Bronzee mediocrità al servizio della Russia di Putin

Poiché certa Donatella Di Cesare, ordinaria di filosofia teoretica in una Università romana, ha studiato a Tubinga e Heidelberg, dialogando in tedesco con Gadamer, e poi ha frequentato Derrida, leggendo in pari tempo in lingua francese Sartre e in greco antico Aristotele, pubblicando molti libri, non senza sferrare un poderoso attacco all’antisemitismo, non può certo essere tacciata, secondo il firmatario di una sua difesa d’ufficio su “Il Fatto Quotidiano” del 24 maggio u.s., di ignoranza, stupidità, incapacità logica e culturale, come invece ha osato fare Aldo Grasso dalle colonne del “Corriere della Sera”. Ma, in realtà, se si dovesse pensare che un cattedratico sia un grande cattedratico e non, per esempio, un filibustiere senza qualità intellettuali e morali, ma potrei usare anche espressioni più colorite, si dovrebbe anche riconoscere e accettare che tutto ciò che esiste (che esiste, non che è reale), anche sui diversi piani istituzionali dell’organizzazione dello Stato, per ciò stesso debba essere letto come espressione di razionalità, il che è palesemente falso.

A chi scrive qui non interessa stabilire se le critiche taglienti rivolte da Grasso a Di Cesare siano più o meno preconcette, rozze, volgari come sostiene il difensore di quest’ultima, la quale gode soprattutto della protezione di quel simpaticone di Travaglio, ma è certo che il livello intellettuale della cattedratica in oggetto è imparagonabilmente inferiore a quello di Grasso come a quello di Cacciari o Massimo Fini, pure severamente censurabili per la loro irragionevole posizione filorussa e filoputiniana, ma appartenenti ad un universo di pensiero distante anni luce da quello abbastanza caotico e goffo che la professoressa romana è capace di esprimere in televisione. Può darsi che Grasso difenda “il sistema di potere in cui si è accomodato”, che peraltro è lo stesso sistema di potere in cui si accomodano molto più agevolmente individui come colei di cui si sta parlando o come un certo Orsini e altri della stessa specie, ma non è questo un vero motivo di scandalo quanto il fatto che venga consentito di parlare persino al di fuori delle aule universitarie a soggetti incapaci di mettere insieme tre o quattro parole per esprimere concetti semplici semplici e nient’affatto impegnativi.

Quando si legge che Di Cesare sarebbe vera filosofa, anzi critica del “pensiero unico”, perché «si preoccupa di leggere la complessità e di trovare le cause di ciò che accade» e che, per lo stesso motivo, ci sono stati tempi in cui insigni filosofi sono stati costretti a fuggire «per non essere uccisi», per cui anche oggi molti vorrebbero uccidere culturalmente questa presunta eroina del pensiero, si viene colti da un infrenabile moto di sarcastica indignazione. Ma chi la vorrà mai uccidere un’anima già morta, solo capace di balbettare parole dozzinali e prive di senso logico compiuto? Ma di quale complessità sarebbe interprete costei, di quale analitica profondità di pensiero sarebbe mai dotata?

Non è che non abbia diritto, come tutti, ad esprimere liberamente il proprio pensiero, ma, se in televisione non va a parlare come ospite qualificato un signore che abbia solo la terza media anche se intelligentissimo e linguisticamente vivace, perché mai, in virtù di quale criterio, di quale autorevole raccomandazione, di quali conclamati meriti discorsivi e dialogici, viene invitata una signora semplicemente imbarazzante? Imbarazzante per chi ascolta, e non certo perché come ogni buon filosofo anche lei argomenta e quindi disturba e disturba perché argomenta ma, al contrario, perché disturba senza argomentare, disturba proprio per il fatto di non saper argomentare: si badi, non di non saper addurre argomentazioni particolarmente originali, ma di non saper proferire altro che sillabe ideologico-propagandistiche di assoluta insignificanza.

Non è la Di Cesare che può ammonire a «non diventare in nome della democrazia censori ideologici, inquisitori dogmatici», dal momento che non fa altro che pontificare contro tutti coloro che stanno concretamente, anche se pur sempre insufficientemente, solidarizzando con il popolo ucraino; sono piuttosto i comuni cittadini che vorrebbero giustamente che, nel nome della democrazia, certi personaggi tanto esaltati quanto impreparati non mettessero mai piede quanto meno in studi radiofonici e televisivi che dovrebbero preoccuparsi di interpretare molto meglio l’espressione “servizio pubblico”; sono comuni cittadini che giustamente si scagliano contro quei personaggi di potere che introducono certe bronzee mediocrità non solo nei circuiti accademici ma anche nei salotti mediatici e televisivi. Già è difficile sopportare l’eloquio elegante ma spesso acritico e dogmatico di un Cacciari e di un Fini, solo per indicare due intellettuali di alto livello anche se fra loro molto diversi!

Come si può pretendere che, nel sentire certe oscene sciocchezze dette a favore di Putin e della stessa cultura russa che è molto più opaca e molto meno esaltante di quanto, ad eccezione di poche e vere espressioni di libertà e originalità di pensiero, non appaia né al grande pubblico, né, e questo è molto più grave, a tanti addetti ai lavori, ci si debba preoccupare persino di non recare disturbo a figure oltremodo sciatte e men che marginali della razionalità critica contemporanea anche se molto pubblicizzate e celebrate da oscure quanto rilevanti forze di potere? Come si può pretendere di essere ancora pluralista nei confronti di quanti non si rendono conto che un manipolo di paranoici esaltati potrebbe provocare, da un momento all’altro, la terza e ultima guerra mondiale della storia umana? Molto più agevole sarebbe mostrarsi magnanimi verso un certo analfabetismo culturale condito però di buon senso ed istintiva sensibilità civica e morale. 

   Francesco di Maria 

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