Tra dittatura finanziaria e “rimozione” cattolica

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La Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (CONSOB), autorità totalmente indipendente dal potere esecutivo ovvero dal governo, assolve oggi le stesse funzioni di vigilanza sul mercato borsistico e mobiliare in genere che, prima della sua istituzione nel giugno del 1974 per mezzo della legge n. 216, era il Ministero del Tesoro, e quindi un organo centrale dell’Esecutivo, a svolgere. Se la Consob non godesse di piena autonomia giuridico-amministrativa ed istituzionale, oggi probabilmente il suo presidente, Giuseppe Vegas, per quanto esponente del “Popolo delle Libertà” e uomo molto vicino all’on. Berlusconi che nessuno rimpiange come capo del governo ma che è costretto da diverse circostanze a lui sfavorevoli ad appoggiare a denti stretti il governo Monti, non avrebbe espresso sull’euro, sui mercati e sulle agenzie internazionali di rating, un giudizio cosí franco e severo e per larga parte del popolo italiano anche cosí obiettivo, come quello che egli ha invece espresso a Milano al cospetto della comunità finanziaria e del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Cos’ha detto Vegas?

Dopo aver esordito con una citazione di Epitteto secondo il quale «non sono i fatti in sé che turbano gli uomini, ma i giudizi che gli uomini formulano sui fatti», alludendo a tutti quegli uomini politici e di governo e più in generale a tutti coloro che ancora si ostinano a pensare che le politiche nazionali non possano essere elaborate se non quasi esclusivamente sulla base dei responsi giornalieri dei mercati internazionali, egli ha giustamente affermato che «lo spread attribuisce ogni potere decisionale a chi detiene il potere economico, nei fatti vanificando il principio del suffragio universale» e che ciò non può non alimentare il rischio di «una dittatura dei mercati» che alla lunga comprometta le fondamenta stesse delle democrazie europee. In realtà, i popoli manifestano un’insofferenza sempre più grande verso “la dittatura dello spread” e di quanti vorrebbero impedire ai popoli stessi di assumere delle libere decisioni. Quello che sul piano nazionale ed internazionale si fa molta fatica a comprendere, ha implicitamente inteso dire Vegas, è che non c’è “debito sovrano” che possa condannare uno o più popoli alla schiavitù.

Naturalmente il discorso di Vegas non poteva piacere, e non è infatti piaciuto, né a Monti né a Napolitano, entrambi notoriamente in profonda sintonia con le diagnosi e i programmi mondialisti di forzato e rapace risanamento elaborati dalle varie commissioni e dai più raffinati clubs politico-finanziari internazionali, ed è singolare e significativo che proprio Napolitano, mentre alla fine della relazione del presidente della Consob teneva ad osservare di aver conosciuto nella sua lunga vita “anni” più “orribili” di quello pure molto duro di questo periodo, a chi gli chiedeva di commentare l’espressione di “dittatura dello spread” egli  abbia ritenuto di dover laconicamente rispondere: “è solo un modo di dire”. Una importantissima autorità dello Stato parla di “dittatura dei mercati” e il presidente della Repubblica si concede il lusso di interpretare semironicamente o di banalizzare tale espressione parlando di “semplice luogo comune”! Ci si chiede se anche un siffatto atteggiamento possa rientrare nella proverbiale saggezza del nostro Capo dello Stato.

Quanto alla prima parte delle sue dichiarazioni è invece verissimo che la storia del ’900 sia stata segnata spesso da “anni orribili”. Il 1956, per esempio, fu davvero un “anno orribile” perché in quell’anno l’esercito sovietico invadeva l’Ungheria anche se il comunista Napolitano, a differenza di tanti altri comunisti che avrebbero abbandonato il partito di Togliatti, elogiava l’intervento sovietico dicendo che l’URSS non solo «in Ungheria porta la pace» ma contribuiva «a salvare la pace nel mondo». Ieri Napolitano, nel nome della pace in Ungheria e nel mondo, tesseva lodi sperticate per la repressione militare sovietica; oggi, mutatis mutandis, egli, nel nome dello sviluppo e della libertà del popolo italiano e dei popoli europei, tesse lodi sperticate per la repressione finanziaria nazionale ed internazionale. Ieri si batteva a favore dell’ordine comunista credendo che quell’ordine violento fosse un ordine di civiltà e di pace, oggi si batte a favore dell’ordine finanziario e mondialista credendo che quest’ordine altrettanto violento ma molto più esteso sia un ordine di progresso economico e di progresso civile e un importante tramite verso un’era di prosperità e di pace per tutto il genere umano.

Sembra che tra il giovane e il vecchio Napolitano non ci sia soluzione di continuità: sbagliava 56 anni or sono quando pensava che da un’ingiustificata violenza politica e militare potesse scaturire libertà e pace, continua a sbagliare oggi nel pensare che da un forsennato attacco di gruppi plutocratici internazionali alla libertà e alla dignità dei popoli e dei loro cittadini più poveri possa derivare un sicuro futuro di stabilità economica e di benessere per tutti. Sembra proprio che questo “saggio” Capo di Stato sia stato e continui ad essere succube o vittima di una vera e propria mistica della potenza: della potenza politica e militare ieri, della potenza politica e finanziaria oggi. A cosa è servito, ci si chiede, che Napolitano abbia chiesto scusa, sia pure molto tardivamente, a quell’Antonio Giolitti che nel ’56 aveva bollato come una specie di traditore per aver protestato contro la brutale invasione sovietica ed essere uscito dal PCI?

Vegas chiede giustamente alla politica di reagire e di fare in modo che ad essere o a restare in campo non sia semplicemente la politica dei mercati e delle semiocculte forze finanziarie che la ispirano e la alimentano ma la politica dei governi che dovrebbero sentire il dovere di contrastare responsabilmente ed energicamente tutte quelle politiche interne ed esterne volte non a tutelare ma a distruggere i veri interessi dei loro popoli. Vegas, a prescindere dalle sue personali posizioni partitiche e politiche, chiede qualcosa che in generale non può non essere condiviso e sostenuto da chiunque abbia veramente nel cuore la patria, la nazione, e si preoccupi di rendere quanto più possibile serena la vita popolare e sociale che non può rimanere perennemente sottoposta ai violenti e spesso gratuiti o umorali scossoni dei mercati e dei mercanti del mondo intero. Se si è stati capaci di liberarsi della follia nazista, non si vede perché oggi non si potrebbe e dovrebbe essere capaci di liberarsi della follia di mercati e mercanti non solo esigenti ma ormai sempre più manifestamente criminali. A volte ci si chiede sgomenti quale differenza ci sia, a parte i modi dei processi estorsivi, tra l’estorsione creditizia e mercatista, avallata dalla politica ordinaria degli Stati, e forme più comuni e più note di estorsione criminale.

Tuttavia qui il problema è più complicato di quel che si potrebbe pensare: perché coloro che continuano a credere nei mercati come in un vincolo obbligato e imprescindibile di ogni seria politica governativa sono anche coloro che vorrebbero rimettere a posto le cose e risanare in toto la società lasciandone sostanzialmente immutati gli assetti fortemente privatistici e anzi potenziandone ulteriormente, al più con qualche cambiamento legislativo del tutto insignificante, fondamentali strutture di potere come istituti di credito o banche, società multinazionali, enti come per esempio le fondazioni o libere associazioni come per esempio i partiti,  e poi naturalmente redditi o patrimoni ingentissimi di singoli privati, per rovesciare quindi quasi tutto il peso del “risanamento” sui ceti medio-bassi con riforme mortali più che strutturali, mentre coloro che si oppongono alla dittatura dei mercati e a politiche fiscali particolarmente esose non appaiono generalmente propensi a prendere in seria considerazione l’idea di origine evangelica che ogni guadagno, ogni profitto, ogni accumulazione di denaro o di capitale debba servire esclusivamente a soddisfare le prioritarie necessità materiali e morali o spirituali della società e i bisogni specifici e reali di ogni suo cittadino attivo ovvero capace di produrre, oltre che quelli di chi non può produrre non per sua responsabilità ma per pura e semplice impossibilità, indipendentemente dalla ricchezza complessiva che la società stessa produce o è capace di produrre. Dove si intende sottolineare con forza che il soddisfacimento delle istanze vitali della popolazione non deve affatto dipendere dal cosiddetto “sviluppo” o dal mitico concetto di una crescita economica necessaria o indefinita e che deve essere invece possibile non solo sopravvivere ma vivere dignitosamente con i beni e i mezzi di cui volta a volta si dispone e attraverso regole o provvedimenti realmente equi ed equanimi per tutti e per ciascuno.

Alle pretese di quanti, invocando sempre rigore e razionalizzazione, sviluppo e crescita, lavorano in realtà e unicamente (non importa se in buona o cattiva fede), sul piano nazionale ed internazionale, per l’incremento illimitato di determinate ricchezze personali o individuali e per il benessere di pochi contro il malessere dei più, sarebbe tempo di opporre risolutamente la prospettiva morale, economica e finanziaria, in cui certi diritti privati alla proprietà e al possesso di qualunque genere non abbiano più un valore giuridico assoluto ma siano suscettibili di adeguata revisione o rinegoziazione a seconda delle specifiche e concrete condizioni dei popoli e dei loro cittadini. Purtroppo, sono pochi anche i cattolici che si fanno realmente fautori di quello spirito evangelico di radicale condivisione materiale e spirituale che sarebbe stato alla base delle prime comunità cristiane in cui si era capaci di vivere in modo sobrio ma dignitoso e in cui non esistevano né ricchi né poveri. La stessa Chiesa cattolica, generalmente parlando, pur facendosi portatrice di istanze comunitarie solidaristiche e giustamente non pauperistiche, forse non sta facendo abbastanza per rendere chiara e inequivocabile la volontà di Cristo che può riassumersi cosí: qualunque cosa abbiate, dividetela e condividetela fraternamente dando ciascuno secondo le sue risorse e a ciascuno secondo i suoi bisogni. Se avete molto, fate comunione del molto; se avete poco, fate comunione del poco e amatevi sempre gli uni gli altri come io ho amato voi. Non sprecate il molto quando c’è molto, non vi preoccupate eccessivamente del poco se avete poco perché il Padre celeste che pensa alle necessità degli animali e della natura non può dimenticarsi certo delle necessità dei suoi figli.

Non basta parlare di “opzione preferenziale per i poveri”, né è privo di ambiguità l’invito talvolta rivolto ai fedeli a “non invidiare i ricchi”, né forse è sufficiente ripetere ogni tanto che Dio ascolta la voce dei poveri senza tuttavia negare misericordia ai ricchi, perché ogni volta che Cristo ha avuto a che fare con i ricchi li ha sempre invitati a lasciare ogni ricchezza per seguirlo o a mettere la propria ricchezza a disposizione di non abbienti e bisognosi: cosí è stato con Matteo, cosí è stato con il giovane ricco, cosí è stato con Zaccheo, per non dire del celebre discorso della montagna in cui ai ricchi vengono rivolte vere e proprie minacce di condanna. Non si tratta di fare terrorismo religioso, si tratta solo, anche in questo caso, di rispettare e testimoniare il pensiero e la volontà di nostro Signore.

Per il cattolico, dunque, non può darsi altra economia più efficiente di quella che, con o senza crescita economica, punta sempre a distribuire le risorse e i beni disponibili in modo tendenzialmente egualitario anche se nel rispetto delle effettive necessità di ciascun membro della comunità. Qui non si tratta di tagliare la spesa pubblica, finalizzata al mantenimento di servizi primari dal punto di vista sociale e sanitario o di salari e pensioni decorose e del tutto legittime e indispensabili, per pagare un debito salatissimo che, contratto con investitori stranieri e multinazionali, non potrà mai essere saldato data la sua entità permanentemente irraggiungibile, ma si tratta di spiegare a quest’ultimi che nessuno ha il diritto di spogliare il prossimo perfino della sua dignità e che semmai essi, se non per fede quanto meno per semplice buon senso, dovrebbero essere pronti a rinegoziare il debito stesso per consentire a quanti già versano in uno stato grave di crisi di uscirne con il minor danno possibile. Qui si tratta di ricordare cristianamente a tutti che, specialmente in tempi di dura crisi, i ricchi per primi e poi via via quelli che possiedono di più dovrebbero mettere in senso rigorosamente proporzionale i propri averi al servizio della comunità di appartenenza, senza coinvolgere quanti non abbiano mezzi finanziari neppure per onorare i più elementari doveri civici e fiscali, e che un governo guidato da cattolici verso un siffatto obiettivo dovrebbe avere il coraggio di spingere.

Occorre pertanto che in particolare noi cattolici ci decidiamo a credere con i fatti in ciò in cui diciamo di credere, posto che almeno talvolta lo diciamo, con la bocca. Il che implica che in quanto cattolici non operiamo più “rimozioni” nei confronti di doveri morali e spirituali che, pur essendo punti centrali e qualificanti  della fede che professiamo, possono metterci in conflitto con nostri concreti interessi materiali e psicologici di vita. Proprio tali interessi acquisiti in buona o cattiva fede e con mezzi leciti o illeciti sono alla base delle nostre dolorose “rimozioni” e quindi delle nostre “dimenticanze”, per cui spesso accade, nella fenomenologia del comportamento religioso cattolico, che tutti quei precetti cristiani, come lo spirito di povertà e di comunione, l’umiltà o la stessa castità sul piano sessuale, che richiedano un sacrificio del nostro io rispetto a quanto può insinuarsi nel suo orizzonte esistenziale – ricchezza, potere, piacere, successo –, vengano a collidere appunto con i nostri desideri che, a seconda della loro intensità, si oppongono in modo più o meno forte, attraverso le relative “censure” più o meno sofisticate della nostra mente, e quindi “resistono” inconsciamente (Freud parlava di “resistenza psichica”) all’emergere cosciente o nella coscienza di verità, precetti, norme etico-religiose rimosse e quindi dimenticate.

Ma, premesso che non è certo dimenticando, sia pure inconsciamente, che potremo ogni giorno accostarci alla santa mensa eucaristica per “fare questo in memoria” di Lui, la “rimozione-dimenticanza” cattolica rende ancora più difficile la situazione che stiamo vivendo e non aiuta tanti laici, tra cui il nostro Capo dello Stato, a cambiare idea sulla finanza e sui mercati, sul neoliberismo e sullo sviluppo economico.

Ivana Barricar

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