Il nostro Sturzo

1952-Luigi-Sturzo

Si sente dire spesso che la Chiesa è universalistica, aperta a tutti, sempre pronta a favorire a tutti i livelli l’unità e non la divisione tra gli uomini, la riconciliazione e non il conflitto, la pace e non la guerra, l’amore e non l’odio o la violenza. E certo non è errato pensarlo, perché la missione della Chiesa è proprio quella di portare concordia, di pacificare gli spiriti, di rafforzare le basi della civile convivenza nelle singole comunità nazionali come nella comunità mondiale. Quel che però anche molti cattolici non sempre si preoccupano di precisare, o perché non sanno o perché non vogliono, è che l’universalismo della Chiesa, il suo spirito unitario e pacificatore, la sua disponibilità e il suo spirito di servizio verso tutti, non hanno la loro radice o il loro fondamento in una spiritualità generica ed astrattamente dialogica, freddamente neutrale ed equidistante, indiscriminatamente tollerante e “buonista” o “pacifista”, ma in una spiritualità evangelica che presuppone e implica una precisa presa di posizione a favore di Cristo e della sua verità, quindi della verità tout court, una rigorosa osservanza nel pensiero e nella vita di quanto essa prescrive, il rifiuto di quanto ritiene erroneo e peccaminoso, la lotta per l’affermazione del bene in se stessi e nel mondo.

Il che significa che missione e messaggio della Chiesa sono universalistici o ecumenici perché destinati e rivolti a tutti indistintamente ma solo in quanto nascono da una scelta di campo, ovvero Cristo, i suoi insegnamenti, i suoi giudizi, che non sono affatto neutrali ed equidistanti, oltranzisticamente amorevoli e tolleranti, ma inequivocabilmente schierati dalla parte della verità contro la menzogna e il peccato, della carità contro l’ipocrisia e ogni forma di perbenismo, della giustizia contro le prevaricazioni e ogni genere di egoismo e di iniquità. Che poi tutto questo non comporti in nessun caso il ricorso a mezzi violenti e “sovversivi”, tranne che in casi di manifesta tirannide, è pur vero, ma ciò non significa che il seguace di Cristo stia genericamente con tutti e mostri indulgenza verso qualsivoglia comportamento personale o collettivo, giacché al contrario egli deve sforzarsi di testimoniare la verità sempre e comunque e non può esimersi dal prendersi cura in particolare dei deboli e degli indifesi o inermi, dei poveri e degli oppressi, degli umili e degli onesti, e dal prendere per contro le dovute e critiche distanze da potenti e ricchi impenitenti che non si diano veramente pensiero del bene comune e più in generale da tutti quei soggetti che, fossero anche cattolici dichiarati, siano soliti assumere atteggiamenti superbi o sprezzanti, superficiali o distaccati verso il prossimo e la loro comunità religiosa e civile-politica. Il seguace di Cristo ama anche i secondi ma è schierato con i primi, con chi cerca Dio sia interiormente sia con le opere, con chi ha fame e sete di giustizia non in modo meramente istintivo o pretenzioso ma per un intimo convincimento personale basato sulla fede.

Penso che sebbene, e a ragione o a torto in dissenso da padre Agostino Gemelli, non abbia voluto che il partito popolare si chiamasse partito cattolico ravvisando una certa antiteticità tra la religione o la fede cattolica che è universale e un partito cattolico che come tale avrebbe implicato divisione sociale e politica, don Luigi Sturzo non fosse lontano, al di là di talune apparenti differenze terminologiche, da siffatte posizioni.

Di fatto, nella sostanza se non nella forma, anche per lui il seguace di Cristo, e più segnatamente il cattolico, è un partigiano della verità e della giustizia, dello spirito di servizio e di condivisione, non già di un universalismo mistificante e a buon mercato: non odia chi è dedito al male ma ha il dovere di contrastarlo nell’interesse di quanti siano danneggiati dalle sue azioni malvagie o sbagliate. In questo senso la sua vera passione sono quelli che si convertono ogni giorno a Cristo, sono quelli che lottano per un mondo spiritualmente e socialmente più libero e più giusto, che tendono lealmente a liberarsi da ogni gravame mondano e da ogni intenzione perversa. Specialmente dal punto di vista politico il cattolico e il cattolico democratico ha il dovere di stare con i molti che hanno poco o niente piuttosto che con chi non ha problemi economici di sorta, con i molti che esercitano attività lavorative appena sufficienti a garantire una vita dignitosa o la pura sopravvivenza, con i molti meritevoli che non appartengono alle burocrazie di partito e di sindacato, a corporazioni professionali privilegiate o a caste dell’alta finanza nazionale ed internazionale ma a famiglie semplici ed oneste, anche se non particolarmente virtuose e duramente provate dalla vita, di cui il mondo è disseminato.

Il cattolico democratico non è uno che non se la vuole guastare con nessuno e specialmente con quelli che contano: se agisce cosí, tra ambiguità ed oscure manovre etico-politiche (che sono altro dalla prudenza e dalla circospezione da cui ogni essere umano non dovrebbe mai prescindere), non è né cattolico né democratico. Più esattamente il cattolico democratico è uno che non può mentire né a se stesso né agli altri. Se un politico cattolico soggiace al conformismo sociale, istituzionale, politico, culturale, per cui non si assume mai dei rischi di pensare e di agire diversamente da come una massa acritica di persone “qualificate” e di personalità di rilievo pensano ed agiscono, non già nel vero interesse delle masse popolari ma in quello di specifiche e ristrette oligarchie di potere, è già un soggetto che abdica al suo compito di vivere secondo verità e di operare in funzione del bene di ciascuno e di tutti. Se non è pronto ad affrontare e a superare sia la menzogna demagogica o populistica di tanta prassi politica, sia la menzogna organizzata di politiche statuali apparentemente o formalmente ineccepibili ma manifestamente funzionali a specifici interessi di parte e alle logiche o ai disegni delle élites economico-finanziarie del mondo, sia la menzogna pura e semplice su questioni etiche e giuridiche elementari, egli prima o poi, per un verso o per l’altro, finisce per tradire la sua fede religiosa e la sua fede politica e per assecondare soltanto meschine ambizioni personali.

Di tutto ciò era ben consapevole don Luigi Sturzo che avrebbe sempre avversato quella menzogna politica «sempre intenzionale» che, come scriveva in un suo articolo del giugno 1957 pubblicato nel primo numero della rivista di Cesare Cavalleri “Studi cattolici”, «ha quasi sempre lo scopo di far deviare indagini, di trarre in diversa via, di combattere avversari, di prevenire offensive, di mettere le premesse per un’azione che si creda utile e cosí di seguito; è insomma un’arma politica. La finalità buona non giustifica la menzogna; la finalità cattiva o connessa ad altri mezzi cattivi, rende ancora più grave l’uso della menzogna. Abbiamo detto che la menzogna di sua natura, al di fuori di qualsiasi intenzionalità di chi la proferisce, altera e rompe i vincoli della convivenza; pertanto è intrinsecamente un male». Di conseguenza, egli osservava, «nelle vertenze politiche e civili dei regimi nei quali la convivenza è mantenuta in forma organica, sia che si tratti di vertenze avanti la magistratura, sia che si tratti di lotte elettorali o dibattiti parlamentari, non è moralmente consentita la menzogna come mezzo di difesa e di offesa, trattandosi dell’esercizio di diritti e dell’adempimento di doveri, per i quali la regola etica è sovrana e da osservarsi dalle parti». Appena un anno prima aveva scritto sulle colonne de “Il Popolo”: «C’è chi pensa che la politica sia un’arte che si apprende senza preparazione, si esercita senza competenza, si attua con furberia. È anche opinione diffusa che alla politica non si applichi la morale comune, e si parla spesso di due morali, quella dei rapporti privati, e l’altra (che non sarebbe morale nè moralizzabile) della vita pubblica. La mia esperienza lunga e penosa mi fa invece concepire la politica come saturata di eticità, ispirata all’amore per il prossimo, resa nobile dalla finalità del bene comune» (I cattolici in politica devono servire, non servirsi, 16 dicembre 1956).

Pertanto, per don Sturzo, il politico in quanto tale ma ancor più il politico cattolico, pur avendo piena facoltà di esercitare secondo scienza e coscienza la propria libertà di pensiero, non può non astenersi totalmente e in ogni caso dall’uso della mistificazione, del raggiro, dell’inganno, della frode che hanno per l’appunto «a base la menzogna». Bisogna rendersi conto che specialmente nelle «cose serie, di interesse pubblico, di rapporti fra autorità e cittadini o delle autorità fra di loro, non può mai essere lecita la menzogna che disvia, ottenebra, svaluta la verità e che infine trae in inganno».

Ma è bene precisare che qui Sturzo, nel condannare ogni machiavellismo politico, ogni concezione puramente strumentale ed utilitaria della politica, non si riferisce tanto a chi sia tendenzioso, inesatto o omissivo, «per abito mentale, per incapacità di sintesi, per errata valutazione dei fattori, senza la intenzione di alterare la verità», per le quali cose è possibile «trovare subiettivamente delle attenuanti», quanto a chi altera consapevolmente la verità, esponendola in modo parziale o lacunoso, piegandola a finalità preconcette o precostituite e comunicandola in modo incompleto e unilaterale, in un modo non chiaro ed esaustivo ma equivoco che porta inevitabilmente alla falsità e quindi alla menzogna «sia pure diluita in un mare di parole». Don Luigi Sturzo è molto chiaro: è da vituperare e bandire dall’impegno e dal confronto politici e ancor più dall’attività governativa e legislativa ogni genere di «propaganda demagogica…fatta di mezze verità che arrivano alla menzogna e di mezze menzogne che velano la verità. In tali casi la verità non è l’oggetto e il fine della comunicazione interindividuale; si tratta di fare del proselitismo ad ogni costo, di applicare la tendenziosità per fini politici da raggiungere, ovvero, nella migliore delle ipotesi, di un fine creduto buono per la comunità della quale si ha, da solo o con altri, responsabilità direttiva o governativa, un fine che si teme di non poter raggiungere con la chiara esposizione della verità».

Non bisogna farsi illusioni, non bisogna pensare che la menzogna possa coesistere con la capacità di ben governare e che più specificamente il politico cattolico e democratico possa conservare intatta la sua moralità e la sua identità religiosa pur facendo uso talvolta della menzogna e di quanto vi è annesso e connesso, perché, come scrive don Sturzo, a «parte quel che prudenza e accortezza suggeriscono, bisogna notare che nella vita politica, il ricorso alla menzogna è sempre collegato con l’uso abituale della menzogna e, perfino, della mistificazione e della prepotenza. Il complesso negativo di una politica non basata sulla moralità porta all’uso dei mezzi immorali. Non si tratta di menzogna o menzognetta isolata, occasionale, per evitare noie e per ottenere dei vantaggi immediati; si tratta di complesso di modi illeciti e di attività non rispondenti ai fini del buongoverno e agli interessi del paese. Bisogna partire dalla convinzione che la menzogna non giova mai e danneggia sempre; a questa occorre aggiungere subito l’altra, che il fine non giustifica i mezzi; conchiudendo che la migliore politica è quella che non lede la moralità».

Certo, è anche vero che «dal punto di vista del moralista cattolico, mantenendo ferma la teoria, si potranno, nei casi concreti, trovare subiettivamente quelle attenuanti alla colpa della menzogna politica, come ad ogni colpa commessa della quale si chiede perdono a Dio con la promessa di non ricadervi», ma, questa è la sua conclusione, «le attenuanti subiettive non toccano il fermo principio della illiceità della menzogna, e con maggior ragione della menzogna politica». Ora, sia tra i politici realmente cattolici o sedicenti cattolici già in campo sia tra i politici cattolici auspicabilmente più “liberi e forti” che forse si appresteranno a scendere nell’arena politica, chi vuole intendere intenda. Ma si potrà intendere a patto che si capisca come questo Sturzo qui evocato non sia lo Sturzo morbido e rassicurante di tanti politici “cristiano-cattolici” di ieri e di oggi, che facevano e fanno sia pure in modi non sempre grezzi o ineleganti professione di “moderatismo”, ma il “nostro Sturzo”, lo Sturzo che si può sommariamente descrivere con alcune espressioni del giudizio espresso da Gramsci sul suo Marx: don Luigi Sturzo «è per noi maestro di vita spirituale e morale», anche se «pastore armato di vincastro» (A. Gramsci, Il nostro Marx, in “Il grido del popolo”, 4 maggio 1918, secondo cui ovviamente il rivoluzionario di Treviri non era “pastore armato di vincastro”).

Egli, critico dello statalismo accentratore e omnipervasivo e fautore di un libero mercato non disancorato da princípi etici e da una idea ben precisa di giustizia sociale, è «lo stimolatore delle pigrizie mentali, è il risvegliatore delle energie buone che dormicchiano e devono destarsi per la buona battaglia. E’ un esempio di lavoro intenso e tenace per raggiungere la chiara onestà delle idee, la solida cultura necessaria per non parlare a vuoto, di astrattezze. È blocco monolitico di umanità sapiente e pensante, che non si guarda la lingua per parlare, non si mette la mano sul cuore per sentire, ma costruisce sillogismi ferrati che avvolgono la realtà nella sua essenza, e la dominano, che penetrano nei cervelli, fanno crollare le sedimentazioni di pregiudizio e di idea fissa, irrobustiscono il carattere morale…È un vasto e sereno cervello pensante, è un momento individuale della ricerca affannosa secolare che l’umanità compie per acquistare coscienza del suo essere e del suo divenire, per cogliere il ritmo misterioso della storia e far dileguare il mistero, per essere piú forte nel pensare e operare» (ivi).

Quello di cui oggi si sente la mancanza è un partito di ispirazione cattolica o dichiaratamente cattolico guidato da un uomo come Luigi Sturzo, mai abbastanza compreso e approfondito dai suoi eredi democristiani di ieri e soprattutto di oggi, il quale ammoniva profeticamente già nel ’56 che «se la politica e l’economia calpestano l’etica, non hanno alcun diritto di chiamarsi “ragione politica” e “ragione economica”», in quanto politica ed economia sono in tal caso prive di razionalità e anzi insanabilmente irrazionali, e concludeva dicendo che, se nella missione del cattolico, sia essa politica o economica o scientifica e via dicendo, non si riflette il senso del divino, «tutto si deturpa: la politica diviene mezzo di arricchimento, l’economia arriva al furto e alla truffa, la scienza si applica ai forni di Dachau, la filosofia al materialismo e al marxismo, l’arte decade nel meretricio». Quali cattolici oggi, al di là dei riferimenti storici sturziani parzialmente datati, saranno in grado di intendere il significato e il valore di tali parole e di rinfrescare e rigenerare l’aria mefitica della vita politica italiana?

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