti, non appaiono affatto in grado non già di elaborare ma neppure di suggerire soluzioni possibili e realistiche soprattutto sotto il profilo etico-politico.

Si pensi a un filosofo come Massimo Cacciari, spirito laico ma dotato di spiccata propensione a pontificare con disinvoltura persino in cose teologiche di grande importanza, e a certe sue recenti considerazioni. La sua premessa era giustamente quella per cui non c’è Europa senza Mosca e senza Russia, ambedue impregnate di cultura europea, per cui il fatto che da secoli, a dire il vero non da moltissimi secoli ma da soli tre secoli, la Russia sia parte integrante della politica e delle stesse guerre europee, dovrebbe imporre, in sede razionale, agli Stati europei di continuare a dialogare con Putin nonostante la guerra, al fine di ripristinare la pace in territorio ucraino ma anche ogni altra forma di collaborazione tra l’occidente e l’oriente del continente europeo. Ma è come dire che, poiché ottanta-ottantacinque anni or sono, non poteva esistere Europa senza Berlino e senza Germania, ambedue da più di un millennio cuori pulsanti e centri propulsori della stessa cultura europea, gli Stati europei di allora avrebbero dovuto continuare a dialogare con la Germania di Hitler, che come Putin di libri, di cultura e di sapere non sapeva che farsene utilizzandoli solo per fare dei falò incendiari che infatti avrebbero divampato tragicamente in tutto il mondo, nonostante la guerra di sterminio in parte attuata e che in parte i nazisti avrebbero voluto attuare in tutte le contrade europee, al fine di ripristinare pace e ordinari rapporti di collaborazione persino con la folle e annimalesca classe politica e governativa germanica.

Mi immagino la reazione di Cacciari: ma che c’entra la Germania con la Russia, Hitler con Putin, i tedeschi nazisti con i “patrioti” russi! E, invece, i due eventi storici sono proprio la stessa cosa, esprimono la stessa logica, perseguono lo stesso piano di annientamento di un intero popolo; e Cacciari, che forse non ha ancora letto “Il grande Gopnik” (MSB Verlag, 2022) dello scrittore russo Victor Vladimirovič Erofeev, non potrebbe spiegarne la differenza, se non in modo del tutto arbitrario e incomprensibile. In Europa bisogna saperci stare, anche se o quando si litiga ferocemente, perché la civiltà europea non può consentire a barbari “civili” di sangue tartaro-mongolico di contaminarla impunemente con irrazionali e disumane pratiche tribali.

Francesco di Maria

 

Lascia un commento